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Edificio abbandonato e coperto di graffiti a Floyd Bennett Field. Luogo di stoccaggio inerte durante il periodo in cui laeroporto fungeva da Naval Air Station New York negli anni ‘40. Fu dismesso nel 1971 e trasferito al National Park Service nel 1972 - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Un altro amore



di Stefano Sodaro


È molto difficile ipotizzare una qualche alternativa all’amore. Che poi bisognerebbe capirsi bene. Di che cosa stiamo parlando?

Possiamo, forse dobbiamo, ancora collocare la parola amore nel rispetto delle regole grammaticali del sentimento noto a chiunque, che sembrerebbe persino banale se non apparisse sempre così coinvolgente da persino esaurire chi lo prova? Solo questo è amore? Solo così è amore?

Lungo i sentieri della vita compaiono infiniti volti, infinite storie. Chi staremo ad ascoltare? Presso chi ci fermeremo? A quale porta busseremo? Quale numero di telefono, alla fine, comporremo?

Si tende a sostenere che esista una bella differenza tra il “voler” e “volersi” “bene” – che contrassegna anche l’amicizia – e l’amare, l’amarsi, che invece sconvolge nelle fibre più intime e persino sconosciute. È davvero così? Cosa resta, cosa è importante alla fine? Perché pensare alla fine dovrebbe significare pensare a quando sarò finito io? Quando finirò io? Stare dentro la vita è molto di più dello stare dentro qualche decina di anni dalla nascita alla morte.

Ma stare dentro la vita è anche responsabilità, verso se stessi, stesse, e verso gli altri, le altre.

Esista una verità di sé che tuttavia solo l’alterità riesce a far emergere, a mettere in luce, a non relegare nel cono d’ombra della clandestinità amorosa.

La verità di sé, però, non è semplicemente omologabile alle pratiche del conoscersi, siano filosofiche, psicologiche, psicanalitiche, o anche religiose. La verità di sé è la verità dell’amore che intendiamo nutrire in noi. E che porta, per quanto paradossale possa sembrare, proprio alla perdita del sé, ad una scompostezza salvifica, ad un esserci nella vita scandalosamente e per questo poterla redimere. Una vita redenta da ogni luogo comune, da ogni acquietamento verso le discipline che uccidono il sogno, la poesia, che spengono l’orizzonte, che fanno credere che i figli nulla dicano sul senso dell’amore perché quella è solo paternità o maternità, una faccenda ben diversa.

Invece noi vogliamo correre per le strade e gridare, aprire le ante delle finestre e lasciare che entri il sole, sorridere ai nostri stessi visi riflessi in uno specchio e dirci che ci vogliamo bene perché vogliamo bene a qualcuno, qualcuna, da qualche parte, chissà come, chissà dove, persino chissà perché.

David Maria Turoldo si infuriava contro il sorriso beota – simile a quello di un asino inebetito diceva, povero asino – di chi nega la complessità dell’esistere, che vuol dire anche sofferenza, dolore, morte. Tutti beatamente avvolti da un’euforia devota del “divin sorriso”, intossicati da una profumazione parareligiosa divenuta nauseabonda.

Sì, un altro amore è possibile. Ma non sappiamo cosa sia. Sappiamo che c’è, ma non lo conosciamo.

Come il nostro Ugo Pierri afferma di Dio: non lo conosciamo, ma ci piace parlargli.

E un un po come accade con il vicino di casa.

Resta un gesto, un foglio scritto, forse un diario, una fotografia, magari sopra la scrivania.

Una telefonata non fatta.

Un incontro mai avvenuto.

Una parola mai pronunciata.

Tutto resta, anche se non realizzato.

Eppure c’è, c’era, ci sarà.

Noi crediamo nella realizzazione di ciò che non sperimentiamo.

Perché noi crediamo alla gioia, che pure non sappiamo cosa sia, ma che ci fa amare e vivere, anche nel pianto.

Buona domenica.