Mancanza di fede
di Dario Culot
Immagine IA elaborata per questo contributo di Dario Culot
Quando il Papa ha affermato nell’omelia della sua prima messa tenuta nella cappella Sistina il 9 maggio 2025 che «La mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco», si sono sollevate non poche polemiche.
Ad esempio, il teologo Vito Mancuso, su “La Stampa” del giorno successivo, ha scritto che l’affermazione di Papa Leone è negativamente sorprendente, perché collega direttamente la mancanza di fede con gli effetti negativi da lui citati quali l’assenza del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona, eccetera.
Anche secondo il mio modesto parere l’accostamento è inappropriato. Lo dico pensando a tante persone che non hanno, o non hanno mai avuto, la fede in Dio, ma non per questo sperimentano tutti quei drammi descritti dal papa, né dimenticano la misericordia; anzi, al contrario, talora contribuiscono forse anche più dei credenti ad aiutare i bisognosi. Non dimentichiamo, infatti, che spesso chi si dichiara credente ed è anche rigoroso nel seguire i riti sacri, causa anche tanta sofferenza nell’ambito profano, nelle persone che incrocia, cioè negli ambiti fondamentali della vita[1].
In effetti, in base alla vostra esperienza, ditemi: quante persone gioiose, contente e capaci di trasmettere pace e serenità avete trovato fra coloro che si dichiarano fortemente credenti, e invece quante ne avete trovate di meste, tristi o perfino lugubri, capaci solo di ammonire, minacciare e mettere ansia?[2] Che impressione si ricava oggi passando davanti a una chiesa nel momento in cui la gente esce frettolosamente dalla messa? Vi dà forse l’impressione di essere contagiati da qualcosa di gioioso che non riuscite a capire, per cui siete immediatamente incuriositi e volete entrare per capire cosa è successo là dentro? O forse vi dà l’impressione di gente che ha dovuto partecipare per puro dovere a un rito noioso e pesante, e vi vien voglia di allontanarvi il prima possibile da quel luogo, pensando che non ha nulla di attraente da offrire?
I mag(h)i[3] erano evidentemente individui inquieti e in continua ricerca, ma quando rivedono la stella e giungono sul luogo dov’era il bambino sono presi da gran gioia (Mt 2, 10). L’evangelista sta esprimendo con questo racconto un messaggio universale di consolazione: a chi incontra Gesù viene promesso un animo libero da preoccupazioni, ansietà, angosce, ombre. Se invece queste permangono è segno che Cristo è ancora lontano e l’incontro con lui non si è ancora verificato[4]. E allora onestamente, ditemi: avete mai sentito dire in qualche predica l’opposto di quello che ha detto il papa: che cioè spesso più le persone sono lontane dalla religione, più le persone sono lontane da un ambiente sacro, meglio riescono a vedere il bene che pur esiste nel mondo e ad esprimere gioia e allegria, come se avessero percepito i segni di Dio senza la mediazione dei preti, proprio come hanno fatto i maghi?[5]
La sto sparando troppo grossa? No. Guardate che non sto dicendo nulla di blasfemo perché, sempre stando ai vangeli, anche in allora erano proprio le sinagoghe (cioè le chiese di allora) a indemoniare la gente (Mc 1, 23-26). O vi è forse sfuggito che ogni qualvolta Gesù entrava in una sinagoga c’era uno scontro a fuoco? Innanzitutto Gesù non entra mai in una sinagoga o nel Tempio per pregare o per partecipare alle sacre cerimonie, ma solo per insegnare,[6] e ogni volta scoppia un duro contrasto (a Nazareth - Lc 4, 16-30; a Cafarnao – Mc 1, 21; Lc 4, 32-35; nella sinagoga non meglio specificata – Mt 4, 23; Lc 13, 10-17): l’evangelista ci fa capire che c’è incompatibilità netta fra Gesù e l’ambiente religioso. Nelle sinagoghe verrà presa la decisione di assassinarlo (Mc 3, 6; Lc 4, 28-30); nella Casa di Dio, dove va sempre per insegnare (Mc 14, 49; Gv 7, 14) cercheranno di lapidarlo (Gv 10, 31-33), e mentre i capi religiosi non hanno creduto a Gesù quando entrava nelle loro chiese, “al di là del Giordano”, fuori dell’influenza dell’istituzione religiosa, molti gli daranno adesione (Gv 10, 40-42), come molti gli daranno adesione dopo che l’eretica samaritana del pozzo è andata in paese ad annunciare quello che Gesù aveva fatto (Gv 4, 29-42).
Tornando allora a coloro che non credono, tanto per non fare nomi, ricordo un certo Gino Strada il quale, pur dichiarandosi ateo, non ha avuto bisogno della fede in Dio per fare tutto il bene che ha fatto in vita. Quando gli è stato chiesto perché faceva quello che faceva, visto che non credeva in Dio, ha risposto che quando vedeva migliorare un ferito, dopo averlo curato, era contento, e questo gli bastava. La cura dell’altro, cioè, anche senza pensare minimamente a Dio, gli dava gioia. Ma questa spiegazione dovrebbe subito ricordarci la storia del buon samaritano che era contento per aver soccorso e curato il ferito, senza minimamente aver mai pensato a Dio. E poi, visto che Gesù ci indica come modello di vero credente (Lc 10, 25ss.) non l’osservante sacerdote, non il pio levita, ma proprio quel buon samaritano, non è stato più cristiano (magari inconsapevole) un Gino Strada,[7] che in vita si è sempre dichiarato ateo ma ha speso tutte le sue energie per curare gli ammalati e i feriti, piuttosto che tante persone che dichiarano a gran voce la propria fede cristiana, vanno a messa tutte le domeniche, ricevono la comunione con frequenza, ma poi non si curano di chi ha più bisogno? Insomma, è indubbio che tanti credenti, pur fervorosi nell’esibire la loro fede, non esitano a compiere ciò che il papa ha definito «la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche»: e il pensiero, ovviamente, non può che andare ai numerosi esponenti del clero protagonisti di abusi sessuali sui bambini in tutto il mondo; o anche ai furti e agli scandali finanziari avvenuti recentemente proprio in Vaticano. Oppure ad altre malvagità ancora che è inutile elencare: diciamo solo che i campi di sterminio nazisti sono nati in un ambiente cristiano (NB: non musulmano), e che comunque i cristiani non si sono opposti in massa allo sterminio degli ebrei e di tanta altra gente[8]. Ecco perché ritengo che effettivamente l’affermazione del papa sia inappropriata. La si può edulcorare dicendo che il papa ha usato l’avverbio "spesso", il che esclude un nesso costante e necessario tra la mancanza di fede e i drammi enumerati. Ma è innegabile che quell’avverbio si attaglia allora allo stesso modo sia ai tanti uomini che non credono in Dio, sia ai tanti che dicono di aver fede. Richiamo sempre quando aveva detto il mahatma Gandhi: “Credo che mi sarei fatto cristiano, se non avessi visto come si comportano i cristiani”[9].
Perciò il problema principale, a mio avviso, è cosa s’intende per fede? O meglio: cosa papa Leone intende per fede? Ho trattato più volte del concetto di fede, e mi scuso se mi ripeto: direttamente dal Nuovo Testamento si possono ricavare almeno due concetti completamente diversi e fra loro contrapposti di fede. La fede come verità dottrinale, oppure la fede come risposta all’amore di Dio che si esprime in misericordia operosa affidandosi a Dio[10]. La prima si preoccupa di restare fedele al magistero e di obbedire formalmente alle regole; la seconda di ovviare alle sofferenze della gente. Per chi ha accettato la prima definizione di fede, e per questo si sente profondamente religioso e in sintonia con Dio, va ricordato che in realtà corre il rischio di intendere la propria fede come un’assicurazione sulla vita futura. Per di più, seguendo questa idea di fede, il rapporto con Dio viene inteso come compimento rituale di pratiche esteriori che non rinnovano e non cambiano la persona (non c’è alcuna metanoia, conversione[11]); ci si limita a conoscere un insieme di dottrine (in passato inflessibilmente colpevolizzanti e condannatorie) nate in realtà dalla convergenza fra pensiero giudaico-cristiano e pensiero greco-romano, con tutte le sue categorie filosofiche e metafisiche, e questo dà sicurezza. L’adesione a queste dottrine è stata spacciata (e quel che è peggio, imposta con intransigenza) dal magistero come l’unica strada verso la salvezza. Ma Gesù aveva solo insegnato un modo diverso di vivere, non ha insegnato né dogmi né dottrine[12].
Inoltre, se le Sacre Scritture sono state dettate da Dio, e mai possibile che Egli abbia rivelato due verità diverse in punto fede? Si può certamente dire che la fede, così come la intende san Paolo, è quella dogmatica del pensiero teorico, mentre la fede, così come la intende Gesù terreno, è quella spirituale (o pastorale come diceva papa Francesco, o della prassi[13] come ha criticamente affermato il cardinale Müller ex responsabile della Congregazione per la dottrina della fede[14]). Questo però fa capire una cosa sola: la teologia dogmatica ha il suo asse portante nelle lettere di Paolo, mentre la teologia spirituale o pastorale viene fuori dal Vangelo di Gesù, sì che il dogma (teoria cui si deve credere) e la spiritualità (ciò che si deve fare), avendo fonti distinte, vanno avanti necessariamente su due binari distinti.
Ma se ci chiediamo cos’era la fede per i primi discepoli di Gesù siamo di certo indirizzati verso la fede pastorale. I discepoli di Gesù non hanno appreso la “cristologia”, che ci hanno poi trasmesso, perché Gesù aveva loro impartito una serie di corsi e lezioni di teologia[15]. Semplicemente hanno provato una grande attrazione per quell’uomo e l’hanno seguito, cercando di capire cosa aveva di particolare quell’uomo misterioso – che andava per il mondo beneficando e risanando tutti (At 10,38) - per attrarli così tanto.
Ora, visto che alla messa pro ecclesia papa Leone ha mandato al mondo un messaggio importante: “chiunque nella Chiesa esercita un ministero deve sparire perché rimanga solo Cristo”, questo vuol dire che anche per questo papa ogni uomo del clero deve farsi piccolo piccolo. Cioè, non deve esercitare un potere, ma un servizio. E allora il Vangelo deve prevalere su tutto, comprese le lettere di san Paolo, compreso il codice di diritto canonico, compreso la struttura piramidale della Chiesa. Di più: il papa invita a non cercare la propria volontà, il proprio interesse, ma ad aprirsi in modo tale da creare dentro di sé lo spazio affinché Cristo e il suo Spirito possano operare e far sentire la loro volontà. Se dentro di sé la persona non lascia spazio alcuno, e lo riempie col proprio ego, Dio non riesce a manifestare alcunché.
Ora, certamente l’idea di un Dio sovrano onnipotente soddisfa l’aspirazione della grandezza umana, dove il sovrano ha il potere di comandare su tutti gli uomini. Per quale fine Iddio ci ha creati? La religione c’insegna che ci ha creati per servirlo: tutti dobbiamo servire Dio[16]. Invece Gesù non è d’accordo: Dio non ha intenzione di comandare, ma è Lui che serve. Nella vita normale è l’inferiore che lava i piedi al superiore: ci saremmo dunque aspettati di vedere che il discepolo lavasse i piedi al maestro, come il servo lava i piedi al re. Qui succede l’inverso; ma non è una lezione di umiltà. È solo la dimostrazione concreta che Dio – secondo l’insegnamento di Gesù,- non crea l’umanità per essere servito, come se Lui avesse bisogno di qualcosa. Gesù distrugge allora quella piramide costruita dall’uomo dove Dio sta in alto, e ha il comando assoluto su tutti; sotto di lui il clero, ancora più sotto i fedeli laici. Gesù dimostra che Dio sta in basso fra quelli che servono, fra quelli che soffrono. I discepoli volevano farlo re (Gv 6, 15); Gesù rifiuta e mostra che la sua regalità non segue il modello di questo mondo: Gesù nega validità a quelli che per il mondo sono i valori fondamentali per dar ordine alla società. In quest’ottica va guardata, nel vangelo di Giovanni, l’episodio della lavanda dei piedi che sostituisce l’istituzione dell’eucaristia. Ma teniamo anche presente che per il Vangelo servire non vuol dire assolutamente essere asservito e sottomesso: vuol dire prendersi a cuore la vita degli altri e aiutare a farla fiorire.
Anche se guardiamo alla lettera di Paolo (Fil 2, 6s.), lì si afferma chiaramente che Dio non lo possiamo conoscere attraverso la sua potenza e grandezza, perché si è incarnato in un uomo del rango di servo e non di re. E se guardiamo agli altri vangeli come è vissuto il Gesù terreno, cioè cosa ha detto e cosa ha fatto, sembra piuttosto evidente che se si vuol seguire Gesù bisogna vivere come persone profondamente umane, perché solo comportandosi così possiamo pensare di mostrare agli altri cosa fa, e quindi chi è, il Dio di Gesù. E Gesù è stato un uomo libero. Per Gesù il fattore decisivo nella vita – lo è stato nella sua e deve esserlo anche nella nostra – non è la sottomissione dell’“umano” al “divino”. Il fattore decisivo è che l’“umano” si liberi dell’in-umano che c’è in noi, e che in questo modo facciamo conoscere il “divino” che si rivela nella nostra umanità. Col che, si tratta di diventare ogni giorno più umani, più buoni, più tolleranti con tutti. Perché la natura umana purtroppo non porta automaticamente a questo[17]. L’ovvia domanda allora è: siamo stati noi cristiani capaci di portare nel mondo pace, giustizia, amore, oppure ci siano limitati ad essere soddisfatti dei nostri piccoli riti, del nostro accedere ai sacramenti, per cui abbiamo praticato una religione piuttosto che seguire il modo di vivere di Gesù?
Se allora siamo convinti che per annunciare il Vangelo non è sufficiente riproporre (o meglio, imporre) le dottrine della tradizione escogitate pur sempre da uomini come noi, ma invece crediamo che, con lo sguardo fisso su Gesù, dobbiamo fondare la nostra vita cercando di seguire quello che è stato il suo modo di vivere, dobbiamo conseguentemente anche accettare l’idea che il vero cristiano non si riconosce perché va a messa tutte le domeniche, non si riconosce per la sua profonda religiosità, ma per la sua grande umanità con cui tratta gli altri (Gv 13, 35). Anzi, la mera religiosità facilmente ci rende ciechi – come ha scritto sempre il prof. Castillo,[18]- perché ci fa credere che le nostre osservanze religiose siano l’essenza del cristianesimo, tranquillizzano la nostra coscienza dando alla persona perfino la convinzione di essere una “buona” persona, certi anche di esserci così assicurati la salvezza nell’aldilà. Se uno ha questa idea del cristianesimo, quando si confessa pensa di essere assolutamente un buon cristiano, perché non ha ammazzato nessuno, non ha commesso atti impuri, non ha rubato, non ha raccontato bugie, non si è dato da fare per avere la donna o i beni degli altri…Insomma, mica male! Può stare sereno e tranquillo. Ma se Gesù (o il confessore) gli chiedesse: “Di chi ti sei fatto prossimo quest’oggi?” Forse dovendo rispondere a quest’unica domanda nessuno potrebbe sentirsi più così bravo e tranquillo!
In effetti, nella realtà vediamo che spesso proprio le persone più religiose, quelle che amano tantissimo Dio e lo adorano continuamente in chiesa con grandi riti, che si battono continuamente il petto chiedendo perdono per i propri peccati, allo stesso tempo sono quelle che non trattano con rispetto le altre persone e perfino disprezzano molte di esse perché appartenenti a classi inferiori o perché considerate peccatrici. Questo significa che praticano semplicemente una religione, in quanto le loro osservanze religiose sono diventate un fine in sé stesse, e la loro religiosità (scambiata per fede) si sovrappone all’umanità. Ma l’esperienza di nuovo insegna che chi sceglie di porsi gratuitamente al servizio degli altri scopre che la solidarietà umana può appartenere anche al mondo laico o ateo, e che chi fa la comunione tutti i giorni non è necessariamente migliore di chi non la fa mai.
Non è un caso se papa Francesco ha riscosso più consensi fra i deboli di fede o gli agnostici, che fra i credenti tradizionali, proprio perché è stato capace di intercettare il loro bisogno spirituale superando le appartenenze rigidamente identitarie basate su dogmi e dottrine immodificabili, dimostrandosi invece capace di aprirsi a punti di vista diversi dall’insegnamento magisteriale tradizionale, consapevole che la realtà è sempre più grande della rappresentazione che noi riusciamo a crearci nella nostra testa.
Se la specie umana è in processo, non è ancora compiuta, per cui la speranza che ci resta è attendersi fiduciosamente che ogni generazione introduca novità, a piccoli passi, per far diventare l’umanità sempre più umana, eliminando a poco a poco l’inumanità che ci abita.
NOTE
[1] Si pensi a come si nega la comunione ai divorziati risposati, alle tragiche sofferenze del fine vita, dove i sacri principi non negoziabili spesso prevalgono sulle dolorose esperienze concrete che si devono affrontare.
[2] Il filosofo Nietzsche scriveva – mi sembra nell’Anticristo - che “Per la vostra fede le vostre facce sono sempre state più dannose delle vostre ragioni”. Cioè, facce tristi e lugubri smentiscono la vostra asserita fede cristiana.
[3] Presentati come i tre re magi dalla tradizione. E poi è da ricordare che la luce dei mag(h)i non li porta in cielo, ma li fa camminare con i piedi ben per terra.
[4] Da Spinetoli O., Il vangelo di Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 137.
[5] Ricordate come il vangelo di Matteo inizi con i maghi pagani e quello di Luca con i pastori. Nei vangeli le due categorie di persone che il sacro magistero riteneva escluse dalla salvezza a causa della vita impura che conducevano, percepiscono subito i segni di Dio. I loro censori, le persone pie e religiose, no. Questo significa che più si è lontani dalla religione e più si ha la possibilità di incontrare ed accogliere il Signore, quando si fa presente. Più si è immersi nelle regole religiose, più ci si purifica, e più sarà difficile incontrare e riconoscere il Signore. Un messaggio piuttosto forte come inizio dei vangeli, altro che le tenere figurine del presepio!
[6] Haag H., Da Gesù al sacerdozio, ed. Claudiana, Torino, 2001, 70s.
[7] Naturalmente in una visione totalizzante del cattolicesimo, si sostiene (contro la parabola del buon samaritano, che senza saperlo è lui in stato di grazia, mentre non lo sono il sacerdote e il levita i quali passano accanto al ferito senza soccorrerlo perché ossessionati dal comandamento divino che impone loro la purità; contro la parabola del fariseo e del pubblicano, dove solo quest’ultimo è in stato di grazia anche se il fariseo crede il contrario) che senza la grazia santificante ogni buona azione non conta nulla e non si può essere partecipi della vita di Dio. Perciò un atto naturalmente onesto non commesso in stato di grazia non può mai essere elevato all’ordine soprannaturale e quindi non può valere poi ai fini della vita eterna.
Oggi si tende a ritenere che la grazia di Dio è per tutti, e ognuno poi l’accoglie secondo le sue capacità. Dio non si è rivelato solo nella tradizione religiosa cattolica, e opera in tutte le religioni. Dio è sicuramente più grande della religione cattolica, e visto che Gesù è la via, cioè dà la vita, la vita è sempre più importante della dottrina. Dunque la pluralità delle religioni non è dovuta al peccato dell’uomo ma, è dovuta alla sapiente volontà di Dio (Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, siglato ad Abu Dhabi il 4.2.19, in
Papa Francesco aveva in precedenza anche detto che la grazia può avercela anche chi non crede (Colloquio del papa con Scalfari, “La Repubblica” 1.10.2013, 3). Per di più questo papa riteneva che anche chi non crede in Dio non pecca per questo, non è necessariamente un eretico e può salvarsi (riportato da J. Carcas, Il folle di Dio alla fine del mondo, Guanda, Milano, 2025, 191), il che spiega perché vari tradizionalisti cattolici, chiusi sulle proprie convinzioni, ritenevano che l’eretico fosse lui.
[8] A dire il vero neanche papa Pio XII si era opposto pubblicamente e con forza a quella politica di sterminio, anche se ha dato disposizioni per salvare tanti ebrei dov’era possibile.
[9] L’Europa è oggi solo formalmente cristiana; in realtà venera mammona (Mahatma, a golden treasury of wisdom, ed. India Printing Works, Mumbai, senza anno, 7).
[10] Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 360: la fede non è vedere le cose per dare fiducia, ma dare fiducia (a Dio) per vedere le cose in modo nuovo.
[11] E conversione significa effettuare per prima cosa un cambiamento in noi, e poi trasferirlo fuori; e questo cambiamento significa pace e armonia (NB: questo non è solo Vangelo, ma è anche la base del buddhismo, come riportato dal monaco Altan a Javier Cercas, Il folle di Dio alla fine del mondo, Guanda, Milano, 2025, 222. Vedete come le grandi religioni hanno tanti punti fondamentali in comune).
[12] E che il cristianesimo non sia un sistema di nozioni, bensì una via da seguire tracciata da una persona, Gesù, è confermato anche da papa Benedetto XVI (Ratzinger J., Introduzione al cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 91).
[13] Pastorale è dunque l'agire stesso della comunità ecclesiale che rende operativamente manifesto ciò che essa è.
[14] In http://www.iltimone.org/32503,News.html; vedi anche in http://www.ilfoglio.it/articoli/2014/12/04/religione-cardinal-muller-separare-pastorale-e-dottrina-sottile-eresia___1-v-123496-rubriche_c287.htm.
[15] Castillo J.M., Declive de la religión y futuro del Evangelio, Desclée De Brower, Bilbao, 2023, 123.
[16] Così, ancora oggi, c’insegna la teologia: n. 358 Catechismo; Sirboni S., Servire o servirsi di Dio, “Famiglia Cristiana”, n.25/2011, 127.
[17] Castillo J.M., Teologia popolare, III – La fine di Gesù, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2025,21s.
[18] Castillo J.M., Declive de la Religión y futuro del Evangelio, Desclée De Brower, Bilbao, 2023, 138s.
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/