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La monadologia di G. G. Leibniz preceduta da una esposizione antologica del sistema leibniziano, a cura di Eugenio Colorni. Firenze: G. C. Sansoni Editore 1935 - Foto tratta da commons.wikimedia.org



Eugenio Colorni a Trieste




di Roberto Del Buffa

(Socio di Casa Alta)



La mia professione è il filosofo. Non mi sono mai domandato perché faccio il filosofo. Quello è la mia essenza, la mia stessa personalità, la mia missione nella vita

Eugenio Colorni, nell’ottobre 1936



Forse non è molto noto che fra i sette ebrei italiani decorati di medaglia d’oro al valor militare per il loro contributo antifascista, ben tre fossero triestini, Eugenio Curiel, Sergio Forti e Rita Rosani. Ce n’è anche un quarto che ebbe un legame profondo con Trieste e che nei suoi cinque anni di residenza maturò alcune delle scelte decisive della sua breve esistenza. Si tratta di Eugenio Colorni.

Arrivato a Trieste nel tardo autunno del 1933, a soli 24 anni, Colorni era reduce da un periodo di continui trasferimenti. Aveva però la speranza che la sistemazione di Trieste fosse il primo passo verso la stabilità. Fra il 1931 e il 1932 era stato a Berlino con una borsa di studio per approfondire le sue ricerche su Leibniz. Qui aveva conosciuto Ursula Hirschmann, che, quattro anni dopo, sarebbe divenuta sua moglie. L’anno accademico 1932/33 l’aveva trascorso a Marburgo, come lettore di italiano associato alla cattedra di filologia romanza tenuta da Erich Auerbach nella locale Università, ma, con l’avvento di Hitler, aveva deciso di tornare in Italia, mentre Ursula, socialista e di famiglia ebrea, anche se di confessione luterana, aveva raggiunto il fratello minore Albert Otto, che studiava a Parigi. Vinto il primo concorso utile per l’insegnamento di storia e filosofia nei licei e di filosofia e pedagogia negli istituti magistrali, nel maggio 1933 Colorni aveva ottenuto una supplenza al liceo Grattoni di Voghera, per poi ricevere il suo primo incarico annuale a Trieste. In una lettera a Giovanni Gentile, scritta da Milano e datata 11 novembre 1933, Colorni annuncia il suo imminente trasferimento a Trieste, forse già nell’appartamento al n. 2 di Piazza Carlo Alberto.

Colorni rimarrà a Trieste, come docente di filosofia e pedagogia all’Istituto magistrale Giosuè Carducci, per cinque anni scolastici, dal 1933/34 al 1937/38, sfruttando i periodi di sospensione delle attività didattiche per frequenti viaggi a Milano dove aveva mantenuto l’appartamento di via Guido d’Arezzo, e soprattutto per alcuni importanti viaggi all’estero, dove gli impegni di studio nascondevano spesso incontri clandestini con i vertici dell’antifascismo socialista. Nel periodo estivo Colorni trascorreva poi alcune settimane in Versilia, a Forte dei Marmi, nella grande villa di famiglia della madre, Clara Pontecorvo.

In un primo viaggio a Parigi, nell’estate del 1934, Colorni ritrova Ursula Hirschmann, che decide di raggiungerlo a Trieste, dove arriva nell’aprile del 1935. Pochi mesi più tardi diventa sua moglie. Stabilisce inoltre una collaborazione con il fratello di Ursula, Albert, che fa parte di un nutrito gruppi di fuoriusciti tedeschi antifascisti. Dopo la guerra, diventato cittadino americano e anglicizzato il cognome in Hirschman, diventerà un famoso economista, titolare della cattedra di economia politica dell’Università di Harvard.

A Trieste Colorni si dividerà fra gli studi filosofici e l’impegno politico antifascista. In entrambi i casi è proprio la città a fornirgli occasioni da un lato per ripensare il senso del suo impegno filosofico, dall’altra di confermare le ragioni e l’importanza della sua azione politica. Come ricorda Bruno Pincherle, uno dei maggiori esponenti dell’antifascismo triestino,

«Chi portò al nostro gruppo un soffio di vita nuova fu Eugenio Colorni. Era più giovane di noi, più entusiasta, più preparato. Fu Eugenio a cercare contatti con i comunisti. Ricordo che per merito suo (e di suo cognato Albert Hirschmann) arrivarono a Trieste nuovi fascicoli clandestini dalla Francia, e soprattutto molto materiale propagandistico della guerra di Spagna; per merito suo riprendemmo a discutere, a analizzare la situazione italiana, ad esaminare i rapporti con i fuoriusciti. Colorni lavorava anche a contatto di Curiel».

Da un punto di vista politico Colorni, pur rimanendo in contatto con Carlo Rosselli, si era allontanato dai gruppi di “Giustizia e libertà” proprio negli anni triestini, anche a seguito degli arresti torinesi del 1935 che avevano di fatto decapitato la struttura clandestina di GL. Si era invece avvicinato al Centro interno socialista, guidato allora da Rodolfo Morandi, Lelio Basso e Lucio Luzzatto. L’azione clandestina dei socialisti in Italia sarà però duramente colpita, nell’aprile 1937, dagli arresti di molti aderenti e in particolare di Morandi e Luzzato. Colorni si troverà così a dover assumere un ruolo decisivo non solo nel mantenere i rapporti fra gli antifascisti italiani e la dirigenza socialista all’estero, ma anche nella ricostruzione della struttura socialista clandestina, soprattutto attraverso la sua rete di rapporti a Milano e a Trieste. A questo scopo si reca altre due volte a Parigi, per incontrare Pietro Nenni, Angelo Tasca e Carlo Rosselli, con cui discute l’opportunità di un’azione comune delle forze antifasciste in Italia. Prima del secondo viaggio a Parigi, in occasione del Congresso internazionale di Filosofia, che si volge dal 31 luglio al 6 agosto 1937, Carlo Rosselli è vittima, insieme al fratello Nello, di un attentato fascista. È un duro colpo per i progetti di Colorni che, in collaborazione con l’esponente comunista triestino Eugenio Curiel, puntava a promuovere l’unità di azione delle forze antifasciste in Italia. In effetti Carlo Rosselli, anche per la generosità con cui si era speso per i fuoriusciti, appariva l’unica personalità che avrebbe potuto, con il suo prestigio personale, mediare fra le diverse forze politiche antifasciste, e probabilmente era per questo che il governo italiano aveva assoldato dei sicari per eliminarlo. Il progetto unitario trova inoltre resistenza nel centro estero del Partito Comunista, che non vede con favore la collaborazione di Curiel con Colorni, nonostante fosse stato proprio quest’ultimo a metterlo in contatto con Emilio Sereni, influente dirigente comunista, di cui Colorni era cugino.

Nel 1937, in coincidenza della nascita della primogenita di Eugenio e Ursula, Silvia, arriva a Trieste il cognato Albert, che rimarrà fino ai primi mesi del 1938, quando deciderà di rifugiarsi negli USA.

Sembra impossibile che, in questa temperie politica, Colorni trovi anche il tempo per sviluppare una autonoma posizione filosofica, alla cui maturazione contribuiscono due amicizie triestine: quella già ricordata con Curiel e quella decisiva con il poeta Umberto Saba, della cui inflluenza ha reso testimonianza lo stesso Colorni, che, a conclusione della sua autobiografia filosofica, redatta fra l’aprile e il maggio del 1939, pose una specie di racconto, intitolato Un poeta. Colorni vi narra, in prima persona, della sua frequentazione del poeta libraio, che a chi vuole parlare di libri, dichiara che la sua preoccupazione è di scriverli, non di venderli, mentre a un impacciato Colorni che prova a parlargli di poesia risponde che non vale parlarne, lui i libri li vende. Spiace che questo intenso ritratto sia poco noto agli studiosi di Saba, nonostante offra materiale prezioso per ricostruirne la personalità.

All’epoca dell’incontro con Saba, Colorni, nonostante la giovane età, ha già compiuto un interessante percorso filosofico, che lo ha condotto dall’iniziale idealismo crociano a una forma di empirismo trascendentale che cerca di salvare la ricchezza delle osservazioni empiriche o psicologiche di Croce dal suo sistema idealistico, vero e proprio letto di Procuste in cui il filosofo napoletano costringerebbe la molteplicità dei dati della sua ricerca. In realtà Colorni si trova in un impasse. Nei termini di un sistema filosofico tradizionale, fosse anche trascendentale, le considerazioni di Croce che lo interessano, per il loro carattere di osservazione empirica o di annotazione psicologica, dovrebbero essere considerate, nella loro singolarità empirica o psicologica, come assolutamente irrilevanti dal punto di vista filosofico, in quanto non universali, cioè non inquadrabili nel sistema. Per superare questa difficoltà, più che agli studi su Kant e su Leibniz, cui è stato indirizzato dal suo insegnante Piero Martinetti, Colorni dovette affidarsi all’esperienza di vita e proprio all’incontro con Saba, appassionato di psicanalisi, ma totalmente disincantato nei confronti della filosofia. Colorni racconta come il poeta lo avesse messo in crisi con una domanda diretta: «È così sicuro, lei, di essere sano? E perché fa filosofia?» a cui il giovane filosofo non può rispondere. La questione non è infatti la difesa della filosofia in quanto tale: non si tratta di replicare ad un’accusa di astrattezza o di inutilità della filosofia. La domanda è diretta e personale, non teorica. Per Colorni si tratta di spiegare non perché si debba praticare la filosofia, ma perché la praticasse lui. L’effetto è dirompente: Colorni si rende conto come manchi una qualsiasi garanzia che l’esigenza metafisica che egli ha posto al centro della sua riflessione non sia in realtà che una sua idiosincrasia, anzi una vera e propria malattia filosofica. Colorni è costretto dalla domanda a ricostruire a posteriori la sua storia filosofica, per portare allo scoperto la ragioni profonde del sua fare filosofia: solo allora, freudianamente, potrà dirsi guarito:

Da quel giorno mi sento più libero e mi sembra di capire di più. C’è tutta una serie di cose di cui non ho più paura: di parlare per approssimazioni, di dire “gli esseri umani”, anziché “lo Spirito”. Da quel giorno non ho più orrore né disprezzo per le scienze naturali, e non sento più il bisogno di scrivere difficile. La parola “empirico” non è più per me un insulto. E da quel giorno non mi entra più in testa che cosa significhi l’Universale.

È da qui che parte la parte più rilevante del percorso filosofico di Colorni, che lo avvicina alla riflessione sulla scienza e che fuoriesce dai limiti di questo articolo, sebbene trovi anch’essa una radice, per così dire, triestina, in quanto oggetto di un confronto serrato proprio con Eugenio Curiel, che in quegli anni è ricercatore di meccanica razionale all’Università di Padova, ma è spesso a Trieste, per far visita alla famiglia e per la sua attività di militante comunista e antifascista. Qui era frequente che trovasse il tempo per incontrare Colorni e discutere con lui non solo delle prospettive della propaganda antifascista a Trieste, ma anche dei comuni interessi per la scienza e la filosofia. Fra l’altro è probabile che sia stato proprio Curiel a indirizzare l’attenzione di Colorni verso gli aspetti filosofici della teoria della relatività, che occuperanno un posto rilevante nelle sue riflessioni negli anni del confino e poi in quelli della clandestinità.

Eugenio Colorni fu arrestato l’8 settembre 1938 a Trieste. Da pochi giorni aveva appreso di dover lasciare il suo posto di insegnante a seguito della legislazione razziale che sarebbe stata annunciata da Mussolini il 18 settembre, proprio a Trieste. Prima di abbandonare il suo appartamento triestino, per trasferirsi di nuovo a Milano, Colorni si era recato in questura per ottenere il visto necessario a recarsi a Parigi, con il pretesto di discutere con l’editore Hermann la pubblicazione di un libro su Leibniz. In realtà il viaggio aveva lo scopo di incontrare nuovamente i vertici del Partito socialista. Colorni però era già stato individuato e messo sotto controllo dai poliziotti dell’Ovra quale elemento centrale dell’antifascismo triestino e, giunto in Questura, viene immediatamente fermato.

«Il Piccolo» pubblicò la notizia dell’arresto dopo quasi 40 giorni, con un articolo intitolato La doppia vita del prof. C. che rimarcava il fatto che Colorni fosse ebreo e che l’OVRA gli attribuisse un complotto antifascista. I verbali del processo mostrano però come le accuse rivolte a Colorni fossero piuttosto generiche, anche perché la polizia fascista non trovò, a casa di Colorni, i documenti più compromettenti, che Ursula era riuscita a distruggere prima della perquisizione. In questo modo il tribunale speciale si trovò nell’impossibilità di avvalersi delle numerose informazioni fornite dalle spie che erano riuscite a infiltrarsi fra fuoriusciti fascisti a Parigi, per non far saltare la loro copertura.

Trasferito in novembre al carcere di Varese, poi a dicembre nuovamente a Trieste, Colorni raggiungerà, dopo quattro mesi di detenzione, l’isola di Ventotene, per scontare la condanna a cinque anni di confino. A Ventotene molto gli ricorda Trieste, a cominciare da alcuni confinati. Come racconta a Ursula, in una lettera del 10 febbraio:

«In camerata siamo tutti triestini o semi-triestini, cioè un triestino vero, un dalmata, un capodistriano e io. Non hai idea di come mi faccia piacere essere insieme con i triestini. Tutti i racconti che ci facciamo si riferiscono a Trieste, e si parla delle vie e dei caffè e dei ristoranti, e sono tutti luoghi dove sono andato con te, e mi sento sempre riportato in quell’ambiente dove abbiamo passato i nostri begli anni»

Eugenio Colorni non tornerà più a Trieste. Ursula riuscirà a raggiungere Eugenio alla fine di febbraio e risiederà a Ventotene fino ai primi di aprile. E’ la prima di numerose visite, nelle quali saranno concepite la seconda figlia Renata e, nell’ottobre del 1941, la terza, Eva. Per alleviare le difficoltà della famiglia a trovare un adeguata sistemazione a Ventotene, con due bimbe piccole, Eugenio chiese e ottenne di essere trasferito a Menfi, in provincia di Potenza. Qui riuscì a riallacciare i rapporti con il partito socialista clandestino e il 6 maggio 1943 a fuggire dal confino per raggiungere Roma e, da latitante, dedicarsi all’organizzazione del nuovo Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nato dalla confluenza del PSI e del Movimento di Unità Proletaria di Lelio Basso. Dopo la capitolazione di Mussolini partecipa alla fondazione del Movimento Federalista Europeo, nato sulla scorta del Manifesto di Ventotene, di cui aveva contribuito a individuare i contenuti, poi redatti dai soli Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Con l’8 settembre e l’occupazione nazifascista, l’attività clandestina di Colorni si fa frenetica e rischiosa. Assume la direzione dell’Avanti clandestino e partecipa alla formazione della prima brigata partigiana Matteotti, di cui assume il comando. Il 28 maggio 1944 viene intercettato a Roma da due agenti della polizia speciale, la famigerata banda Koch. Il suo tentativo di fuga è fermato dai colpi di uno dei due agenti. Trasportato all’Ospedale San Giovanni, morirà dopo due giorni di agonia, il 30 maggio.