Ancora critiche
di Dario Culot
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/
Rispondo ancora ad alcune critiche, e mi dispiace se ripeterò cose già dette, ma anche le critiche ripetono, senza alcun apporto nuovo, affermazioni già sentite, e alle quali pensavo di aver già risposto.
1.- Mi è stato contestato che cado in contraddizione quando difendo il documento Fiducia supplicans (al n. 753 di questo febbraio), in quanto non mi accorgo che la relazione cosiddetta irregolare non può essere benedetta perché si finisce col benedire una condizione di peccato.
Non credo di essere caduto in contraddizione, almeno se guardiamo al Vangelo. L’immagine di Dio che punisce i peccati, tanto cara a chi mi scrive e a buona parte del magistero, è presente più volte nell’Antico Testamento, ma questo insegnamento subito s’ingarbuglia perché l’immagine di Dio misericordioso (pure proclamato dalla Chiesa) e l’immagine di Dio giudice, tremendo castigatore degli omosessuali, sono difficili da coordinare. Per di più, la dichiarazione Fiducia supplicans si limita ad applicare il principio fondamentale dell’amore universale di Dio, secondo il quale non si può escludere nessuno invocando una presunta legge divina. Che nessuno possa essere escluso dall’amore di Dio, Pietro – il primo papa,- l’aveva capito molti anni dopo la morte di Gesù («Dio mi ha mostrato che non si deve evitare nessun uomo come impuro» - At 10, 28). Sembra che, molti altri papi, prima di papa Francesco, non l’avessero capito.
Dunque la dichiarazione non può creare confusione fra i veri credenti, salvo coloro che pensano di dover continuare a dividere fra puri e impuri, ed espellere dalla comunità i secondi. Ma costoro forse non sono veri credenti, solo credono di credere.
Rinvio in secondo luogo al n.435 del 14.1.2018 di questo giornale, per quel che riguarda il concetto di “contro natura”, ove si spiega che l’omosessualità esiste ampiamente in natura, per cui non può essere contro natura; rinvio al n.619 del 25.7.2021 dove avevo chiarito in cosa consiste il peccato di sodomia (commesso cioè dai cittadini di Sodoma): questo è spiegato espressamente nel Deuteronomio (Dt 29, 22ss.), ove, alla domanda diretta sul perché Sodoma è stata distrutta, si spiega che i sodomiti avevano abbandonato l’alleanza con Yhwh ed erano andati a servire altri dèi prostrandosi davanti a loro. Dunque che sodomia e omosessualità siano sinonimi si scontra con l’espressa spiegazione biblica.
Perciò è già tutto da dimostrare che vivere un rapporto omosessuale sia vivere in una condizione di peccato. Questo lo dice la Chiesa, ma non lo dicono di sicuro i vangeli. Da questi risulta che Gesù non ha mai speso una sola parola sul sesso, né il peccato indicato dalla Chiesa si trova nell’elenco dei peccati lasciatoci da Gesù (Mc 7, 21-22); l’elenco riguarda soltanto comportamenti che escono dal cuore dell’uomo. Poiché ci è stato anche insegnato che l’unica fonte per i cristiani sono i vangeli, di nuovo è tutto da dimostrare che vivere l’omosessualità sia vivere in una condizione di peccato.
Ma anche ammesso e non concesso che ci si trovi davanti a un peccato, è vero che il magistero ci ha sempre insegnato che se non ci si pente e non si ovvia alla propria condizione di peccatori si permane nel peccato, e permanere nel peccato – continuando la vita di prima,- significa restare in inimicizia con Dio. Però, è sempre la Chiesa che ha introdotto queste modalità formali, mentre stando ai vangeli, non è così, perché Dio non chiede ai peccatori impuri di pentirsi e smettere di vivere nel peccato. Il modo in cui Dio si comporta con i peccatori è raccontato da Gesù nelle parabole del padre misericordioso e della prostituta perdonata (cioè i peccatori vengono perdonati con un dono gratuito d’amore senza porre alcuna condizione e senza alcuna garanzia che non ricadranno nel peccato). Queste parabole avevano già scandalizzato le pie persone di allora (compreso Giovanni Battista che manderà a chiedere: “sei tu quello che dobbiamo aspettare?”) e continuano a scandalizzare le persone pie di oggi. Però così si comporta Dio, certamente non in linea con quanto sostenuto dal magistero. Ad es. Gesù accoglie i pubblicani anche se non hanno cambiato mestiere, dimostrando così di essersi pentiti. Nel racconto del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 9ss.) il pubblicano mica ha cambiato mestiere. Oppure pensiamo all’episodio in cui Gesù dice alla prostituta: «Ti sono perdonati i peccati… La tua fede ti ha salvato; va’ in pace» (Lc 7, 48s.). È già inaccettabile che quella peccatrice abbia fatto irruzione, senza essere invitata, nella casa del fariseo: Ma è scandaloso – per i farisei,- che Gesù la congedi dichiarandola perdonata senza chiederle se si è pentita, senza chiederle di fare penitenza, ma soprattutto senza neanche chiederle di cambiare mestiere. Insomma, Gesù la congeda con la sua benedizione, mentre ben sapendo che Dio non tollera chi vive in condizione di peccato, avrebbe dovuto dirle: “Ti perdono, ma da adesso in poi non fare più la prostituta che è un mestiere assolutamente peccaminoso”. Le persone osservanti della dottrina, come quelle che criticano la Fiducia supplicans, avrebbero fatto così. E invece Gesù non fa così. E allora, la shockante conclusione che si ricava dal racconto è che è possibile continuare a vivere in una condizione di peccato, cioè in condizione che la religione considera immorale ed irregolare con conseguente emarginazione da parte della Chiesa, ma essere amati da Dio. La cosa non piacerà a tutti gli intransigenti pii e religiosi di ogni tempo, ma Dio si comporta così: quindi la prostituta può continuare a fare la prostituta ed essere gradita al Signore. Perché lo stesso metro non si mantiene allora per una coppia omosessuale? Se le cose stanno così, perché dovrebbe la Chiesa negare una benedizione anche a chi la chiede, pur permanendo in quello che la Chiesa considera peccato? La Chiesa è forse superiore ai vangeli? Com’è che alcuni credenti si auto-nominano giudici al posto di Dio,[1] ed essendo convinti che Gesù avrebbe allontanato le persone che vivono in condizione di peccato, vogliono allontanare queste persone dalla Chiesa, quando i vangeli dicono il contrario?
Ai tempi di Gesù i veri credenti erano convinti che condizione di malattia e condizione di peccato coincidessero: di fronte al cieco nato gli apostoli chiedono infatti se ha peccato lui o i suoi genitori (Gv 9, 2). Invece Gesù lo esclude, dicendo agli apostoli che né il cieco, né i suoi genitori avevano peccato. Dunque Gesù esclude ogni collegamento fra peccato e malattia, e fin qui anche la Chiesa è arrivata ad accettare la scottante novità,[2] tanto che esistono le “preghiere di guarigione,” le quali possono essere liturgiche e non liturgiche, a seconda che siano previste dai libri ufficiali o non sono ufficialmente approvate. Però non avendo ancora accettato che anche chi vive in condizioni di peccato possa essere gradito a Dio, lo zoccolo duro della Chiesa esclude ogni benedizione liturgica o non liturgica – e fino al documento Fiducia supplicans,- perfino una benedizione pastorale. Ma cosa è una benedizione?
Quando Elisabetta benedice Maria (Lc 1, 42: benedetta sei tu), riconosce semplicemente il dono di Dio, perché questo vuol dire benedire[3]. Invece quante volte noi, con uno sguardo d’indifferenza o di arrogante superiorità, mentre potremmo offrire energia vitale a una persona che incrociamo, potremmo vedere che anche in lei c’è una presenza divina (perché Dio è presente in tutti gli esseri umani), non lo facciamo? Perciò qui siamo chiaramente noi ad essere manchevoli, perché dovremmo domandarci: come si può pensare che qualunque persona (anche un gay, anche uno straniero, anche un divorziato) sia esclusa dallo scambiare con noi doni di vita? Come si può affermare che la benedizione di cui parla la dichiarazione Fiducia supplicans sia un errore perché i veri credenti devono allontanare chi non segue la retta dottrina? Fuori di noi c’è una forza d’amore più grande di noi, e la nostra vita si sviluppa solo accogliendo questa forza esterna. Per crescere dobbiamo lasciare che la forza della vita viva in noi, e poi diffonderla sugli altri, mentre manchiamo sicuramente di umiltà (e quindi siamo noi a peccare) quando selezioniamo e decidiamo a priori che certe persone non sono meritevoli di ricevere alcunché, perché così vorrebbe Dio in persona. In altre parole, siamo noi nel peccato anche se pensiamo di obbedire a Dio mentre obbediamo alla dottrina degli uomini, e il Dio dei vangeli ha detto ben altro.
2.- A coloro che mi contestano che non si può essere cristiani se non si accetta integralmente la dottrina così come insegnata dal magistero, sì che sono convinti che la Verità Assoluta consista proprio nel credere alla dottrina tradizionale insegnata dal magistero, ricordo che questa asserzione non trova riscontro nei vangeli. Infatti nei vangeli si trova questo: il cieco nato, una volta guarito e cacciato dalla sinagoga (cioè scomunicato e cacciato dalla chiesa di allora) perché non ha voluto ammettere pubblicamente che Gesù era un peccatore avendolo guarito di sabato in palese violazione della legge divina, incontra nuovamente Gesù e fa l’affermazione fondamentale di fede: “Credo, Signore” (Gv 9, 38). E allora, se il Vangelo ci sta dicendo la verità, arriviamo a questa conclusione tremenda: la fede in Gesù e nel suo Vangelo è possibile e autentica anche quando uno si comporta in maniera tale da vedersi rifiutato e scomunicato dalla religione ufficiale[4].
Va aggiunto poi che, se leggiamo il racconto del giudizio finale (Mt 25, 31ss.), ci accorgiamo di essere più attaccati all’insegnamento dottrinale, alla religione, che alla pratica della misericordia. Cioè ci sentiamo più sicuri se osserviamo la dottrina, il culto, dimenticando che sequela di Gesù vuol dire occuparsi, in primo luogo, dei bisogno degli altri.
Qui è decisivo tener presente che l’amore, di cui qui si parla, è l’amore degli “uni gli altri”. Non è, dunque, né l’amore che si ha per Dio, né l’amore che Dio ha, o può avere, per noi o verso noialtri. Niente di questo. La chiave del discorso sta nell’affetto e nella bontà, nella delicatezza, nel rispetto e nei modi cortesi che abbiamo gli uni gli altri. Qui in questo, e solo in questo, è dove sta Dio. E in questo è dove incontriamo Dio[5]. Dunque Gesù non c’insegna mai a praticare una regione, a obbedire a una dottrina, ma a spendersi per gli altri.
In effetti, la cosa più sorprendente – e perfino incomprensibile per tanto sedicenti cristiani – di questo racconto del giudizio finale, è che, nel giudizio definitivo di Dio non si terrà conto della relazione che ciascuno ha avuto con Dio (se si è seguita la liturgia cultuale o la dottrina), ma solamente della relazione che ciascuno ha avuto con gli altri; vale a dire, gli esseri umani con i quali abbiamo convissuto in questa vita[6].
Di più: fa notare sempre il prof. Castillo,[7] che i cristiani si riconoscono non per qualche pratica religiosa, e neanche perché si battezzano, o perché vanno a messa e seguono una dottrina. I cristiani si riconoscono perché sono persone che si amano tanto che quell’affetto, quell’amore, quella bontà, quel rispetto, quella tolleranza, quella estesa delicatezza praticata con tutti, tutto questo non ha altra spiegazione che la sequela di Gesù. I cristiani sono persone che prendono il vangelo sul serio, lo vivono, lo mettono in pratica. E questo dà come risultato una bontà che si nota, si tocca, ed aiuta gli altri a credere in Gesù.
Conclusione? I veri cristiani sono pochissimi, veramente un piccolo gregge (Lc 12, 32), e quelli che si fissano sulla dottrina solo credono di essere i veri cristiani, ma non lo sono. Perché la sconcertante eredità lasciataci da Gesù ci crea una resistenza talmente forte, che facciamo di tutto pur di cercare e trovare argomenti per proteggerci dal Vangelo. Perché il Vangelo e la vita di Gesù ci lasciano talmente indifesi, talmente nudi, talmente privi di protezione che cerchiamo disperatamente motivi per fondare e organizzare religioni, riti, cerimonie, poteri sacri, norme vincolanti, dottrine, verità e dogmi, tutte cose che ci danno sicurezza, pur di liberarci dalla tremenda paura causata dal fatto di vederci da soli, uno di fronte all’altro, nel rapporto col Dio di Gesù, che abita nell’altro[8]. E riconosco che è maledettamente difficile pensare che nello straniero dai lineamenti completamente diversi dai nostri, nel drogato che ciondola per strada, nel poveraccio sporco e puzzolente c’è comunque una presenza divina. Noi cerchiamo la presenza divina ancora nell’edificio chiesa.
Dostoevskij ha spiegato questa nastra difficoltà meglio di qualsiasi catechismo, quando scrive che il grande inquisitore ci ricorda che i bravi cristiani – come i sacerdoti dei tempi di Gesù - hanno rimediato al guaio del ritorno di Gesù mettendolo subito in carcere e dicendo: “stai buono, ci pensiamo noi a diffondere il tuo messaggio, ma con i mezzi nostri”[9]. In poche parole, il magistero dimentica che Gesù è nato, vissuto e morto per l’Uomo, non per la Chiesa; ed è morto per indicarci che l’unico modo di vivere è cercar di diventare sempre più umani rei rapporti con gli altri, e solo in tal modo onoriamo Dio. Non lo onoriamo credendo ai dogmi e alle dottrine.
3.- Qualcuno mi ha accusato, con questa mia mania di voler destrutturare, cancellare l’insegnamento tradizione religioso durato per secoli, di far parte della moderna moda della Cancel culture.
Niente di più errato, anzi penso di essere agli antipodi di quanto vuole la Cancel culture, nata negli Stati Uniti. Come sappiamo le acquisizioni culturali americane sono piuttosto strane: mettono in circolo delle tendenze che poi noi europei, a distanza di poco tempo, cerchiamo di copiare.
Alla famosa università di Berkeley (California) c’è chi vorrebbe cambiarle nome perché apparteneva a un vescovo anglicano che predicava il battesimo dei nativi americani, ma aveva piantagioni con schiavi. Nella stessa ottica c’è anche chi vorrebbe cancellare i classici della cultura greca e romana perché accettavano la schiavitù, il suprematismo di razza e quindi il razzismo.
C’è poi chi, dalla favola di Biancaneve, vorrebbe cancellare i nani (non si può giocare con l’handicap) e il bacio finale del principe azzurro dato a Biancaneve che non aveva dato il suo consenso (ma come avrebbe potuto, visto che era in coma?).
Altri ancora, al giuramento del presidente di Biden il giorno in cui ha assunto la sua funzione, avevano sostenuto che la poesia The hill we climb scritta da un’afroamericana poteva essere tradotta solo da un’afroamericano/a, ma non da un bianco. Ma guardare a come uno è d’aspetto, non a quello che sa fare, non è, a sua volta, razzismo?
Però il rischio maggiore della Cancel culture, a mio avviso, è la volontà di zittire e silenziare per sempre la persona di cui non si condividono le idee. Se si guarda alla decisione dell’Università di Torino di quest’anno (in conseguenza del conflitto palestinese-israeliano), la violenza psicologica appare piuttosto evidente: i contestatori, con bandiere palestinesi e uno striscione per il boicottaggio di Israele, tutti a testa alta, in piedi dietro ai membri del senato accademico, per lo più a guardare l’obiettivo del fotografo; quelli del senato accademico tutti seduti, imbarazzati, che guardano di qua e di là (la foto è reperibile su “Il Manifesto”). Sembra il ritorno alla gogna dell’immediato dopoguerra, inflitto ai vinti.
Se è illogico giudicare il passato secondo le regole etiche odierne, altrettanto illogico mi sembra eliminare oggi autori del passato (o anche del presente) perché gli odierni governi degli Stati, cui appartengono quegli autori, non si comportano secondo i canoni che ci aspetteremmo, o perché essi stessi hanno avuto comportamenti che oggi sono criticabili. Perciò mi sembra assurdo cancellare dai programmi un corso di studi su Dostoevskij o le musiche di Tchaikovsky solo perché Putin ha aggredito l’Ucraina, o le musiche di Puccini perché lui era un misogino fascista. È stato correttamente affermato che l’io che scrive libri o musica, o l’io che dipinge è un io diverso rispetto alla persona che lo contiene; e comunque l’io artistico è più grande dell’io persona. Perciò va giudicata l’arte, non l’autore. Allo stesso modo le università devono essere una fucina di idee critiche, il luogo del dialogo, dello scontro solo dialettico, senza aver mai la pretesa di scomunicare o allontanare qualcuno solo perché professa idee diverse.
Se guardiamo al Vangelo, mai Gesù ha detto: “non voglio più sentire una parola da te, sparisci!”. Ha detto a molti che sbagliavano; ha usato anche parole dure, come “cane” o “sepolcro imbiancato” o “satana”, ma non ha mai imposto il silenzio a qualcuno, essendo tutti liberi di entrare in discussione con lui e far valere le loro ragioni.
All’opposto, la Cancel culture vuol far sparire ogni traccia di qualcuno che, normalmente, non è neanche in grado di replicare e difendersi, magari perché è già morto. Perciò ogni cultura che mira a silenziare chi la pensa diversamente, invece di dialogare e accendere un contraddittorio, porta automaticamente in sé il germe del totalitarismo. Nei miei articoli miro esattamente all’opposto: vorrei sempre far pensare gli altri con la propria testa, e iniziare a discutere se l’idea da me esposta non li convince.
Mi stupisco perciò che possa prender legittimamente piede, anche da noi, un sistema che si basa sul far scomparire il nemico, sul silenziare chi pensa in maniera diversa da noi.
La cancel culture è chiaramente una forma di censura: uno si rifiuta di leggere o di ascoltare cose che non collimano con la sua idea. Ed è caratteristica propria degli integralisti che accettano di ascoltare solo le persone con cui già sanno che saranno d’accordo; sì che non ammettendo che possano esistere altre visioni abbracciano il totalitarismo, l’assolutismo. L’opposto della libertà che pensano di rappresentare.
4.- Le mie interpretazioni scriteriate dei testi sacri sono nel loro insieme inaccettabili?
A parte il fatto che non sono interpretazioni mie (magari fossi un teologo così acuto, mentre non ho neanche la licenza di teologo), mi richiamo sempre a opinioni di vari teologi diplomati, i quali citano sempre passi dei vangeli, a differenza di coloro che si aggrappano solo all’autorità del magistero. Soprattutto, però, mi accontento di rilevare che, all’epoca, anche la nuova interpretazione che Gesù stava apportando nella religione di allora era ‘inaccettabile nel suo insieme’.
Come mai chi mi critica non si chiede mai perché Gesù è stato così spesso disobbediente alle norme religiose, alle tradizioni, che il magistero di allora imponeva? Eppure sapeva che comportandosi così avrebbe scandalizzato tanta brava gente, si sarebbe scontrato col magistero e forse in tal modo avrebbe anche perso prestigio e credito davanti a molte persone pie. Non sarebbe stato meglio apparire, davanti a tutti, come un uomo profondamente religioso, perfetto osservante delle tradizioni e dei precetti religiosi? Se si è comportato così voleva farci capire che la religione non è Dio, ma al più un mezzo per arrivare a Dio. Voleva farci capire che troppi confondono la religione con Dio[10]. Così si spiega perché, quando arriverà il giudizio finale, Dio non ci giudicherà né sui sacrifici, né sulle pratiche religiose, né sull’aver creduto a certe dottrine o meno, ma solamente su una cosa: quello che ognuno ha fatto, od omesso di fare, per i poveri, gli ammalati, gli immigrati, i detenuti, gli emarginati (Mt 25, 31-46).
Ovvio che quando si comincia a leggere il testo in maniera nuova e diversa, la prima impressione può essere quella di sentirci improvvisamente straniti rispetto a ciò che prima era familiare e tranquillizzate; altrettanto ovvio che se letture egemoniche dei testi sacri, ripetute nel corso dei secoli, cominciano ad essere messe in discussione va in crisi l’intera struttura che si è costruita attorno a quelle interpretazioni, e occorre cominciare a pensare; a pensare con la propria testa, ed è questa fatica che molti non vogliono fare. E ricordiamo che Gesù ha detto: perché non giudicate da soli ciò che è giusto? (Lc 12, 57). Non ha detto di aspettare e seguire il pensiero del cardinal Müller o altri. Perciò voler sottomettere le menti a un potere che è autorizzato ad amministrare le coscienze in nome di un’idea di salvezza che rimanda all’Assoluto, non potrà mai essere accettato da chi si cimenta a giudicare da solo ciò che è giusto.
NOTE
[1] Anche qui andando contro il vangelo perché Cristo dice: “Non giudicate per non essere giudicati” (Mt 7, 1), e ci dice, invece: “Amate!” (Gv 13, 34).
[2] Eppure, ancora oggi, quanti di coloro che sono colpiti da una grave malattia si chiedono: “Ma cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?”.
[3] Molari C., Quando Dio viene nasce un uomo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2023, 363.
[4] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2018, 119.
[5] Castillo J.M., Teología popular, Desclée De Brouwer, Bilabo (E), 2013, II, 114.
[6] Ibidem.
[7] Idem, 116.
[8] Ibidem.
[9] Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, ed. Einaudi, Torino, 1993, 334s.: il Grande Inquisitore fa arrestare Gesù che ha avuto l’ardire di tornare sulla terra e gli dice: «Taci…Non hai neppure il diritto di aggiungere qualcosa a quello che è già stato detto da Te in precedenza. Perché dunque sei venuto a darci impaccio?... Tutto è stato da te trasmesso al papa, e tutto quindi si trova ora nelle mani del papa.».
[10] Castillo J.M., Teología popular, II, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 88.