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La felicità che ti danno le teologhe è la stessa che ti dava don Tonino

di Stefano Sodaro


«La gente non ci capisce. Me ne accorgo di questo. Quante cose vengono stravolte dal linguaggio delle omelie che facciamo. Sembra una cosa strana, questa, che non c’entra niente con il discorso, eppure importantissima. Questo significa anche simpatia con la gente. Se la vostra ragazza è olandese, qualche parola in olandese cominciate a impararla pure voi. Se noi veramente amiamo il mondo e vogliamo condividere la sua storia, dobbiamo anche omologare il nostro linguaggio a quello del mondo, renderlo più facile. I missionari parlano la lingua del popolo in cui sono mandati: imparano i costumi, studiano il retroterra culturale. Noi che giochiamo le partite in casa e non andiamo in trasferta a giocare, dovremmo tener conto delle variabili culturali, sociali, educative della gente con la quale ci troviamo gomito a gomito e quindi dovremmo sottoporre anche la nostra mediazione linguistica a un serrato esame analitico perché l’annuncio del Vangelo non cada nell’insignificanza e le cose che diciamo abbiano il sapore del pane che sa di grano, non delle cose sofisticate. Forse questa è un’esortazione che va diretta più ai preti che a voi, perché voi il linguaggio della gente lo conoscete, lo capite, però ho l’impressione che il linguaggio della fede lo disgiungiate dal gergo del mondo. Dobbiamo abbandonare le difficili parole, le sole parole. Oggi si comunica anche con i gesti, voi lo sapete, si comunica con uno sguardo, con i sentimenti.»

Sono parole della relazione tenuta a Loreto da don Tonino Bello ai rappresentanti Giovani e Acr dell’Azione cattolica marchigiana il 18 marzo 1990 (in A. Bello, Fino in cima. Scritti e interventi all’Azione cattolica, Ave 2022, pp. 44-45).

Sono parole che potrebbe essere state pronunciate quest’oggi nell’Assemblea, appena conclusasi, del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) a vent’anni dalla sua fondazione.

Perché il contenuto profondo, sostanziale, effettivo, rivelativo di ciò che scrisse e disse l’indimenticabile Vescovo di Molfetta Presidente di Pax Christi trentatre anni fa è il medesimo del ventennale sforzo di divulgazione teologica delle Socie del CTI, fin dall’origine.

“Gerusalemme” è città donna. Ma di Gerusalemme ci siamo disinvoltamente dimenticati, per concentrarci, invece, per ben focalizzarci, anche impuntarci, forse un po’ ossessivamente, su Roma. E Roma è di un virilismo ecclesiale che deprime, smorza il fuoco della passione, fa seccare l’acqua sorgiva di quella “fantasia” che il Vescovo eletto di Trieste – mons. Enrico Trevisi – raccomandava nelle parole dopo la sua ordinazione lo scorso 25 marzo a Cremona.

Il CTI dev’essere ascoltato nella Chiesa Cattolica perché l’associazione ad una folla di competenze ecclesiali che non è stata mai adeguatamente valorizzata, probabilmente proprio per la sua parentela con il mondo, per il suo mettersi in ascolto del mondo, per il suo evitare ogni condanna del mondo.

Vent’anni fa, quando il CTI fu fondato, mons. Bello era già passato dall’altra parte del mare, da dieci anni, il 20 aprile 1993, tre anni quasi esatti dopo aver pronunciato le parole di cui sopra.

Eppure, proprio adesso, ora, in questi giorni, in queste ore, la sua memoria può intricarsi con la testimonianza viva delle teologhe italiane, se solo sappiamo apprendere un linguaggio nuovo, che va oltre ogni confessionalismo e rigidità integralista di tipo religioso, per aprirsi al futuro. Al futuro del mondo, al nostro futuro.

Dunque: grazie, grazie, grazie – da ripetere all’infinito – al Coordinamento Teologhe Italiane!