Tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali


di Paola Franchina

Lasciamoci trascinare dall’entusiasmo coinvolgente di Cyrano de Bergerac, un sognatore animato da amore nobile: questo scontroso spadaccino, protagonista della commedia teatrale di Edmond Rostand, è capace di mandare in visibilio il pubblico, toccando, col suo lunghissimo naso e con la potenzialità espressiva delle sue parole, le corde dello spettatore. In particolare, la nostra riflessione prende abbrivio da alcuni versi del cantautore F. Guccini che nella canzone Cirano offre una critica corrosiva alla società. Nessuno può sottrarsi alle sferzate pungenti dello spadaccino: tra i destinatari della sua invettiva vi sono i materialisti, accusati di misconoscere la dimensione trascendente e simbolica dell’effettivo. Così canta Cirano:

E voi materialisti, col vostro chiodo fisso

Che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso

Le verità cercate per terra, da maiali

Tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali[1]

Lasciamoci sollecitare da questi versi per mettere in luce uno dei rischi più comuni in cui possono incorrere le scienze: la fallacia naturalistica. I dati scientifici, sia pur di fondamentale importanza per garantire una riflessione globale, rischiano di scadere in un naturalismo materialistico che riconduce dolore, gioia, senso del bene e altri contenuti della coscienza a semplici meccanismi nervosi emersi per selezione naturale[2].

Le scienze incorrono nell’alea di presentarsi come conoscenza esaustiva della realtà: la resistenza solipsistica può portare ad un riduzionismo che semplifica la complessità ai suoi elementi quantificabili. La frammentazione delle conoscenze nei vari saperi impedisce di ripensare alla densità simbolica dell’effettivo, obliando le interrogazioni essenziali della vita: «Il fondamento di quei processi come il pensare, l’amare, il credere, il pregare, che anticamente veniva considerato di natura spirituale, viene compreso, oggi, nella realtà materiale e, quindi, considerato di natura soltanto neuronale[3].

Si insinua, così, una frattura tra il mondo della scienza e Lebenswelt, il mondo della vita di husserliana memoria, laddove quest’ultimo indica una conoscenza del mondo che viene percepito dall’io. Come abbiamo a più riprese mostrato, alla conoscenza logico-obiettiva si deve affiancare l’evidenza originaria, che rimanda ad uno stadio pre-logico in cui l’io soggettivo è coinvolto. Si rende, dunque, auspicabile un dialogo positivo e costruttivo con altre forme di sapere, quali la teologia e la filosofia, affinché queste possano provocare, in modo positivo, la riflessione contro il rischio di ogni deriva riduzionistica del sapere.

Scrive D’Onghia:

Cercare di rinchiudere l’ampia e diversificata esperienza dell’uomo nei meccanismi cerebrali significa, in realtà, non prendere in debito conto tutto il valore simbolico dell’esistenza. La teologia può contribuire, con la visione relazionale, unitaria e dinamica della persona, a tenere desta la consapevolezza che la questione antropologica non potrà mai dirsi conclusa, in quanto, offre la ragionevolezza della possibilità di un’apertura dell’uomo al trascendente. Nel rispetto dell’integrità dell’uomo, la teologia può essere coscienza critica nei confronti dei vari riduzionismi e aprire nuove vie per la riflessione[4].



[1] F. Guccini, Cirano, in https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=cyrano+guccini#wptab=s:H4sIAAAAAAAAAONgVuLRT9c3LDYwLcxKSkt5xGjOLfDyxz1hKb1Ja05eY9Tg4grOyC93zSvJLKkUkuJig7IEpPi4UDTy7GLSS0lNSyzNKYkvSUyyyk620s8tLc5M1i9KTc4vSsnMS49PziktLkktssqpLMpMLl7EKpdWlJiXnFqcnK-QXpqcnJmXqZCcCRTKVyhJLS7JBwCpdDUvnAAAAA

[2] Cf. D’Onghia, N., «Il Sé relazionale. Spunti di riflessione tra neuroscienza e teologia», in R. Massaro – N. D’Onghia, ed., Il Sè tra ragione ed emozione. Come le neuroscienze interrogano la teologia, Ecumenica Editrice, Bari 2019, 59.

[3] Ivi, 58.

[4] Ivi, 63.