Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Pensare di essere cristiano 


di Dario Culot

L’incredulità di Tommaso del Caravaggio (vedi nota 13) - immagine di pubblico dominio


Dopo la parentesi (pur importante) sul sacrificio, vediamo oggi di affrontare altri punti fondamentali.

3. Quanto al Credo, cioè il testo che c’insegna i principali articoli della nostra fede,[1] mi sembra piuttosto evidente che la vita di Gesù sia rimasta schiacciata sotto la pesante lapide dell’agnello martire, sacrificato per espiare i nostri peccati: infatti nel Credo, non si spende una parola una su ciò che Gesù ha detto e fatto nella sua breve vita pubblica, per cui il suo messaggio è rimasto sostanzialmente oscurato[2].

Ad es. Gesù ha insistito ripetutamente sul Regno di Dio, e non lo ha spiegato partendo da una cerimonia religiosa, ma da una festa umana, paragonandolo a un allegro banchetto di nozze[3]. Inoltre, al banchetto potevano partecipare tutti, “buoni e cattivi” (Mt 22,10), senza prendere in considerazione se uno si comportava bene o male[4]. Di questo non c’è traccia nel Credo.

Altro esempio di oscuramento: pensiamo alla storia del peccato, colonna portante della dottrina cattolica. Quand’era in carcere, Giovanni Battista è venuto a conoscenza di quello che Gesù stava facendo e gli è sembrato che quelle cose non fossero in sintonia col Messia che lui aveva predicato. Infatti, nei suoi sermoni, il Battista aveva detto che il problema principale della gente era il peccato, per cui ci si doveva pentire dei peccati e convertirsi:[5] sul punto il Credo dice che professiamo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Invece, stando ai vangeli, Gesù, per quel che riguarda tutta questa storia del peccato e dei peccatori, stranamente si comportava in maniera del tutto diversa da come pensava e predicava Giovanni Battista. Per il Gesù terreno, il problema principale della gente non è il peccato, bensì la sofferenza[6]. Ecco perché la preoccupazione centrale di Gesù non è stata quella di minacciare i peccatori, ma far riacquistare la salute agli infermi, mangiare assieme a tutti i tipi di persone in difficoltà, specialmente con i poveri ed i peccatori, ed annunciare che la cosa più importante è il rispetto e comportarsi bene con gli altri[7], perché la vera ricchezza di questo mondo sono le buone relazioni con gli altri. Nulla di tutto questo ci dice il Credo.

L’interpretazione ufficiale del fatto della crocifissione (un sacrificio chiesto a Gesù dal Padre, per espiare i peccati di tutta l’umanità), sul quale – come si è visto nelle scorse settimane - si possono anche dare interpretazioni diverse, ha fatto diventare secondari tutti gli altri fatti (cioè tutti gli insegnamenti di Gesù), pur riportati nei vangeli. Solo recentemente si è cominciato a sentire dire da qualcuno che ciò che ci salva è la vita di Gesù, non la sua morte. O meglio: non è la sofferenza di Gesù che lo ha portato alla morte che ci salva; è l’amore con cui è vissuto che ci salva, anche se a causa di questo amore è finito nella sofferenza, che di per sé non è un bene.

Nella sua vita terrena Gesù ha fatto quello che era in suo potere per cercar di farci accettare una diversa immagine di Dio e per far arrivare fra di noi il Regno amorevole di Dio: ha fin perso la vita per instaurare il Regno di Dio, ma questo Regno non è ancora arrivato perché i suoi seguaci, invece di rimboccarsi le maniche per portare avanti l'opera da lui avviata, hanno continuato a comportarsi come se essa fosse già stata realizzata in modo perfetto e definitivo. È stata la Chiesa che ci ha abituato più a celebrare ricordi passati che a operare nel presente; più ad offrire al Padre i meriti del Figlio che i propri, sì che la nostra inoperosa pigrizia ha preso il posto dell'impegno misericordioso concreto[8] che doveva essere la caratteristica fondamentale di tutti coloro che si dichiaravano seguaci di Gesù.

Confermo quindi che oggi mi ritrovo a stare in silenzio durante gran parte della recita del Credo, dicendo una frase sì e altre due no, perché troppe parole mi sembrano in netta contraddizione con quello che sembra volermi comunicare il Vangelo. Faccio solo qualche esempio:

a) Credo in un solo Dio…creatore…di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo…per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Ma se già il Padre ha creato tutte le cose, non bastava il Padre? Insomma, è il Padre o il Figlio che ha creato tutte le cose? E se mi si dice che, stante la Trinità, quello che fa il Padre lo fa anche il Figlio, devo osservare che è stato completamente tralasciato lo Spirito santo, di cui si parla, solo con un breve inciso alla fine, come il Signore che dà la vita. Ma lo Spirito non ha creato nulla, a differenza delle prime due Persone trinitarie, per cui manca la decantata parità trinitaria.

b)  Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo...è salito al cielo. Ma oggi dire che Dio discende significa tradurre spazialmente ciò che non è nello spazio. Sappiamo che Dio non è nello spazio, per cui non può discendere. Per lo stesso motivo non può neanche salire, come invece ci si immaginava in passato in base alla descrizione dell’ascensione (Mc 16, 19). Oggi ragioniamo con altri modelli culturali, per cui neanche salendo Gesù sarebbe potuto arrivare in qualche luogo vicino a Dio. Allora dovremmo smettere di ripetere formule che andavano bene nella cultura di duemila anni fa, ma non più oggi[9]. Se le formule usate in passato per concretizzare l’immagine di Dio sono ormai inadeguate, inutili, abbiamo il dovere di sostituirle. Oggi ci si rende conto che l’evangelista sta parlando del nostro cammino e del traguardo cui siamo chiamati, ma dobbiamo anche riconoscere che non conosciamo lo stato attuale di Gesù, e non sappiamo come sarà la nostra forma ultima definitiva.

La salvezza, poi, è portare l’umanità alla piena umanità, cancellando ogni disumanizzazione[10]. Non deriva come un atto magico che scende dall’alto, grazie al sangue sparso da Gesù sulla croce. È necessario che noi uomini collaboriamo con l’energia divina che è dentro di noi, perché l’azione di Dio non riesce ad esprimersi nella storia finché non diventa azione di noi uomini. Per questo nella preghiera non ha senso chiedere a Dio di fare qualcosa per salvarci (sperando poi che qualcosa succeda), ma dovremmo invece chiedere di diventare noi capaci di fare ciò che ci è richiesto.

c) Credo la Chiesa, una… cattolica. Ma Dio è oltre il cristianesimo. O, in altre parole, Dio è sicuramente più grande della religione cattolica, con tutta la sua dottrina, con tutti i suoi dogmi e con tutto il suo magistero. Come ha detto anche papa Francesco, Dio non è neanche cattolico romano[11].

Insomma, Gesù ci ha spiegato con il suo modo di vivere e con i suoi insegnamenti che il mezzo per incontrare Dio e relazionarci con Lui non è la liturgia e il culto tradizionale, ma vivere il suo Vangelo. Vale a dire, il mezzo per incontrare Dio e mantenere con Lui la miglior relazione possibile non sta nel seguire i rituali sacri, la dottrina, i dogmi, ma nel realizzare quel progetto di vita profano, così come è stato vissuto da Gesù e ha preso forma nel Vangelo.

Se guardiamo bene ai vangeli, Gesù ha infatti centrato la sua predicazione sul Regno di Dio, e questo regno – come ben spiega il prof. Castillo [12]- ha tre obiettivi, tutti e tre squisitamente profani:[13]

A. La salute delle persone (motivo per cui Gesù cura tanti infermi);

B. Il cibo (che tutti abbiano da mangiare; e dovremmo mangiare non da soli, ma in compagnia, condividendo);[14]

C. La felicità o quanto meno la serenità delle persone su questa terra, che si ottiene soprattutto con le sane relazioni[15].

Tutti e tre questi obiettivi sono normalmente fuori della religione cattolica, e anzi visti con sospetto dalla stessa, perché la religione preferisce accompagnare le persone verso la perfezione individuale dell’anima e la santità. Invece, come ha fatto notare Antonietta Potente nel commento a Luca 19-20,[16] forse le stesse tentazioni di Gesù sono un dialogo interno proprio su questi problemi: pane, salute, potere nelle relazioni.

Abbiamo visto che i sacrifici si celebravano nel Tempio di Gerusalemme. Gesù – a differenza di Giuseppe e Maria (Lc 2, 24),- mai è andato al Tempio per offrire un sacrificio o per pregare (è andato solo a insegnare). Ma visto che per la Chiesa Gesù è Dio, se Dio non vuole sacrifici, allora non vuole neanche il Tempio. Se non vuole il Tempio, nemmeno vuole i sacerdoti, cioè i “funzionari del Tempio” che erano quelli che eseguivano i sacrifici[17]. A partire da Gesù, l’incontro con Dio si è spostato. Dio non lo s’incontra più nello spazio sacro grazie a rituali sacri, bensì nelle relazioni umane, a cominciare dalla miglior relazione possibile con Gesù, che, di sicuro, è stato visto dai suoi come un essere umano, non certo come Dio. Tant’è vero che, quando sta per prendere commiato dai suoi discepoli, Filippo, uno dei 12, aveva chiesto allo stesso Gesù: “Mostraci il Padre, e ci basta” (Gv 14,8). Evidentemente quei discepoli non si erano resi conto che Dio si stava rivelando in Gesù, né potevano immaginare che Gesù stesse all’altezza di Dio. Per loro, Gesù è stato un grande profeta (Lc 24,19), un essere umano, ma non certamente Dio, tanto che volevano sapere dove e come potevano incontrare Dio. Il fatto è che gli apostoli continuavano a pensare che Dio si incontra necessariamente nel “sacro”.  Invece stando al vangelo il Padre aveva “consacrato” Gesù, e si utilizza la stessa parola greca (hagiazō) (Gv 10, 36) che l’Antico Testamento aveva usato per parlare della “consacrazione del Tempio”. Col che, il vangelo ci sta dicendo che ‘la persona di Gesù’ sostituisce ‘l’edificio del Tempio’. Il Tempio – secondo le convinzioni religiose del popolo ebreo – era l’unico luogo dove Dio si rendeva presente. Ma se Gesù è il nuovo Tempio, questo significa che Dio si fa presente in Gesù: in Gesù noi vediamo Dio e incontriamo Dio. Perciò, solo assomigliando a Gesù, al suo modo di vivere, alle sue abitudini, alle sue preoccupazioni, possiamo praticare la religione.

In altre parole, Gesù ha cambiato completamente la religione. Perché essere una persona religiosa non consiste più nell’avere una buona relazione con il Tempio, con i sacerdoti e con le cerimonie, bensì assomigliare il più possibile a Gesù, alla sua vita, alle sue abitudini. La religione di Gesù non è più la religione dell’obbedienza al magistero e ai rituali sacri, bensì la religione della bontà che si affanna per alleviare la sofferenza e far felice la vita della gente[18]. Eppure neanche gli apostoli, i più vicini a Gesù, si capacitavano che, dove realmente s’incontra Dio, è “nell’umano più profondo,”[19] nel servizio amorevole fatto agli altri[20]. Perché sono le persone il tabernacolo di Dio.

Dunque va affermato che, mantenere buone relazioni umane – come ha fatto Gesù - è l’unico modo possibile perché siano buone anche le nostre relazioni con quello che chiamiamo “il divino”. Ascoltando Gesù, si ha l’impressione che l’umano ed il divino siano così mischiati, così fusi, che non è proprio possibile avere una buona relazione con Dio se non si passa attraverso l’umano (cfr. Gv 15, 9-17).

Quello che Gesù ci ha insegnato con la sua vita è stato allora un nuovo modo di vivere non nel mondo divino, ma in quello profano, dove sacro e profano si fondono, verso il basso.

Ora, se guardiamo alla storia delle religioni la prima cosa che emerge in modo nitido è la distinzione e la delimitazione di ciò che è sacro e religioso, affinché questo resti da parte, separato e messo al di sopra del profano e del secolare. Il sacro è ciò che si relaziona direttamente col divino, mentre il profano è ciò che appartiene all’umano. Il sacro, pertanto, è proprio di Dio, mentre il profano è proprio dell’uomo. Per questo le religioni stabiliscono luoghi sacri (i templi), persone sacre (i sacerdoti), oggetti sacri (gli altari, le immagini dei santi e gli angeli, le pissidi, i calici, i canti religiosi...) tempi sacri (giorni di precetto, feste religiose), norme sacre (alimenti che non si possono prendere, giorni in cui non si deve mangiare, proibizioni relative alla vita amorosa e sessuale, al lavoro, al riposo...)[21].

Gesù, all’opposto, pur volendo portare la gente a Dio, non ha mai ordinato di costruire una grandiosa cattedrale ma neanche una piccola cappella, non ha individuato luoghi sacri, non ha organizzato alcun luogo di ritiro o di preghiera, non ha chiesto di fare oggetti sacri, non ha ordinato nessun sacerdote (neanche fra i 12 apostoli), si è fatto seguire anche dalle donne contravvenendo a una lunga e consolidata tradizione; non ha proibito di mangiare certi cibi, non ha chiesto di digiunare in certi giorni, non ha organizzato funzioni religiose, non ha scritto né ordinato di scrivere un codice di regole religiose o liturgiche. Insomma, ha fatto esattamente il contrario di quello che hanno sempre fatto i fondatori di religioni.

Anzi, i vangeli raccontano come Gesù è vissuto e ha parlato in modo tale da entrare in costante conflitto con la religione, con i rappresentanti di Dio in terra (cioè con i sacerdoti e i teologi dell’epoca, cioè gli scribi), col Tempio, con le persone pie ed osservanti della religione (i farisei), che pretendevano obbedienza ai loro insegnamenti[22]. La religione era inconciliabile con l’insegnamento di Gesù, e per questo le persone pie e religiose (NB: non la massa dei peccatori, cioè noi tutti, come insegna la Chiesa) lo hanno ucciso. Gesù è morto per l’opposizione degli uomini di potere al progetto di vita terrena che Gesù stava proponendo per tutti gli uomini. Il bello è che questo lo dice ripetutamente Gesù stesso: sarà la classe dirigente a ucciderlo (primo annuncio della morte: Mc 8, 31; Mt 16, 21; Lc 9, 22; terzo annuncio della morte: Mc 10, 33; Mt 20, 18); non suo Padre. E se Gesù verrà messo in croce, non sarà perché ha pregato, ma perché ha preso posizione per l'uomo, perché ha parlato con coraggio contro le leggi e le situazioni ingiuste ed è andato contro il sistema consolidato della società di allora. L’uccisione di Gesù doveva servire da monito: nessuno può impunemente permettersi di osteggiare, con comportamenti alternativi, l’ordine sociale costituito. I continui imprudenti richiami alla fratellanza e alla solidarietà han fatto sì che Gesù non arrivasse alla vecchiaia[23]. Gesù è stato ucciso per il tipo di amore che viveva. In questo senso è diventato vittima della violenza (peccato) degli uomini, non certo vittima di Dio. Una persona che ama, in un mondo che vive di egoismo, viene necessariamente annientata. Questo vuol dire essere vittima del peccato, e in questo senso Gesù ha subìto le conseguenze del peccato degli uomini[24].

Ma allora si capisce perché è così difficile essere veri cristiani, perché anche il vero cristiano, che intende seguire Gesù, dovrebbe viaggiare come lui prevalentemente contromano rispetto alle strade alle quali siamo abituati. I più, anche fra coloro che si proclamano oggi cristiani, preferiscono invece fermarsi alla loro astratta teologia piuttosto che impegnarsi quotidianamente nel concreto, come ha fatto Gesù nella sua vita terrena[25].

Ma la cosa forse ancora più stupefacente è che, se guardiamo alla vita di Gesù, lui non ha fatto proprio nulla di tutto quello che noi oggi pensiamo sia indispensabile per essere vero cristiano: non si è fatto battezzare per il perdono dei peccati, non si è confessato, non ha fatto la comunione, non ha ricevuto la confermazione della cresima, non si è sposato davanti a un sacerdote, non ha ricevuto il segno dell’ordine sacerdotale, men che meno ha ricevuto l’estrema unzione prima di morire; ma soprattutto non è mai andato a messa, non ha obbedito ai legittimi pastori del Tempio (cioè della Chiesa di allora) e non è mai andato nel Tempio - o nelle sinagoghe - a pregare.

                                                                                                                                                    (continua)


NOTE

[1] Così il n.11 del Catechismo san Pio X.

[2] Vilanova E., Storia della teologia cristiana, ed. Borla, Roma, 1991, 94:  Nel Credo non si dice: “Credo che Gesù Cristo sia il suo unico Figlio”, bensì «Credo in Gesù Cristo». Quindi la fede non è adesione a una dottrina, ma è dinamismo, abbandono di sé a un altro, impegno personale davanti a quest’altro.

[3] Un grande banchetto di nozze – e ancor più se si tratta delle nozze del figlio del re – rappresenta una festa della felicità, del piacere, dell’allegria e della goduria condivisa per coloro che hanno l’opportunità di partecipare a un simile avvenimento. Gesù ha presentato il Regno di Dio come una festa nella quale gli esseri umani si sentono felici. E per ciò stesso si può assicurare che dove non si cerca e non si fa il possibile affinché la gente si senta bene, sia felice e possa gioire della vita, lì non c’è il Regno di Dio. Detto in maniera più semplice: la prima cosa che Dio vuole non è che la gente sia più religiosa o sopporti con rassegnazione e pazienza le pene e le umiliazioni che gli altri le impongono. NO. Dio non vuole questo. Quello che Dio vuole più di tutto è che noi tutti ci diamo da fare affinché coloro che ci stanno vicini si sentano a loro agio, si rispettino, si aiutino e siano felici (Castillo J.M., Teología popular, II, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 24s.).

[4] Idem, 23s.

[5] Se non ci convertiamo il castigo di Dio piomberà sui peccatori (Mt 3, 7-10; Lc 3, 7-9).

[6] La realtà – come aveva detto Josè Castillo nella sua omelia dell’11.7.2021 su Mc 6, 7-13, - è che Gesù non presenta affatto una maniera stravagante di vivere. Ciò che offre è  una  maniera  di  vivere non determinata  e condizionata  dal  denaro  e  dal benessere,  ma  dal  progetto  di  alleviare  la sofferenza, dalla lotta contro coloro che praticano violenza, dal rispetto per la  dignità  ed  i  diritti  di  tutti,  dall’impegno  di  rendere  felici  coloro  che  ci circondano.  Gesù non ha presentato un progetto stravagante, ma un progetto di umanità. Esattamente il contrario delle dignità e dei poteri cui ambiscono tanti chierici, che cercano di scalare e scalare per arrivare sempre più in alto. Immaginate allora come possono amare questo papa (che si richiama tanto al Vangelo) quei tanti alti prelati, gonfi di ego, assolutamente sicuri di aver il sacrosanto diritto di meritare il più alto rispetto, di aver il sacrosanto diritto a veder esaltata la loro maggior dignità, nella convinzione di essere superiori a tutti gli altri (inferiori), i quali hanno solo il dovere di subire il loro potere che deriva direttamente da Dio (nn.1897-1899 Catechismo). Che essi si ritengano insigniti di grande potere, dignità o gradi trova conferma nel fatto che si presentano mediante appellativi, abiti sacri, titoli, cose in definitiva che riproducono esattamente ciò che Gesù aveva proibito (Mt 23, 11ss.).

[7] Castillo J.M., Teología popular, II, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 63.

[8] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, Paideia, Brescia, 1999, 149.

[9] Anche in altre parti delle Scritture troviamo che la risurrezione è raffigurata come un innalzamento (Gv 12, 32), e lo stesso per l’ascensione (Lc 24, 51; At 1, 9). Ovviamente oggi non si può più prendere il racconto alla lettera e pensare che l’innalzamento vada inteso in senso astronautico, come se Gesù fosse un razzo sparato in cielo.

[10] Il cristianesimo è una religione di umanizzazione. Il grande problema che tutti dobbiamo affrontare come esseri umani è che, in noi, “l’umano” è fuso con “l’in-umano,” che parlare di umanità è parlare della disumanizzazione che ci trasciniamo dietro nella vita, causando rovine e provocando sofferenze incalcolabili e indicibili. Perciò, il grande compito di Gesù e la grande missione dei cristiani è (e deve essere) umanizzare questo mondo, umanizzare la convivenza degli uni con gli altri, la convivenza fra popoli, culture, religioni, classi sociali, istituzioni (Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 77).

[11] Papa Francesco incontra Eugenio Scalfari. “Repubblica”, 1.10.2013, 4: “Non esiste un Dio cattolico”. Eppure c’è ancora gente che si dichiara cattolica e fa dichiarazioni del tipo ‘il mio Dio non è il Dio degli altri’ intendendo che solo il proprio Dio è quello giusto. Ecco l’imperialismo religioso, dove gli uomini finiscono per dividersi e odiarsi per il fatto di adorare il medesimo Dio con riti diversi.

[12] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 235ss.

[13] Se un asiatico che non conosce il cristianesimo vedesse il quadro iniziale difficilmente penserebbe a una storia sacra. Michelangelo Merisi da Caravaggio è forse il pittore che meglio ha saputo rappresentare storie sacre attraverso immagini profane, dal forte aspetto carnale, tralasciando ogni aspetto di trascendenza (manca perfino l’aureola). E proprio per questo è forse il pittore che meglio ha saputo rappresentare quello che veramente è stato il Gesù terreno, la vera umanità di Gesù, che noi abbiamo santificato dimenticando che l’incarnazione significa piena umanità corporea e profana.

[14] Casati A., I giorni della tenerezza, Fraternità di Romena Pratovecchio (AR), 2013, 71s. scrive: “nella terza manifestazione del Signore, risorto, sulla riva del lago, ci s’immagina che se si manifesta sarà per dire cose importanti, come quando da noi appare la Madonna; e invece per lui la cosa che sembra importante è mangiare e far festa. La dottrina ufficiale, sconcertata per questa poca spiritualità, inventa l’interpretazione che questa fosse solo una scusa per attirare l’attenzione; ma allora bastava accendere il fuoco sulla spiaggia; perché curarlo per poi arrostire il pesce? La nostra è una spiritualità listata a lutto. Gesù preferisce accompagnare le persone verso la gioiosità, per questo ci propone il Regno di Dio come una festa, un banchetto, senza distinguere fra corpo e spirito”. Gesù non è spirituale nel senso che intendiamo noi: ricordiamo che lo vedevano come un mangione ed ubriacone (Mt 11, 19).

[15] Se i problemi che più preoccupavano Gesù erano il problema della salute, del cibo e delle relazioni umane, che poi sono i problemi umani più elementari presenti in tutto il mondo, la cosa più importante per Gesù non è la salvezza religiosa per l’aldilà, ma i bisogni umani per il di qua, sulla terra. Ecco che l’unica strada per incontrare Dio è incontrare l’essere umano (Castillo J.M., Teología popular II, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2013, 23): ad es., col racconto del pazzo di Gerasa (Mc 5, 1ss.) risulta evidente che per Gesù è più importante l’essere umano e la sua salute che il capitale e la ricchezza. Per questo ha Gesù preferito liberare l’uomo anche se il capitale è finito in fondo al mare. Al contrario per la gente di quella regione era più importante il proprio capitale (i propri maiali) che la salute e la felicità dell’essere umano (Castillo J.M., Teología popular II, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 52).

[16] Luca una storia sottosopra – n.15. La missione a Gerusalemme, 19.1.2023 per l’associazione Liberare l’Uomo, di Treviso

[17] A qualcuno sembrerà piuttosto brutto dirlo, ma i sacerdoti – più che studiosi e mistici - erano i macellai addetti al culto.

[18] Castillo J.M., Teología popular III, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2013, 29.

[19] Idem, 38.

[20] Tanto che Pietro, capendo perfettamente cosa Gesù voleva indicare con la lavanda dei piedi, si rifiuta categoricamente di farseli lavare (Gv 13, 8): quello è roba da schiavi, e se da una parte non vuol vedere il ruolo del suo Maestro sminuito, non intende nemmeno sminuirsi lui in futuro, visto che ambisce a diventare capo, e non servo.

[21] Castillo J.M., Teología popular I, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2012, 107.

[22] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, Cittadella, Assisi, 2008, 253: i Vangeli narrano che i discepoli di Gesù hanno dato prova evidente, in diverse occasioni, di sete di potere (chi era il più grande Mc 9, 34; Mt 18, 1; Lc 9, 46, 22,24 – chi pretendeva i primi posti Mc 10, 37; Mt 20,21). Gesù in questi casi è stato sempre severo: chi vuol essere il più grande si metta a servire e diventi l’ultimo. Non è questione di umiltà: Gesù ha visto che su questo si giocava qualcosa di molto più serio. C’era in gioco niente meno che il problema di Dio e la fede in Dio. Il Dio che si è rivelato in Gesù è il Dio che si fa presente nel piccolo, nella gente semplice. Non è il Dio del potere assoluto. Non è il Dio che mostrano coloro che ad ogni costo esigono obbedienza e sottomissione schermandosi con l’argomento che solo essi sono la voce del Dio onnipotente.

[23] Cives D., Tonino Bello, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 113.

[24] Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 28s.

[25] Collin D., Il Cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia, 2020. 150.



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