Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Pisside, opera di Charles Martin, 19mo secolo. Musée d'Art et d'Histoire de Sainte-Menehould (Francia) - foto tratta da commons.wikimedia.org



Perché si fa o perché non si fa? ...

di Dario Culot



 

Capelli e cappelli. Perché, entrando in chiesa gli uomini si tolgono il cappello lasciando i capelli (tanti o pochi) in vista, mentre le donne si coprono (meglio dire: una volta si coprivano con un velo) i capelli?

Anche questa è un’abitudine che sta scomparendo, perché la maggior parte delle donne – qui da noi - non si copre più i capelli, e si vede perfino qualche ragazzo o qualche adulto che non si toglie il berretto entrando in chiesa. Quand’ero giovane questo era un gesto immediato, che perfino un non credente compiva automaticamente.

La spiegazione è sempre legata al fatto che, consapevolmente o inconsapevolmente, si passava dalla strada profana a un luogo sacro. In segno di rispetto l’uomo si toglie il cappello davanti a un superiore. La donna invece si copre i capelli che sono un suo chiaro elemento di attrazione. Non per niente, in certe culture, la donna deve coprirsi i capelli anche solo per uscire di casa.

 

Digiuno e lutto. Il digiuno, come forma di penitenza, nei vangeli non c’è, nel senso che Gesù non ha mai invitato al digiuno per far vedere a Dio quanto siamo capaci di soffrire per Lui: quindi, dobbiamo dedurre che queste non interessano a Dio, ma sono pratiche pagane, in seguito fatte proprie anche dall’istituzione Chiesa. Stiamo ovviamente parlando del digiuno come rinuncia al cibo, non come rinuncia a nutrirsi idealmente di ingiustizie, potere e ricchezze, perché già nella Bibbia Dio in persona aveva detto: “Per digiuno intendo un’altra cosa: rompere le catene dell’ingiustizia, rimuovere ogni peso che opprime gli uomini, rendere la libertà agli oppressi…dividere il pane con chi ha fame, aprire la casa ai poveri senza tetto, dare un vestito a chi non ne ha, non abbandonare il proprio simile” (Is 58, 6-7). Questo, già nella Bibbia, è il digiuno gradito a Dio.

Il digiuno alimentare era invece nato come superstizione nel mondo antico pagano perché si credeva che, quando una persona moriva, i demoni che avevano causato la morte fossero ancora lì attorno nell’aria, pronti a uccidere anche i familiari; allora i familiari del morto, ricorrevano a due sistemi: si cambiavano d’abito per non essere riconosciuti, e questa è la radice del nostro vestirsi a lutto. Travestirsi era un modo per non farsi notare come parenti. Ma soprattutto si digiunava perché i demoni, che avevano causato la morte dell’individuo, potevano aver infettato i cibi di quella casa (allora si moriva a casa, non in ospedale). Quindi il digiuno e il lutto nascono come una superstizione nel mondo pagano, e poi si sono trasferiti nell’ambito religioso cristiano.

Certo, se scorriamo una edizione pre-concilio, troviamo effettivamente frasi come:

-  Marco 9, 28; Matteo 17, 20: Gesù rispose: questo genere di spiriti non si può scacciare in nessun modo se non con la preghiera <e il digiuno>, e questo digiuno è sicuramente una forma di penitenza.

- Mt 3,2; Marco 1, 4; Luca 3, 3: San Giovanni Battista predica un battesimo di penitenza;

- Mt 18, 3; Mc 1,15; Lc 13, 5: Gesù dice: se voi non farete penitenza, non entrerete nel regno dei cieli.

Su queste traduzioni si sono costruite le dottrine che conosciamo tutti.

Bene! Però guardiamo ora all’edizione della CEI[1] del 2008, o qualsiasi altra recente traduzione: quatti quatti, in Mc 9, 29 e in Mt 17, 20, i compilatori hanno completamente eliminato l’inciso <e il digiuno>. Il digiuno è sparito! Come mai? Semplicemente perché si sono accorti che nel testo greco più antico pervenutoci il termine ieiùnio, riportato nella Vulgata latina,[2] non è mai esistito ed è ormai riconosciuto che si è trattato di un’aggiunta di un qualche copista un po’ troppo zelante.

Noi cattolici, per ben 1500 anni, abbiamo utilizzato esclusivamente la versione latina (cd. Vulgata), risalente al 380 d.C. circa: si tratta di una revisione effettuata da san Girolamo[3] su incarico di papa Dàmaso[4]. Il concilio di Trento, nella IV sessione dell’8.4.1546, li riconfermò in blocco, con il decreto De canonicis Scripturis: "Chi non accettasse come sacri e canonici tutti i libri, per intero, con tutte le loro parti, come v’è usanza di leggerli nella Chiesa Cattolica e come si trovano nell’antica edizione latina della Vulgata, sia scomunicato”[5]. Com’è noto, secondo l’insegnamento della Chiesa, lo scomunicato finiva all’inferno. Oggi come oggi, l’istituzione si è accorta di aver mandato all’inferno un sacco di gente che non doveva andarci, ma sul punto glissa in elegante silenzio.

Nel frattempo, però, copia dopo copia per vari secoli, il digiuno aveva assunto enorme importanza nella spiritualità cristiana  perché si credeva che lo stesso Gesù l’avesse ordinato di fare, mentre Gesù quando aveva mandato in missione i suoi discepoli aveva detto: “Mangiate quello che vi viene messo davanti” (Lc 10, 8). San Francesco questo l’aveva perfettamente afferrato, per cui anche dopo che frate Elia aveva cominciato a scrivere le regole francescane inserendo l’astinenza, quando con frate Leone venne invitato a pranzo da un signore e venne offerto loro della carne in un giorno di astinenza, Francesco disse a Leone che non voleva mangiare: «Che cosa dobbiamo osservare, la parola di Gesù o la parola di frate Elia?» «La parola di Gesù!» rispose frate Leone. «E qual è la parola di Gesù?» riprese Francesco. «Mangiate quello che vi viene messo davanti», disse frate Leone. «E allora abbiamo la carne e mangiamo serenamente la carne» concluse Francesco[6].

Del resto, quando i farisei fanno notare a Gesù che perfino i discepoli di Giovanni Battista digiunano (Lc 5, 33), - ed è questo l’unica volta in cui sorge discussione sul punto -  egli risponde che gli invitati a nozze non possono digiunare finché lo sposo è con loro: altrimenti che festa sarebbe? Verranno i giorni del lutto, e allora il digiuno si farà, ma perché si stringe lo stomaco, e non perché Dio apprezza il digiuno. Dunque, il digiuno è un’espressione di lutto ed è incompatibile con la gioia che deve aleggiare nella comunità cristiana. Lo stesso san Paolo (Col 2, 16) aveva già affermato: «nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda»  (mangiare o non mangiare), e ancora più categoricamente: «il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito santo» (Rm 14, 17). Purtroppo nella religione cristiana insegnataci c’è poca gioia, e non c’è vita: siamo davanti a una spiritualità listata a lutto[7].

Quando tutte le persone pie digiunavano, cosa faceva Gesù? Da buon eretico Gesù si faceva una bella mangiata con i peccatori, con i miscredenti: vuol dire che non teneva in gran conto questa pratica di elevazione spirituale. Siccome Dio si vede in quello che faceva Gesù, vuol dire che a Dio, che uno mangi o non mangi non interessa proprio; gli interessa solo come uno si comporta con le altre persone, perché solo onorando l’uomo si onora anche Dio.

“Ah no!” dirà il pio osservante: in Mt 6, 16 Gesù ammette espressamente il digiuno, e gli stessi vangeli dicono che Gesù ha digiunato per 40 giorni nel deserto (Mt 4, 2; Lc 4, 2).

Allora bisogna chiedersi qual è il significato del digiuno religioso, perché è di quello che stiamo parlando. Il digiuno è chiaramente un’espressione di morte, perché se uno non mangia muore. Nel digiuno religioso si digiuna volontariamente non per far mangiare qualcun altro quando il cibo non è sufficiente per tutti (questo sarebbe un digiuno lecito di condivisione a favore di un altro), ma ci si mette volontariamente e potendone fare a meno in una situazione di negatività, di tristezza, di morte, per attirare su di sé lo sguardo benevolo di Dio (più terra terra, Pannella lo faceva per attirare su di sé l’attenzione benevola dei colleghi politici, che altrimenti non lo prendevano in considerazione), e soprattutto il suo perdono[8]. Il digiuno faceva quindi parte delle pratiche espiatorie per ottenere il perdono di Dio: per scalare il cielo si pensava che una purificazione avvicinava a Dio. Il digiuno religioso, poi, al pari dell’odierno Ramadam musulmano, comportava l’astinenza dal cibo dall’alba al tramonto. Orbene, Gesù non ha mai praticato il digiuno religioso. Nell’episodio del deserto, si dice che Gesù stette senza mangiare e senza bere quaranta giorni e quaranta notti, quindi non fu il digiuno religioso, perché era ininterrotto. Cosa vuol dire? Scrivendo per gli ebrei,[9] Matteo aveva un notevole scoglio da superare: la figura mitica di Mosè.[10] Mosè è il grande legislatore e allora Matteo deve proporre alla sua comunità un Gesù che non è inferiore a Mosè; e se Mosè sul Sinai è stato 40 giorni senza mangiare e senza bere per ottenere la legge del Signore (Es 34, 28), ecco che l’evangelista (evidentemente il suo è un escamotage letterario), ci presenta questo Gesù nel deserto che a sua volta per 40 giorni non mangia e non beve, né di giorno né di notte. Quindi non è una prova di ascetismo di Gesù, ma la dimostrazione che lui non è da meno di Mosè. Nei vangeli non c’è un solo termine che sia messo a sproposito, ognuno ha un suo significato. Perché l’evangelista non si limita a dire che digiunò quaranta giorni, ma aggiunge quaranta notti? Proprio perché il digiuno religioso, quello imposto dalla legge, inizia all’alba e termina al tramonto. Per far vedere che Gesù non fa il digiuno religioso, l’evangelista ci aggiunge quaranta notti. Non è, quindi, un digiuno fatto per ottenere dei meriti o dei favori da parte di Dio per chissà quali cose, ma è una prova di forza che lo mette allo stesso livello del grande profeta Mosè[11].

Dai vangeli, Gesù non emerge mai come un asceta. Anzi (Mt 11, 18-19; Lc 7, 33-34) l’ascetismo di Giovanni Battista (non mangia e non beve) viene proprio contrapposto alla normalità di Gesù (mangia e beve). Leggendo i vangeli sono tanti i pranzi ai quali Gesù ha partecipato, il che ha fatto sorgere su di lui la diceria che era un ghiotto mangione ed un ubriacone, amico di pubblicani e di prostitute. Quindi Gesù è uno che godeva della buona compagnia, dell’allegria, della buona tavola e del buon vino. I digiunatori religiosi, sempre tristi, sono coloro che vogliono meritare l’amore di Dio offrendo a Lui la propria fatica. Tutte cose che Gesù ha dichiarato inutili, anche se i farisei, e perfino i seguaci di Giovanni Battista ci credevano fermamente.

 

L’inchino. Liturgicamente parlando, i tre comportamenti del corpo più importanti sono: inchino – riverenza – genuflessione. La prostrazione (tipica della preghiera musulmana) si può dire che da noi è rarissima.

Con l’inchino si piega solo in avanti il capo; con la riverenza si piega in avanti tutto il busto; con la genuflessione si piega a terra un ginocchio (genuflessione semplice) o entrambi (genuflessione doppia); quest’ultima, nella liturgia romana, si usa effettuare quando – durante la messa - il pane eucaristico e il vino sono esposti all’adorazione dei fedeli.

Spesso, durante la messa, quando un laico si avvicina all’altare o per andare a leggere le Scritture, o per depositare ai piedi dell’altare le offerte raccolte, lo si vede fare l’inchino o la riverenza al prete celebrante, oppure all’altare. Niente di più sbagliato. Il gesto liturgico va fatto solo al tabernacolo, dove si conservano le ostie consacrate. Il segno di rispetto è riservato a Gesù, a nessun altro.

Se il Tempio di Gerusalemme era considerato l’unica casa di Dio in terra, con Gesù è l’uomo che diventa la casa di Dio. L’edifico chiesa diventerà la casa del popolo di Dio, il luogo dove si radunano i credenti (simile alla sinagoga, potremmo dire, se il termine non richiamasse troppo l’ebraismo), ma non è più il luogo dove Dio abita: la chiesa non è la casa di Dio, neanche per i cattolici: è solo il luogo dove i credenti si riuniscono. Correttamente, allora, i protestanti fanno rilevare[12] che, in realtà, nella Chiesa cattolica c’è ancora una reminiscenza del Tempio di Gerusalemme, visto che la conservazione delle ostie consacrate nel tabernacolo[13] costituisce una sorta di presenza permanente della divinità nell’edificio chiesa. E ricordo per i più giovani che, quand’ero piccolo, veniva insegnato che il laico che già osava toccare la pisside[14] commetteva peccato mortale e finiva all’inferno.

 


NOTE

[1] La versione CEI  è la Bibbia ufficiale della Chiesa.

[2] Il Concilio di Trento aveva dichiarato la Vulgata unico testo vero e affidabile su cui basarsi, sdegnosamente rifiutando il più antico testo greco che i protestanti avevano ripreso ad esaminare fin dai tempi di Erasmo da Rotterdam, nel 1516, per cui i protestanti hanno accumulato circa 450 anni di vantaggio nello studio sui cattolici, che si sono mossi appena dopo il concilio Vaticano II.

[3] Martini C.M., Il messaggio della salvezza. Corso completo di studi biblici, I, Elle Di Ci-Leumann, Colle di Bosco (AT) e Torino, 1964, 162. Laux J., Introduction to the Bible, ed. Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012, 15.

[4] Attwater D., Vite dei santi, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 1995, 152 s.; Dizionario enciclopedico – Il grande libro dei santi, diretto da Leonardi C., vol. II,  ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1988, 948.

[5] Denzinger H. e Schönmetzer A., Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. EDB, Bologna, § 1504. Vedi anche in www.totustuustools.net; cliccare poi su documenti di tutti i concili, e selezionare IV sessione Concilio di Trento.

[6] Riportata da Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 107.

[7] Maggi A., Versetti pericolosi, ed. Fazi, Roma, 2011, 43.

[8] Maggi A., Vino nuovo in otri nuovi, relazione tenuta a Pesaro nel 2002, 10.

[9] Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 127. Laux J., Introduction to the Bible, ed. Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012, 222.

[10] Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 127.

[11] Maggi A., Monti nel Vangelo di Matteo, relazione tenuta ad Assisi nel 1997, 20.

[12] Gounelle A., I grandi principi del protestantesimo, ed. Claudiana, Torino, 2000, 46. Kampen D., Introduzione alla spiritualità luterana, ed. Claudiana, Torino, 2013, 48: Cristo non ha istituito la Santa Cena, affinché il pane fosse esposto e venerato, ma affinché venisse distribuito e mangiato.

[13] Il tabernacolo è il contenitore dove vengono custodite in chiesa le ostie consacrate.

[14] La pisside può stare anche sull’altare se le ostie si devono ancora consacrare; altrimenti viene riposta nel tabernacolo.