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IERI - L’immigrato oggetto di ripulsa porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro” impuro!” …è impuro e se ne starà solo, abiterà fuori dei confini nazionali.


OGGI - Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro” impuro!”…è impuro e se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento (Lv 13, 45ss)


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Immigrazione: legislazione e cristianesimo



di Dario Culot



Siamo davanti a un problema immenso,[1] fortemente divisivo, che non è non risolvibile da singole persone con la bacchetta magica delle buone intenzioni e dei buoni sentimenti,[2] e nemmeno da un singolo Paese perché ormai il fenomeno ha raggiunto dimensioni planetarie[3]. Secondo uno studio dell’Università di Padova[4] nel 1980 nel mondo c’erano circa 102 milioni di emigranti (cioè nati in un Paese che vivono in un altro), nel 2017 erano 257 milioni e si stima che nel 2030 si avranno almeno 430 milioni[5]. Vuol dire che circa 26 persone al minuto abbandonano le loro case, ma poi circa l’85% dei migranti si ferma nei Paesi limitrofi[6].

Secondo i dati Istat, al 1 gennaio 2020 gli stranieri residenti in Italia erano 5.306.548, pari all’8,8% della popolazione, di cui 1.600.000 sono però cittadini comunitari europei, e un altro milione viene comunque da Stati europei non dell’Unione.

Più del 50% dei nostri immigrati sono quindi cristiani. L’incidenza della popolazione straniera sulla popolazione italiana totale è comunque un dato in continua crescita: nel 1990 gli stranieri erano lo 0,8% della popolazione, e solo nel 2006 hanno superato il 5%[7]. In cambio la popolazione italiana autoctona è la seconda più vecchia del mondo (dopo il Giappone) con un’età media di 46,3 anni, contro i 43,1 dell’Europa. A conferma dell’invecchiamento, basta risalire al 1960 per vedere che l’età media in Italia era di appena 31,7 anni (in Egitto è di 25 anni circa). Sempre secondo l’Istat, nel 2019, in Italia, ogni 100 decessi sono avvenute 67 nascite, creando così un divario di circa 212 mila italiani in meno. Volenti o nolenti, al momento solo l’immigrazione è un piccolo argine al nostro squilibrio anagrafico[8].

Ma noi non siamo preoccupati dal fatto che nascono pochi italiani e che diventiamo ogni anno più vecchi e più fragili; ci preoccupa l’immigrazione massiccia irregolare di quel 15% che abbandonando le proprie case nel resto del mondo arriva davanti ai nostri confini[9]. Ci preoccupa, però non facciamo nulla. Già un decennio fa il sociologo Bauman[10] aveva detto che ci troviamo in una fase d’interregnum, «i modi che conosciamo di affrontare i problemi non funzionano più e nuovi strumenti devono ancora essere inventati. Non possiamo risolvere il problema degli stranieri “mangiandoli”[11]. Dobbiamo creare una nuova strategia, che oggi ancora non abbiamo».

Da allora sono passati dieci anni e siamo ancora in pieno interregnum per il semplice fatto che, come gli struzzi, abbiamo messo la testa sotto la sabbia sperando che i problemi si risolvessero da soli. Non abbiamo più neanche la scusa di dire che ci troviamo in un momento di crisi eccezionale che ci ha colti impreparati, perché questa situazione è iniziata da molti anni e durerà ancora per molti anni, sì che siamo davanti a una crisi[12] strutturale. E siccome non riusciremo a bloccare le immigrazioni verso l’Europa, forse sarebbe ora di cogliere l’occasione per pensare e costruire uno nuovo Paese, programmando non a breve termine, ma a medio e lungo termine, coinvolgendo l’Europa tutta. Sicuramente col tempo la situazione si risolverà. Ma intanto cosa vogliamo fare? Sicuramente non possiamo più eludere il problema, perché più si rinvia (cercando di anestetizzare la gente e non far loro sapere cosa succede alle nostre frontiere[13]) più esso si ingarbuglia[14].

La globalizzazione ci ha ormai obbligato a convivere ogni giorno più interconnessi, più mescolati, e il saper vivere, o meglio convivere con gli altri è forse la cosa più difficile che ci viene richiesta in questo momento storico: anche se non sembra, è assai difficile imparare a vivere uniti, rispettando le nostre diversità. Stiamo infatti toccando con mano non solo le difficoltà che comporta la convivenza di genti di origini così differenti, ma soprattutto ci rendiamo conto che l’attuale situazione incancrenendosi ci avvicina sempre di più a quel punto di rottura dopo il quale cominciamo non solo a rifiutarci ma perfino a scontrarci.

Per non arrivare a questo punto di rottura, dovremmo innanzitutto capire che non servono le logiche del tifo o degli slogan tipici che incontriamo sui social e che lasciano il tempo che trovano. Tutti siamo d’accordo nel dire che è meglio essere ricchi e felici piuttosto che poveri e ammalati, ma lo slogan non cambia le nostre vite. Allora scrivere che “vogliamo riaffermare l’umanità dei migranti, il loro imprescindibile diritto a vivere una vita dignitosa, il loro sacrosanto diritto a non dormire ammassati negli accampamenti di fortuna, il loro fondamentale diritto alla integrità psicofisica”[15] è un bel principio che non risolve nulla non essendo seguito da alcun suggerimento pratico, perché questo bel principio vale in astratto per tutte le persone del mondo[16] e non solo per quelle persone che abbiamo a pochi km da casa, nei Balcani. Il vero problema è trovare soluzioni su cosa fare in concreto.

Lo stesso discorso va fatto davanti ai forti richiami alla costruzione di nuovi e invalicabili muri difensivi. Anche questa è una risposta che lascia il tempo che trova, perché non è mai esistito muro che non possa essere aggirato e che fermi i passaggi irregolari (dalla muraglia cinese al vallo di Adriano, dal muro di Berlino - dove le guardie sparavano se tentavi di attraversarlo,- al muro fra USA e Messico). Neanche il rischio di morire affogati ferma l’attraversamento del Mediterraneo,[17] e neanche la brutalità della polizia ai confini fra Bosnia e Croazia ferma questa gente decisa a tentare e ritentare il passaggio di confine. In altri termini l’immigrato che viene scacciato dalla nostra vita, che non trova posto nella nostra società perché viene considerato uno scarto, uno di troppo, non sparisce come per incanto dopo avergli fatto capire a bastonate che proprio non lo vogliamo qui da noi. Semplicemente il problema di questa che consideriamo ‘spazzatura non riciclabile’ resta (fuori della nostra visibilità) nelle prigioni libiche, nei boschi della Bosnia, nei campi della Turchia. La sofferenza di questi uomini e donne che non vediamo sembra non riguardare e non toccare noi italiani. Anzi, meno vediamo scene di persone che soffrono, e meglio stiamo. Preferiamo che le vittime restino ignote, perché altrimenti ci turbano.

Solo una generazione fa noi occidentali credevamo di essere l'avanguardia della civiltà e si guardava ai Paesi del Terzo mondo dicendo: «Presto arriverete anche voi dove siamo noi». Oggi non abbiamo più il coraggio di dirlo[18] e usiamo anche di meno il termine ‘Terzo mondo’, perché più di qualcuno di quei Paesi ci ha ormai raggiunto e superato sotto diversi aspetti (pensiamo, per fare qualche esempio, al Pakistan che ha la bomba atomica ma da cui molti giovani continuano ad emigrare; oppure alla Nigeria o al Venezuela, ricchi di petrolio, o al Congo ricchissimo di materie prime, ma anche con tali e tante disuguaglianze sociali da far scappare gli abitanti a migliaia). Oggi piuttosto diciamo: «Speriamo che non arriviate anche voi qui da noi! Siete già in troppi». Diceva sempre Bauman Zygmunt a proposito dell’immigrazione e delle nostre paure: «Molti di loro provengono da una situazione in cui erano fieri della propria posizione nella società, del loro lavoro, della loro educazione. Eppure ora sono rifugiati che hanno perso tutto. Al momento del loro arrivo entrano in contatto con la parte più precaria delle nostre società, che vede in loro la realizzazione dei loro incubi più profondi»[19]. Sta di fatto che, di fronte agli incessanti arrivi di nuovi immigrati, qui da noi cresce la rabbia, la paura per il proprio futuro, e l’odio[20] perché intuiamo che il nostro sistema (che abbiamo sempre tanto criticato, ma che poi non era così male se pensiamo che prima era meglio) scricchiola sotto queste spinte che non avevamo previsto. E, ciliegina sulla torta, tutto questo disagio viene cavalcato da alcuni scaltri politici[21] non per risolvere il problema,[22] ma per accaparrarsi una manciata di voti. Oggi non è politically correct usare una terminologia razzista. Nessuno andrebbe in televisione a parlare contro gli immigrati musulmani[23] dicendo: “Noi non vogliamo che questi semiti inferiori diluiscano il nostro sangue ariano e guastino la nostra nobile identità italiana”. Ai tempi di Hitler sarebbe stato possibile, ma oggi – molto più raffinati - ci si limita a parlare di differenze culturali. Perciò si dirà che “la cultura occidentale, nel modo in cui si è sviluppata in Europa, è caratterizzata da valori democratici di libertà, tolleranza ed uguaglianza di genere;[24] la cultura musulmana, invece, nel modo in cui si è sviluppata in Medio Oriente, è caratterizzata da politiche illiberali, fanatismo e misoginia. Dato che le due culture sono così differenti, e poiché troppi immigrati musulmani non sono disposti ad adottare i nostri più elevati valori occidentali, non dobbiamo consentire che entrino nei nostri Paesi, per evitare che corrodano la democrazia europea”[25].

Parlando così, molti sentono di essere dalla parte giusta e si sentono anche a posto con la coscienza. Ma neanche si rendono conto che, se pensano così, il problema non è tanto la forza dell’islam che potrebbe corrodere la nostra identità, quanto la debolezza del cristianesimo in Europa[26] che sembra facilmente disgregabile. Se ci sentissimo forti, dovremmo essere convinti che a contatto con la bontà del nostro sistema anche gli immigranti musulmani resterebbero colpiti e lo accetterebbero con convinzione, ritenendolo effettivamente migliore[27].

E se invece provassimo a guardare dall’angolo visuale di chi arriva? «In pochi a nuoto arrivammo qui sulle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume così barbaro, che ci nega perfino l’ospitalità della sabbia; che ci dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra. Se non credete nel genere umano e nella fraternità», credete almeno in Dio, distinguendo il giusto e dall’ingiusto. Queste dolenti parole, che nella loro scottante attualità potremmo attribuire a uno dei tanti naufraghi africani appena approdati a Lampedusa o in Sicilia, sono in realtà le parole con cui Virgilio nell'Eneide (1, 538 - 541) presenta il portavoce dei naufraghi troiani, scappati dall’odierna Turchia e appena sbattuti sulle rive di Cartagine, nell’odierna Tunisia[28]. È la storia senza tempo di chi, sopravvissuto al mare o alle traversie della vita, chiede asilo. Asylum – quel luogo sacro che rende “inviolabile” colui che lì si è rifugiato – viene dunque dalla lontana classicità, la quale ci impartisce esemplari lezioni di accoglienza, anche se noi occidentali pensiamo di essere molto più civili dei nostri antichi avi.

La regina Didone, infatti – a differenza dei nostri attuali politici,- non risponde dall’alto di una cultura superiore e più nobile che chiede di non diluire il sangue puro dei suoi cartaginesi, ma dice al supplice troiano e ai suoi compagni: «Sgombrate dal cuore ogni sospetto e affanno… La città che io fondo è vostra» (vv. 562ss.). Allo stesso modo il mitico Teseo, re di Atene, così conforta il vecchio Edipo in cerca d’asilo: «Io sono cresciuto da straniero, come adesso sei tu. E non lo dimentico… Perciò non potrei mai mandare via chi è come te, chi è uno straniero: mai. Devo dargli il mio aiuto. Io so di essere un uomo. Io so che il mio domani non è mio, come il tuo non è tuo» (Sofocle, Edipo a Colono vv. 565 -568).

Gli italiani sono stati a lungo stranieri in terre altrui, avendo dovuto emigrare nelle Americhe e in Australia, in Svizzera e in Germania per cercar di migliorare la loro vita. Sembra che se ne siano dimenticati[29]. E, ben prima di queste nostre emigrazioni di massa, Dante Alighieri, costretto all’esilio, ci ricorda che non era stato mai in grado di assorbire il trauma dell’esilio[30].

Si obietterà che, oggi, la grande differenza con quel lontano passato della classicità sta nel fatto che, in allora, i richiedenti asilo o gli immigrati in genere erano pochi; e anche gli italiani emigrati non erano poi così tanti;[31] oggi invece giustamente temiamo l’arrivo di moltitudini immense:[32] se accogliamo la prima ondata ne arriveranno altre, e questo ci spaventa.

Ma non è curiosa questa sensazione secondo cui gli stranieri sono troppi, visto che è contraria ai dati ufficiali? I Paesi più accoglienti non sono (tanto per cambiare) quelli occidentali più ricchi: in rapporto agli abitanti, in Libano ci sono 183 rifugiati per 1.000 abitanti; in Giordania 87; nell’isola di Nauru,[33] 50; in Turchia, 32. E in Europa?[34] Malta 18, Svezia 23. In Italia? Fra 2 e 3, eppure vorremmo che tutti i barconi che attraversano il Mediterraneo trasportando immigrati si fermassero a Malta, che in proporzione ne ha già sei volte più di noi. Su una popolazione di circa 60 milioni in Italia siamo ben sotto l’1%. (che richiederebbe 10 ingressi ogni 1000 abitanti). Ma come le statistiche non bastano a convincere chi ha paura di volare,- anche se ci dicono che in base agli incidenti per persone trasportate l’aereo è il mezzo di trasporto di gran lunga più sicuro del treno e dell’auto,- noi non siamo convinti da questi numeri, e continuiamo ad aver paura.

Fate poi caso anche a come, col linguaggio, è già possibile indirizzare l’ascoltatore. Se per gli stranieri che arrivano si continua ad usare il termine “invasione,” chi ascolta è portato a pensare a un’emergenza, a un accadimento che crea paura; se solo usassimo il termine “fenomeno migratorio” penseremmo a qualcosa di più strutturale, da regolare con più calma e meno paura.

È indubbio che ogni straniero che arriva chiede il proprio spazio, la propria dignità, il proprio riconoscimento. In astratto questo lo capiamo, ma in concreto non lo accettiamo. Il curioso è che se incontriamo un americano danaroso (anche lui è un extracomunitario) non abbiamo nulla da ridire se entra in Italia. Probabilmente chiuderemmo un occhio perfino se non avesse tutti i documenti in regola. Questo significa che crediamo allo straniero se ha denaro, o meglio crediamo alle monete che ha in saccoccia. Se però lo straniero resta senza monete la nostra fiducia in lui si esaurisce rapidamente[35].

Come diceva frate Balducci, uno che è ma non ha, non conta più nulla per noi. Questo dimostra che il nostro dio, almeno in occidente, è il dio denaro, e che facciamo fatica a “lavorare uniti per costruire una società in cui nessuno sia scartato o dimenticato”[36]. Abbiamo questo vizio strutturale di fondo, una deformazione ben radicata che ci rende per prima cosa presuntuosi. Chi arriva senza soldi è per noi un pezzente, e in fondo il pezzente ci disturba e lo disprezziamo. Che anche quello sia un nostro fratello, un uomo con la sua dignità, lo si dice nelle prediche in chiesa o nei trattati filosofici, ma per noi, nella realtà quotidiana, non lo è. Abbiamo un’avversione istintiva e profonda per l'uomo che non ha e che si presenta male, che non si veste come noi, che non ha i nostri stessi lineamenti, per cui ci mette in difficoltà con la sola sua presenza. La gente, di fronte a uno che non ha, appare restia, addirittura gelosa di ciò che lei ha, della terra che calpesta (anche se poi non la cura, e anzi la devasta pensando solo al proprio benessere e non al futuro dei propri figli), e perfino dell’aria che respira, come se ce ne fosse a disposizione un quantitativo limitato e ogni forestiero che s’insedia lì dove già noi respiriamo non fosse altro che un ladro giunto apposta col proposito di rubare e toglierci l’aria che noi autoctoni respiriamo qui, da molto prima di lui[37].

Pensando così, però, più che dalla ragione ci facciamo guidare dalle emozioni. È stato assai ben spiegato come la xenofobia sia una tecnica di sopravvivenza umana naturale, presente in tutti gli uomini, in tutte le parti del mondo. Il tribalismo, pertanto, è una caratteristica identificatrice di ogni forma di vita umana, per cui è difficilissimo sbarazzarci della xenofobia perché è profondamente inserita nell’essere umano: l’Homo sapiens (non solo dunque l’italiano), al pari degli animali sociali, è una creatura xenofoba. I sapiens dividono istintivamente l’umanità in due parti, “noi” e “loro”, e noi non ci sentiamo responsabili di quanto accade a “loro”; a “loro” non dobbiamo niente, non vogliamo vederli nel nostro territorio e non c’interessa cosa accade nel loro territorio[38]. Dice bene l’amica Grazia Santin: ai tempi di Gesù gli uomini e le donne si sentivano minacciati dalla lebbra. Noi non ne abbiamo più paura, perché oggi la curiamo con gli antibiotici. Qualche decennio fa abbiamo però avuto paura dell'Aids, che qualcuno aveva paragonato alla lebbra, intesa come punizione divina. Oggi ci sentiamo minacciati da chi è diverso, perché non sappiamo come interagire con quello che non conosciamo, perché potrebbe costringerci a cambiare, perché potrebbe portarci via qualcosa. Così non vogliamo avere vicino alle nostre case i centri di accoglienza dei migranti. E in quelle persone diverse per lingua, a volte per modi di vivere, invece di scoprine anche la ricchezza, vediamo solo un pericolo. Vorremmo non vederli proprio, per non doverci pensare. Ma questo è impossibile.

Ovviamente potremmo superare questa xenofobia innata,[39] ma dovremmo superare i limiti della nostra umanità (meglio sarebbe dire: in-umanità, e la Quaresima dovrebbe predisporci a questo). Superarla, significa impegnarsi a cambiare, avere la forza di superare un confine che ci siamo creati da soli, entrare in un nuovo livello di coscienza dove si comincia a percepire che la realtà umana è una sola[40]. Ciononostante l’accettazione di chi ci appare diverso non è facile, perché la sopravvivenza è il motore della vita che richiede sempre barriere dietro alle quali trovare sicurezza. I suprematisti bianchi, con un linguaggio meno raffinato parlano di identità che non si deve imbastardire, eppure davanti a un flacone di sangue neanche loro sono in grado di dire se proviene da un bianco, un giallo o un nero; da un musulmano o da un cristiano[41].

Ecco, in sintesi, perché gli odierni fautori del sovranismo battono tanto sul tasto dell’identità nazionale e, visto che i confini patri non bastano, invocano filo spinato e porti chiusi. La cultura dell’identità nazionale – essi dicono,- è fondamentale perché esprime il senso stesso del nostro stare al mondo, e se arrivano tanti immigrati che non hanno la nostra cultura prenderanno sopravvento nella nostra stessa Patria. Ma più di questo, com’è stato giustamente osservato,[42] a prevalere è probabilmente un’altra idea: l’identità in realtà significa posizione, e il posto di ciascuno si misura rispetto al posto altrui, per cui ciò che veramente pensiamo è che il posto dello straniero appena arrivato deve essere inferiore al nostro che viviamo qui da sempre,[43] e se lo straniero vuol competere per lo stesso posto di lavoro cui aspiro io, diventa immediatamente un mio nemico. Questo non accade solo nell’ambito socio-politico, come insegnò Carl Schmitt, ma anche nel campo religioso, specialmente quando la religione è elevata a politica,[44] dove opera sempre la distinzione fra amico e nemico, come nell’etica vale quella fra buono e cattivo, o nell’estetica quella fra bello e brutto. Noi, eredi della cultura greca, pensiamo ancora oggi in base a un criterio dualsitico.

Il dato inequivocabile è che stiamo vivendo anche in Italia, grazie al sovranismo, l’arretramento del sentimento di appartenenza all’unica famiglia umana, mentre dovremmo renderci conto che questi ragionamenti xenofobi vengono dalla nostra pancia, e non dalla nostra razionalità.

Infatti, se passiamo alla razionalità del mondo del diritto che noi stessi ci siamo dati, se guardiamo ai nobili ed alti principi giuridici di cui l’Occidente si vanta,[45] vien detto qualcosa di completamente diverso da quello che ci suggerisce la meno nobile pancia. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU, ratificata in Italia con legge 4.8.1955, n. 848) – al pari della nostra Costituzione, che ha anche una forte componente solidaristica - riconosce ad ogni persona tutta una serie di diritti individuali[46]. L’Occidente si fonda sui diritti individuali, e di questo siamo orgogliosi.

La maggior parte delle nazioni non occidentali, invece, vede nell'individuo solo una cellula che è parte integrante della società, e solo lei è la principale titolare di diritti. Ad esempio, la sharia musulmana protegge la comunità più che l’individuo, e il bene della comunità prevale sul bene della singola persona che potrebbe minacciare il bene della comunità[47]. Ma non appena arrivati in occidente, quasi tutti questi stranieri che a casa loro non godono di diritti individuali pari ai nostri, cercano di farli valere qui da noi. Forse allora li vorrebbero anche a casa loro e li riconoscono superiori ai propri. Ma all’opposto noi vorremmo toglierglieli, perché ci rendiamo conto che essi usano i nostri strumenti per ottenere qualcosa cui noi non avevamo pensato quando abbiamo creato quegli strumenti, per il semplice fatto che allora non esisteva l’immigrazione verso l’Europa. E questo ci disturba, perché le leggi erano pensate per noi, non per gli altri. La Costituzione riconosce il diritto d’asilo allo straniero,[48] e noi magnanimi, glielo riconoscevamo quando arrivava qualche straniero all’anno. Ora che arrivano a migliaia non vogliamo riconoscerglielo più. La massa mette sempre in crisi anche l’applicazione dei diritti. Ricordo che ai tempi di Nixon, quando – appena riallacciati i rapporti con la Cina, - gli USA battevano per il riconoscimento dei diritti umani in Cina, il presidente cinese zittì gli americani con queste poche parole: “se proprio insistete, nel giro di una settimana diamo il passaporto a qualche milione di cinesi ansioso di andare negli USA e di godere lì da voi dei vostri diritti civili”.

È indubbio che anche il cristianesimo è a favore dei diritti individuali, riconoscendo pari dignità ad ogni persona umana, per cui pretende la tutela degli stranieri:[49] “ero forestiero e mi avete accolto” (Mt 25, 35). «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Cafarnao era zona di traffici e di confine, per cui sicuramente c’erano molti stranieri. Ed è qui che «conducevano a Gesù tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva» (Mt 4, 24; Mc 1, 32-34). Sottolineo questo tutti, perché mette bene a fuoco la cornice della missione di Gesù, che non fa distinzioni, non guarda al colore della pelle, alla provenienza o alla condizione sociale di chi gli chiede aiuto. Quando il lebbroso, cioè l’impuro escluso dalla società di allora, si avvicina a Gesù trasgredendo la legge, anche Gesù la trasgredisce[50] perché lo tocca (Mc 1, 40s.). Toccandolo, anziché infettarsi lo purifica, cioè lo toglie dall’esclusione in cui era costretto a vivere, e gli permette di rientrare nella società che l’aveva espulso.

Il Vangelo ovviamente non racconta un episodio circoscritto di duemila anni fa, perché il Vangelo è sempre attuale: anche oggi la nostra società ha i suoi lebbrosi, cioè persone che noi escludiamo (sia ben chiaro, con la scusa del bene di tutta la nostra società). Gesù invece chiarisce, allora come oggi, che non devono esistere uomini da accogliere e altri da respingere. Possiamo leggere oggi le Scritture di allora con le due immagini che accompagnano questo articolo.

Nella Bibbia si dice che le indicazioni del Levitico erano state date a Mosè direttamente da Dio. Gesù, col suo atteggiamento, fa capire che non dobbiamo aver paura di toccare il ‘lebbroso’ e che quelle prescrizioni della Bibbia non vengono affatto da Dio, ma sono regole di uomini. Oggi, diversi politici di casa nostra, impugnando la Bibbia o altri oggetti religiosi, cercano di nuovo di far credere che l’esclusione di altre persone venga dalla volontà di Dio ed è fatta per il bene della nostra società. Invece il Dio incarnato in Gesù chiede di purificare il mondo da esclusioni non volute da Dio, ma da noi uomini. Il Vangelo, ieri come oggi, rende chiaro che nessuno può essere escluso nel nome di Gesù. Se Gesù non ammette il rifiuto sociale degli indesiderabili, è dura definirsi cristiani e respingere gli stranieri. Sicuramente non basta baciare il rosario per essere tali.

Edith Stein (ebrea convertita al cattolicesimo, diventata suora e morta in campo di concentramento nazista, dichiarata nel 1999 co-patrona d’Europa da papa Giovanni Paolo II,[51] anche se pochi lo sanno) aveva colto perfettamente il punto dicendo: “Per i cristiani, e non solo per loro, nessuno è straniero. L’amore di Cristo non conosce frontiere. Il nostro amore verso il prossimo è la misura del nostro amore a Dio”. Recentemente l’Enciclica Fratelli tutti di papa Francesco ha ribadito che il diritto a vivere con dignità non ha frontiere e nessuno può essere escluso a prescindere da dove è nato[52]. Anche coloro che noi emarginiamo sono stati creati da Dio con lo stesso amore con cui ha fatto quelli che si ergono a giudici respingendo i propri fratelli.

Dunque, dalla cattedra di Pietro, papa Francesco si è alzato andando in una precisa direzione, ma la maggior parte della Chiesa è rimasta seduta senza seguirlo. Infatti si sente obiettare: “Facile fare questi bei discorsi astratti, ma in allora non esisteva l’immigrazione in forma massiccia che dobbiamo subire noi per cui questo bel principio astratto dell’accoglienza non era ancora stato messo alla prova dall’arrivo concreto di una moltitudine di stranieri”. Anche qui non c’è niente di nuovo: qualcosa di analogo era successo negli Stati Uniti dove, alla fine del 1700, la Dichiarazione d’indipendenza riconosceva che tutti gli uomini sono stati creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, tra cui il diritto alla Vita e alla Libertà; ma questi inalienabili diritti valevano solo per i bianchi che avevano scritto quel documento, non per le moltitudini di pellerossa e neanche per le masse degli schiavi neri. Eppure quelli che avevano scritto la Dichiarazione erano cristiani come noi.

È piuttosto evidente, allora, che ancora oggi noi cristiani, in punto accoglienza degli stranieri, viviamo contraddittoriamente fra elevati principi astratti e scadenti comportamenti concreti[53]. Il vescovo americano John Spong ha magistralmente descritto la differenza fra Gesù distruttore di barriere, abbattitore i muri difensivi dietro ai quali noi ci nascondiamo e che diminuiscono la nostra umanità, e le ragioni di questa nostra innata preferenza a costruire muri, e si chiede: come si fa ad essere interamente umani se si continua a violare l’umanità dell’altro?[54] Anche Alberto Maggi,[55] che qui mi permetto di chiosare, ha reso palese la nostra grottesca contraddittorietà: “quando la sacra famiglia è fuggita dalla Palestina perché Re Erode voleva ammazzare il bambino, ed è scappata in terra straniera, emigrando in Egitto, è stata fortunata a trovare i pagani egiziani e non i nostri cattolicissimi legislatori che li avrebbero tranquillamente ricacciati indietro autorizzando ‘informali riammissioni’ nel Paese da cui erano partiti. Figuratevi! una famiglia irregolare, dove il marito (o forse ancora solo fidanzato?) della donna non era neanche il padre del figlio – e già per questo… Trump avrebbe perfino separato il bambino da quel sedicente padre che cercava di ingannare le guardie di frontiera tentando di farlo passare come suo, avrebbe messo Gesù bambino in gabbia come i tanti bambini sud-americani, avrebbe arrestato Giuseppe per false dichiarazioni, e poi l’avrebbe espulso trattenendo il bambino; il bambino doveva restare lì in attesa di capire chi era il vero padre (e sarebbe ancora lì, vista la difficoltà di provarne la paternità). E poi come poteva Giuseppe pensare di entrare nel grande Egitto senza mezzi economici, senza documenti, senza lavoro e senza avere un solo egiziano che potesse garantire per quei tre. Siete anche voi d’accordo che c’erano tutte le condizioni per un legittimo respingimento. Per fortuna che i pagani egiziani sono stati più umani dei nostri cristianissimi legislatori, per cui nessuno in quella piccola famiglia poteva maledire il cielo per aver incontrato i doganieri egiziani”.

Qualcosa evidentemente non funziona nel cristianesimo dei Paesi ricchi se siamo capaci di affannarci per accrescere sempre di più il nostro benessere, senza sentirci interpellati dal messaggio di Gesù e dalla sofferenza dei poveri del mondo. C’è niente da fare: facciamo parte del 20% della popolazione mondiale che consuma l’80% delle risorse, ma non vogliamo scendere di un solo gradino nella nostra scala del benessere per condividere con gli altri. Eppure Gesù ha detto chiaramente che chi si attacca al denaro finisce con l’allontanarsi da Dio. Il cuore dell’individuo prigioniero della ricchezza si indurisce. Tende a cercare solo il proprio interesse, non pensa alla sofferenza e alla necessità degli altri. Nella sua vita non c’è spazio per la solidarietà[56]. E anche vedendo le piaghe che tormentano gli altri, ci si può convertire, oppure si può indurire il proprio cuore (come ha fatto il faraone). Così facendo, però, si diventa inumani, cioè l’esatto contrario di quello che vorrebbe il cristianesimo. Al contrario, la condotta tenuta da Gesù non ha mai coinciso con l’inumano che tutti portiamo dentro di noi e che spesso esterniamo. E qui sta il problema. Liberarci della nostra inumanità (diventando così più umani) è un compito così duro e faticoso tanto quanto sollevare e caricarsi la croce (Mc 8, 34); è una scelta che mette in gioco troppe cose comode della nostra vita alle quali pochi sono disposti a rinunciare. Se fosse Dio a buttarci addosso la croce, qualche pio credente l’accetterebbe in obbedienza, ma dovendocela caricare da soli, per scelta nostra… Eppure Gesù ci chiede di schierarci, ci costringe ad abbandonare una comoda neutralità.

È chiaro che scegliendo la nostra comodità non stiamo mettendo in pratica il messaggio di Gesù, il quale ha posto al centro della propria esistenza il bene degli altri uomini. Questo ce lo dice lo stesso Gesù quando la gente gli chiede «Cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (Gv 6, 28); Gesù, che vuole collaboratori coinvolti nel costruire il Regno di Dio, risponde che l’opera di Dio è credere in colui che Dio ha mandato (Gv 6, 29). Credere dunque a quello che egli dice, ma soprattutto credere a quello che egli fa. E cosa fa Gesù? Compie le opere di Colui che lo ha mandato (Gv 9, 4) comunicando vita[57]. Le opere di Dio sono la continuazione della creazione, che continua (Gv 5, 17). E quello che Gesù fa è sempre per il bene dell’uomo. Nell’Antico Testamento il termine ‘opera di Dio’, si trova nel Libro dell’Esodo (Es 32, 16) per indicare le tavole della legge. Ma come sappiamo, con Gesù c’è stato un cambio di alleanza, sì che il rapporto con Dio non sarà più basato sull’osservanza della legge, ma sull’amore e sulla condivisione[58]. Quindi, credere in colui che Dio ha mandato vuol dire comportarsi come Gesù, il quale ci assicura che solo operando con amore verso gli altri si assomiglia al Padre.

Siamo ben lontani da questo comportamento, e la riprova di come siamo cristiani di nome, ma non lo siamo in realtà, è che fanno ancora presa i richiami di alcune forze politiche alla costruzione di nuovi muri difensivi. Si tratta di una risposta sensata? No, perché – come detto sopra - non è mai esistito muro che non possa essere aggirato e che fermi i passaggi irregolari. Ne fermi uno di qua, altri due passano di là. Papa Francesco, nel suo discorso di ringraziamento per il premio Charlemagne, ha parlato dei pericoli mortali della “comparsa di nuovi muri in Europa”. Muri innalzati con l’intenzione e la speranza di mettersi al riparo dal trambusto di un mondo pieno di rischi e minacce. Il Pontefice nota con profonda preoccupazione che, se i padri fondatori dell’Europa “messaggeri di pace e profeti del futuro” ci hanno ispirato a “creare ponti, ad abbattere muri,” sembra ultimamente che i vari Stati europei si trovino sempre meno a proprio agio nella casa comune[59]. Il desiderio nuovo, ed esaltante, di creare unità sembra svanire; noi, eredi di quel sogno, siamo tentati di soffermarci solo sui nostri interessi egoistici, e di creare barriere pensando così di restare tranquilli e goderci il nostro benessere. Dimentichiamo che il cristianesimo è vivo solo quando ci tormenta, ci costringe alla ricerca, ci invita a fare qualcosa per gli altri, ci impedisce di essere soddisfatti delle nostre credenze, delle nostre pratiche e dei nostri vuoti culti staccati dalla vita quotidiana. Il cristianesimo ci spinge verso la solidarietà,[60] ma il problema vero della solidarietà, quando si passa dall’astratto al concreto, è che essa non è compatibile con alcun limite. Finché esiste al mondo una sola persona che soffre, che sta male, e per la quale si può fare qualcosa, il credente cristiano non può voltarsi da un’altra parte, ma deve intervenire. Gli emarginati, gli oppressi, i poveri (e quindi gli stranieri come quelli che sopravvivono all’addiaccio in Bosnia) sono l’espressione dei peccati di una comunità. Finché i poveri non vengono sollevati dalla loro condizione di emarginazione e di oppressione la comunità che ha provocato questa situazione (o che non fa nulla per ovviare alla situazione) non potrà accogliere la salvezza piena[61] che Gesù offre all’umanità.

Nella Charta Oecumenica, documento firmato a Strasburgo il 22 aprile 2001, le Chiese europee hanno scritto: «Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi ed a chi cerca asilo in Europa».

C’è allora da rimarcare che i cattolici che appoggiano partiti che formulano ed emanano leggi contro lo straniero in quanto tale, sono fuori non solo dalla fede cristiana, ma anche dalla Carta Costituzionale, e come fa a dirsi ‘vero’ italiano chi va contro la Costituzione italiana?

NOTE


[1] Non siamo certamente la prima generazione a vivere un periodo d’insicurezza. Pensiamo a chi, con la I guerra mondiale, ha visto il definitivo tramonto del mondo precedente, l’ascesa del comunismo, del fascismo e del nazismo: tutto il passato che poteva dare sicurezza si è disgregato in pochi decenni. O pensiamo agli abitanti di Aquileia quando è arrivato Attila, e l’esercito romano non era più in grado di difendere la seconda città più grande d’Italia.

[2] Oggi non basta commuoversi. Questi nostri fratelli vanno aiutati col cervello e con le buone mani (Cives D., Tonino Bello, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 114).

[3] Già papa Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus caritas est del giugno 2009, al § 62 aveva individuato il punto: “Un altro aspetto meritevole di attenzione, trattando dello sviluppo umano integrale, è il fenomeno delle migrazioni. È fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati. Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo. Tutti siamo testimoni del carico di sofferenza, di disagio e di aspirazioni che accompagna i flussi migratori”. Nulla è stato fatto.

[4] https://ilbolive.unipd.it/quanti-immigrati-ci-sono-nel-mondo.

[5] L’Onu prevede che nel 2050 saranno 250 milioni le persone in fuga solo per motivi climatici (Zanotelli A., Prima che le pietre gridino, ed. Chiarelettere, Milano, 2018, 61).

[6] Il 39 % in Medio Oriente e Nord Africa, 29 % in Africa, 14 % in Asia e Pacifico, 12 % nelle Americhe, solo il 6% in Europa (Lorenzo Maria Alvaro Le dieci leggende più diffuse sui profughi sfatate una a una, a cura di Medici senza frontiere, in Vita.it - 25 Ottobre 2016).

[7] https://www.lenius.it/quanti-sono-gli-immigrati-in-italia-e-in-europa/

[8] Questo, però, richiederebbe che chi è nato in Italia e fin da piccolo ha assorbito la nostra cultura frequentando le nostre scuole, diventi italiano per ius culturae. Molti rifiutano l’idea. Un dato è incontestabile: l’immigrazione mette a nudo chi siamo veramente.

[9] Ma ricordiamoci che non c’è solo la Bosnia (dove si trovano fra i 6-8mila stranieri in attesa). Non c’è solo il Mediterraneo. Pensiamo alla carovana di quasi 10.000 honduregni in marcia in questi giorni verso gli Stati Uniti. E perché ci sono tante migrazioni?

Le cause dell’immigrazione sono ovviamente molteplici. A parte i cambiamenti climatici che portano alla fame vaste fasce sub-sahariane, non possiamo far finta di dimenticare che noi occidentali abbiamo destrutturato vari Paesi nel Mondo: dall’Iraq alla Libia, dalla Siria all’Afghanistan. Ne sono seguite guerre civili tuttora in corso, bande armate che si contendono il potere e soprattutto una violenza quotidiana che rende questi Paesi piuttosto invivibili. E poi ci stupiamo se tanta gente abbandona questi Paesi al solo fine di poter vivere meglio, e di non morire o per fame o per pallottole. In effetti non fa grande differenza morire per una delle due cause.

Ma, purtroppo per noi, questa situazione ha coinciso con le crisi economiche del mondo occidentale, il che rende ovviamente più difficile accogliere questi stranieri, perché in questo momento l’Occidente non riesce ad offrire molti posti di lavoro. E perché, invece, gli stranieri prediligono l’Europa? Perché il modello sociale europeo, che prevede un alto grado di rispetto della dignità e dei diritti umani individuali, piace anche all’estero, e questo è uno dei motivi per cui gran parte dell’immigrazione punta sull’Europa.

[10] Conversazione con Bauman Zygmunt, L’arte del convivere, “Emergency”, n.7/2011, 28.

[11] A proposito, circa trent’anni fa mia moglie, volontaria in Guatemala, voleva portare in Italia un piccolo guatemalteco assai promettente perché potesse studiare, e farlo poi rientrare ogni estate a casa. La madre era d’accordo (il padre li aveva abbandonati), ma la sua tribù pose il veto perché sapevano che in Italia ‘mangiamo’ i bambini.

[12] Ogni crisi dovrebbe essere un’opportunità per crescere, non per adagiarsi e restare fermi. Anche la crisi della pandemia ha smascherato la nostra vulnerabilità, per cui dovremmo reagire smettendo di pensare che ‘tutto andrà bene’ senza però fare nulla.

[13] Se non fosse stato per qualche piccola Ong che opera in loco, e per qualche coraggioso giornalista che è andato sul posto, se non fossero state pubblicati dei video sconvolgenti e delle foto potenti, nessuno saprebbe nulla di quello che succede a qualche centinaio di km da Trieste.

E come ha detto la pastora Lidia Maggi in una conferenza: “Un modo per non affrontare il problema dell’altro è o non vederlo, rendendolo invisibile, oppure riempiendoci di pregiudizi senza permettere all’altro di raccontarsi”.

[14] Diceva un acuto politico del passato: “se i problemi si prevedono per tempo si risolvono subito, ma se non si intuiscono i pericoli e li si lascia crescere, non c’è alcun rimedio. Succede come per la tisi, di cui i medici dicono che se presa inizialmente è facile da curare ma difficile da diagnosticare, mentre in seguito diventa facile da diagnosticare ma difficile da curare” (Machiavelli N., Il Principe, Bur-Rizzoli, Milano, 2013, cap.3 [7]).

[15] Il Piccolo 11.2.2021, 34.

[16] Forse che l’integrità psicofisica non deve valere anche per quei bambini rimasti a casa loro, che lavorano in situazioni disumane per un tozzo di pane al fine di realizzare scarpe, tappeti, palloni di calcio per i "veri" europei nati e vissuti sempre in Europa?

[17] Di nuovo le statistiche smentiscono chi afferma che i migranti non partono se sanno che i confini sono chiusi. L’attraversamento del Mediterraneo è sempre più pericoloso: nel periodo giugno 2018-giugno 2019, in cui sono gradualmente entrate in vigore le politiche di deterrenza di Salvini, ha perso la vita in mare il 6% delle persone partite dalla Libia, contro il 2% dei periodi precedenti (https:// www.lenius.it/migranti-2019/).

[18] Trova oggi conferma quanto aveva sostenuto fin dall’inizio la teologia della Liberazione. Secondo il paradigma di lettura storico-sociale vigente in America Latina fino alla conferenza episcopale di Medellin del 1968, si sosteneva che tutti i Paesi si trovavano dentro un movimento di sviluppo, per cui – come in un fiume – i Paesi poveri, scendendo la corrente, avrebbero dovuto raggiungere quelli ricchi che si trovavano solo in po’ più avanti, semplicemente continuando ad andare avanti per la stessa strada. Invece, a un certo punto, è emersa l’idea della dipendenza, per cui si affermò che i Paesi poveri sono l’altra faccia (negativa) della stessa medaglia, ma solo la faccia opposta (quella occupata dai Paesi ricchi) portava lo sviluppo ed il benessere. Si spiegò che i popoli ricchi sono tali perché depredano quelli poveri: prendono a prezzo stracciato le materie prime dai Paesi poveri, e poi rivendono i propri prodotti a prezzi di mercato a chi è stato già depredato. Con questo sfruttamento, i Paesi poveri sarebbero rimasti sempre più poveri, quelli ricchi sempre più ricchi. Quest’analisi venne fatta propria dalla conferenza di Medellin, la quale – con un’opzione a favore dei poveri - concluse che, se la miseria non è naturale, ma un effetto della condotta dell’uomo su un altro uomo, si poteva e si doveva cambiare. Occorreva una lotta di liberazione da parte dei popoli oppressi contro questo peccato strutturale, dovendosi incidere su questo rapporto causa-effetto fra ricchezza degli uni e povertà degli altri. In altri termini, se il regno di Dio e la pace si accompagnano al rispetto e all’accoglienza di tutti gli esseri umani, ciò deve concretizzarsi innanzitutto in rapporti giusti tra le persone e i popoli. Naturalmente chi era ricco strillava dicendo che in tal modo la Chiesa faceva politica e non religione. Ma come diceva il Mahatma Gandhi, se non si può identificare la religione con la politica, neanche si può separare la politica dalla religione (https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-12/quo-288/se-francesco-br-incontra-ghandi.html).

[19] Bauman Z., Le risposte ai demoni che ci perseguitano, http://www.corriere.it/esteri/16_luglio_25/zygmunt-bauman-le-risposte-demoni-che-ci-perseguitano-b1d972a6-52a3-11e6-9335-9746f12b2562.shtml.

[20] E allora suonano ancora attuali le parole di Marshall T., giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, del 4.7.1992: “La democrazia non può fiorire in mezzo alla paura. La libertà non può sbocciare in mezzo all’odio. La giustizia non può mettere radici in mezzo alla rabbia. Dobbiamo dissociarci dalla paura, dall’odio e dalla sfiducia”.

[21] Per lo scaltro politico che semplifica la realtà creando il nemico, l’immigrato è da eliminare perché colpevole della nostra crisi. Ma non osando neanche lui dire che il nemico va eliminato fisicamente, perché questo urterebbe la coscienza della maggior parte della gente, suggerisce di sigillare i nostri confini: noi di qua, loro di là. Però questo non risolverà il problema, e la disgregazione sociale – che non dipende solo dall’immigrazione,- continuerebbe anche senza i migranti. Pensiamo solo a come ci ha messo in crisi il covid.

[22] Nel loro rozzo semplicismo fanno balenare facili soluzioni. Ma come diceva il secolo scorso il giornalista Henry Louis Mencken “Per ogni problema c’è sempre una soluzione chiara, semplice e sbagliata”.

[23] Che comunque non superano il terzo di tutti gli immigrati che arriva in Italia.

[24] È veramente così? In Ungheria, ad esempio operano questi nostri elevati principi? Non sembra proprio.

[25] Harari Yuval Noah., Sapiens. Da animali a dèi, ed. Bompiani, Milano, 2018, 376s.

[26] A rilevarlo è stato il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, in http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/07/20/islam-europa-religione-cristiana-koch-schonborn___1-v-144632-rubriche_c227.htm.

[27] Invece restiamo delusi, sconcertati e impauriti quando sentiamo che i musulmani ci vedono come ricchi, democratici, tecnicizzati, istruiti, ma anche come atei, aridi, cinici, vuoti dentro, senza ideali, senza regole di morale. Ritengono di avere come missione da compiere venire in Occidente per dare un'anima alla nostra civiltà, convertendoci all'islam (Gheddo P., La sfida dell'Islam all'Occidente, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2007, 142).

[28] Ovviamente, invece di Dio parla di dèi.

[29] E non è che noi italiani, come immigrati, fossimo sempre ben accolti. Il 14 marzo 1891 a New Orleans, una folla di cittadini assalì la prigione locale e uccise 11 immigrati italiani, in particolare siciliani. E fin circa agli anni ’60 del secolo scorso, gli italiani negli Stati Uniti erano prevalentemente ancora considerati cittadini di serie B. Nell’agosto 1893 in Francia, ad Aigues-Mortes vennero linciati diversi immigrati italiani – in prevalenza piemontesi - che lavoravano nelle saline. La strage fu causata, come spesso avviene, da una fake-news che fece scoppiare di rabbia la folla. E come non ricordare i cartelli dei bar in Svizzera e Germania con cui si vietava l’ingresso agli italiani?

[30] Paradiso XVI, 58-60: “Tu proverai sì come sa di sale

Lo pane altrui, e come è duro calle

Lo scendere e’l salir per l’altrui scale”.

[31] Quanti sanno che fra il 1861 e il 1985 gli italiani che hanno lasciato il nostro Paese sono stati circa 29 milioni? Basta cercare in internet su qualche motore di ricerca. Non sono stati proprio così pochi.

[32] Anche alla caduta dell’impero romano hanno contribuito le moltitudini immense che hanno attraversato i confini dell’impero. La differenza è che in allora queste moltitudini erano armate, veri e propri eserciti che entravano con la forza e poi s’imponevano con la forza. Al momento, gli stranieri che cercano di entrare sono disorganizzati e disarmati.

Va anche ricordato, a onore di Roma, che l’apertura mentale di quell’impero ha permesso la sua grandezza: infatti son potuti diventare imperatori uomini provenienti da tutti gli angoli dell’impero. Solo per citare alcuni nomi famosi: Traiano era spagnolo, Costantino veniva dai Balcani, Settimio Severo dalla Libia. Oggi noi non abbiamo più quest’apertura mentale. Provate a immaginarvi un primo ministro italiano proveniente dalla Libia o dalla Serbia. Quanti griderebbero che si sta attentando alla nostra nobile identità?

Lo stesso è successo in Cina. Nella prima metà del 1400, prima che Cristoforo Colombo arrivasse in America con le sue piccole caravelle, l’ammiraglio cinese Zheng He solcava l’Oceano indiano con le più grandi navi del mondo (400 piedi di lunghezza contro gli 85 delle caravelle; ne è stata trovata una di oltre 500 piedi), dimostrando l’eccellenza della tecnologia navale cinese e della capacità d’imporre un’egemonia commerciale su quei mari fin verso l’Africa (senza però mai invadere quelle terre, a differenza di quanto hanno fatto sempre gli europei). Da notare che il Paese dov’era nato Zheng He non era ancora Cina ma venne conquistato dai cinesi, e Zheng He (musulmano) andò in Cina da piccolo come prigioniero. Eppure gli fu consentito di fare una prestigiosa carriera riconoscendo le sue doti. Però, dopo la morte di Zheng He, l’imperatore cinese pose fine ai viaggi lontani e ai commerci lontani, rinchiudendo la Cina in un orgoglioso isolamento. Si perse pian piano la capacità tecnica di costruire quelle possenti navi. La chiusura verso il mondo esterno portò anche a una lenta chiusura mentale, e per l’impero cinese cominciò un lento ma inesorabile declino.

Anche questo è un classico esempio che dimostra come l’apertura verso gli altri, verso gli stranieri, rende il proprio Paese più prospero, mentre che la chiusura, l’evitare i contatti e le contaminazioni con gli stranieri, lo porta inesorabilmente al declino.

[33] Che immagino la maggior parte dei lettori non sa neanche dove si trovi. È un’isola della Micronesia dove l’Australia ha dirottato molti richiedenti asilo per non tenerli sul proprio territorio.

[34] https://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/06/13/rifugiati-europa-quanti-vivono/

[35] Harari Y. N., Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, 236.

[36] Discorso di papa Francesco ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (8 febbraio 2021).

[37] Vitali A., La leggenda del morto contento, San Paolo, Milano, 2020, 33.

[38] Harari Yuval Noah, Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, 246.

[39] E che, ad es., riemerge prepotentemente davanti a un atto terroristico, che ci rende immediatamente più aggressivi con quelli che definiamo gli “altri” e che vorremmo rimandare immediatamente a casa loro.

[40] In questa direzione spinge il cristianesimo di papa Francesco, che disturba tanti perché richiede un faticoso impegno personale.

[41] Anche il DNA si presenta identico in tutti gli esseri umani nel 99,9 % dei casi. L’Homo sapiens - cui noi europei bianchi ci onoriamo di appartenere - si sarebbe evoluto in Africa circa 200.000 anni fa (Harari Y.N., Sapiens, da animali a dèi, Bompiani, Milano, 2018, 14ss.): quindi anche noi abbiamo origini africane. E a proposito del DNA, quello dello scimpanzé è al 99% uguale a quello umano. Ma di nuovo queste sono statistiche che non ci toccano, eppure dovremmo pensarci.

[42] Ainis Michele, La via visionaria alla politica, “la Repubblica” 27.12.2019, 34.

[43] Neanche questo è ovviamente è vero, perché proprio il popolo che oggi definiamo italiano è sorto da un’accozzaglia di popoli che si sono mischiati fra di loro: latini, goti, longobardi, franchi, normanni, arabi, ecc.

[44] Nel 2010, l’arcivescovo di Praga Miloslav Vlk affermava: “A meno che i cristiani non si sveglino, la vita sarà islamizzata e il cristianesimo non avrà la forza di imprimere il suo carattere nella vita della gente, per non parlare della società. L’Europa ha rinnegato le sue radici cristiane quelle su cui si è innalzata, e che potrebbero darle la forza di sventare il pericolo di essere conquistata dai musulmani, il che sta accadendo gradualmente”. Si potrebbe obiettargli che non è merito loro, ma demerito nostro.

Calza a pennello, per chi la pensa come Salvini o il cardinal Ruini, la frase di Miguel de Unamuno (in L’agonia del cristianesimo): “Vedo la politica elevata a religione, e la religione elevata a politica”.

[45] “I pregi delle democrazie liberali non consistono nel potere di chiudere le proprie frontiere, bensì nella capacità di prestare ascolto alle richieste di coloro che, per qualunque ragione, bussano alle porte” (Benhabib S., La rivendicazione dell’identità culturale. Eguaglianza e diversità nell'era globale, il Mulino, Bologna, 2005, 223).

[46] Certo, «Fu la devastante esperienza della Seconda guerra mondiale che indusse gli statisti europei a rafforzare la protezione dei diritti degli individui di fronte allo Stato. Gli arresti arbitrari, le deportazioni e le esecuzioni, la prigionia senza capi d’imputazione, i campi di concentramento e il genocidio, la tortura e i processi politici facevano parte dell’esperienza recente di buona parte dell’Europa. I leader europei volevano proteggere le future generazioni da queste esperienze. “Mai più” fu il loro motto. L’osservanza dei principi della Convenzione europea dei diritti umani può essere lacunosa ed è indubbio che in Europa si verificano ancora violazioni dei diritti umani, ma gli Stati possono essere trascinati davanti a un tribunale dove il singolo può chiedere giustizia contro lo Stato che ha violato i suoi diritti. In nessun altro luogo del mondo si può fare una cosa del genere» (Bond M., Introduzione alla Convenzione europea dei diritti umani, Claudiana, Torino, 2021).

[47] Non c’è da stupirsi se la CEDU, da noi tanto decantata, è ritenuta in gran parte del mondo un documento prettamente occidentale: un musulmano nigeriano o afghano vive inserito in una rete di relazioni e rapporti completamente diversa da quella di un occidentale. Riconoscere a queste popolazioni i diritti dell’uomo in quanto singolo individuo significa privarli di un’esistenza nella collettività o, addirittura, contrapporli a essa. In altre parole: il conferire diritti indipendenti al singolo individuo non rientra nella tradizione di quelle culture, che vedono nell’individualismo non la possibilità di diventare pienamente sé stessi ma, forse in conseguenza delle esperienze di vita in condizioni desertiche assai difficili, solo la certezza di perire (così aveva ben chiarito un giornalista che conosceva a fondo l’Africa: Kapuscinski R. Nel turbine della storia, ed. Feltrinelli, Milano, 2009,102 s.).

[48] L’art. 10 della Costituzione italiana recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Dunque, piaccia o non piaccia, è la più alta delle nostre leggi a dire che lo straniero è persona soggetto di diritti e di doveri esattamente come ciascuno di noi, sì che respingere lo straniero a priori significa mettersi noi dalla parte dell’illegalità. Rifiutare di accogliere e far entrare in Italia i migranti li rende clandestini, e li trasforma automaticamente in colpevoli non perché ci hanno fatto qualcosa di male ma perché, per il fatto di esistere, vengono a “rompere” la nostra tranquillità.

[49] Anche per la Bibbia l’accoglienza è fondamentale. Per fare qualche esempio: Dio divide il territorio secondo le tribù d’Israele, ma aggiunge che il territorio va condiviso fra queste tribù e i forestieri che abitano in mezzo alle tribù (Ez 47, 21).

Secondo un'interpretazione che gode di vasto consenso, presso le querce di Mamre Abramo riceve la visita di Dio (G, 18, 1: Il Signore gli apparve). Ma subito dopo riceve la visita di tre uomini, e per accogliere questi forestieri Abramo interrompe la visita di Dio, chiedendogli di pazientare (Gn 18, 3: Signore, se ho trovato grazia presso i tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo"), perché corre a servire i forestieri. Alla fine, dopo che i tre se ne sono andati, torna a parlare Dio (Gn 18, 18, 16ss.). Da questo episodio si ricava non solo il precetto (mizvàh in ebraico) che accogliere gli ospiti è un vero dovere religioso, ma anche l'idea che l'ospitalità per gli uomini è più importante che accogliere Dio. Salvini, baciando il rosario, crede che render culto formale a Dio sia più importante che accogliere gli uomini.

[50] Attenzione a pensare che la legge debba essere sempre obbedita perché tutela tutti allo stesso modo, per cui è giusta. Anatole France diceva: “La legge, nella sua maestosa equità, proibisce tanto ai ricchi quanto ai poveri di dormire sotto i ponti”. La legge deve tutelare i più deboli, non i più forti.

[51] Del Volto Santo M.C., Edith Stein, san Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 211.

[52] Papa Francesco ha detto più volte che siamo tutti sulla stessa barca (ad es. nel libro La vita dopo la pandemia, Libreria editrice vaticana, 2020, 19), nel senso che o arriviamo tutti insieme, oppure andiamo tutti a fondo. Però su questa barca ci sono viaggiatori di prima classe e altri di terza classe, per cui sta a noi cambiare questi rapporti. La sfida del nostro secolo è la fratellanza (che non significa che dobbiamo vivere tutti la stessa vita, ma che non dobbiamo escludere nessuno ed eventualmente accompagnare l’altro più fragile di noi) perché di fatto là abbiamo posto il confine: noi e i nostri di qua in una bolla esclusiva, gli altri di là. C’è un muro che noi stessi abbiamo alzato internamente (non è un muro costruito da altri), sì che siamo davanti a un nostro peccato che non è più individuale, ma strutturale. La modernità ha realizzato imponenti strutture economiche, tecniche e sociali, ha moltiplicato la quantità dei beni prodotti, dando all'uomo più "avere"; dall'altro lato, però, la perdita di tensione etica e di solidarietà ha generato nuove forme di povertà umana e di emarginazione, mortificando l'uomo nel suo "essere" (Avvenire 18.2.2021, 3, un articolo di Sorge B.). Occorre perciò superare questo confine che noi stessi abbiamo creato, e smettere di pensare che siamo o fratelli (solo di qua) e nemici (di là). La casa-mondo è una sola e tutto è strettamente connesso. Ormai con la globalizzazione dobbiamo concepire l’umanità al plurale, senza più escludere nessuno, ma anche senza rinnegare i nostri valori.

[53] Non si possono decantare ideali universali se non si ha poi rispetto della vita del singolo individuo … la nostra debolezza maggiore è la ripugnanza del servizio (Cives D., Tonino Bello, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 56).

[54] Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed. Massari, Bolsena, 2013, 142s.

[55] Nel 1994 in Rwanda l’etnia cristiana Hutu, maggioranza, trucidò l’etnia cristiana Tutsi, minoranza: preti e suore e cristiani laici in nome dell’etnia chiusero nelle chiese i “loro nemici, fratelli e sorelle nella fede”, bruciandoli o chiamando i militari e facendoli mitragliare a vista, senza distinzione di donne, bambini, uomini e anziani. Il ragionamento degli Hutu fu lo stesso di quello che Trump sosteneva in America: “Prima gli americani,” o di quello che vari politici hanno sostenuto in Italia: “Prima gli italiani”. “Prima siamo Hutu, poi …”. Un milione di morti “gratis” in nome del “prima siamo…”.

[56] Intesa come compatimento delle sofferenze altrui.

[57] Pensiamo a come Gesù tende la mano alla suocera di Pietro, come libera l’indemoniato nella sinagoga, il lebbroso, l’indemoniato di Gerasa e tanti altri (cfr. i primi 5 capitoli di Marco), reintegrandoli nella società dalla quale erano stati messi da parte se non cacciati.

[58] Anche se Giovanni Battista sbaglia nel presentare il giorno dell’incontro col Signore come un giorno d’ira, quando la folla impaurita gli chiede: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3, 10), la sua risposta è già in perfetta sintonia col messaggio che porterà Gesù: il Battista non dice nulla che riguardi il Dio, nulla che riguardi la religione, nulla che riguardi il culto: non chiede di pregare più intensamente, di andare a fare tante offerte nel Tempio; vuole solo che il cambiamento di vita porti alla condivisione (Lc 3, 10-18). Dunque, già con Giovanni Battista inizia a cambiare il rapporto con Dio, che poi sarà portato a compimento da Gesù, e cambia conseguentemente anche il senso del peccato: il peccato non è più un’offesa a Dio e alla sua legge, ma un’offesa all’uomo, per cui bisogna cominciare a cambiare da qui. Dobbiamo cominciare dagli stranieri.

[59] Richiamato da Bauman Z., Le risposte ai demoni che ci perseguitano, http://www.corriere.it/esteri/16_luglio_25/zygmunt-bauman-le-risposte-demoni-che-ci-perseguitano-b1d972a6-52a3-11e6-9335-9746f12b2562.shtml.

[60] Anche se i continui e imprudenti richiami alla fratellanza e alla solidarietà han fatto sì che Gesù non arrivasse alla vecchiaia (Cives D., Tonino Bello, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 113).

[61] Molari C., La preghiera nel tempo della pandemia, “Rocca” del 1 febbraio 2021.