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Credo in Spiritum Sanctum, Sanctam Ecclesiam Catholicam - Borsum, St. Martinus, Decke, Particolare - foto di Rabano Flavo, tratta da commons.wikimedia.org


La Chiesa santa

di Dario Culot

Abbiamo scritti canonici che invitano alla santità (ad es. 1Ts. 4, 3, contrapposta all'impurità della fornicazione non voluta da Dio; oppure 1Pt, 1, 16: se Dio è santo, anche noi dobbiamo esserlo). Il credente santo è perciò colui che viene messo in qualche modo da parte, viene sacralizzato, perché col battesimo appartiene solo al Signore; viene in sostanza separato, perché avendo realizzato una sua partecipazione personale col divino si stacca da ciò che è bassamente materiale, e si distingue da ogni altra realtà volgarmente profana. Nell’insegnamento religioso, la santità viene ancora presentata come una virtù[1]. Ma come sappiamo, essere virtuosi non vuol dire ancora essere capaci di fare il bene.

Ora, siccome pensare di misurarsi e gareggiare in santità e in virtù con Dio è impensabile, cosa ce ne facciamo di una perfetta santità che non potremo raggiungere mai? L’uomo è imperfetto per definizione, e deve cercar di fare il meglio che può partendo con questo handicap di fondo. Credo si possa partire da un dato di fatto indubitabile, evidenziato già da Beethoven, il quale spiegava perché scriveva musica: la nostra aspirazione è infinita, mentre la volgarità del mondo rende tutto finito. Anche Beethoven voleva elevarsi ed elevarci. Per rendersi conto di questo non occorre però scomodare la santità. Dovremmo invece ricordarci che mai Gesù ha chiesto a qualcuno dei suoi discepoli di essere santo perché “io sono santo” (come diceva il Dio del Levitico: Lv 11,44); ha semplicemente detto: «siate misericordiosi come il Padre vostro del cielo è misericordioso» (Lc 6, 36), perché la santità non sempre unisce, mentre la misericordia unisce tutti. Tutto quello che è scontro, divisione, quello che mette gli uomini gli uni contro gli altri, non viene da Dio e non ci porta a Dio. Anzi, tutto questo ci mette contro Dio. La tentazione di credere che l’umanità vada divisa in buoni e cattivi, santi e peccatori non viene da Dio. Il mondo è costituito solo da ‘ladroni sulla croce’, ugualmente amati in quanto figli, e non per le loro prestazioni morali. Un Dio che amasse in base all’etica, cesserebbe d’essere l’Amore che invece si dà non per i meriti acquisiti (sarebbe un premio), ma perché non può non farlo. Come la luce non può non illuminare[2].

La verità di questa affermazione diventa tanto più chiara vedendo che Gesù non accettava la ‘santità’ dei farisei,[3] i quali volevano salire per incontrare Dio, staccandosi dal volgo peccatore. Questo tipo di santità crea disuguaglianza e quindi discriminazione, giacché solo chi si è elevato si vede come puro, mentre chi è impuro e non può avvicinarsi a Dio si sente escluso. Ecco perché nei vangeli, in barba a quanto proclama ancora l’odierno codice canonico,[4] Gesù non invita mai nessuno a diventare santo, né usa questa parola, mentre invita sempre tutti alla misericordia nei confronti dei suoi simili, perché quanto più l’uomo è pienamente umano tanto più rende onore a Dio,[5] come ha fatto il buon samaritano. Proprio in questa parabola (Lc 10, 25ss.) il sacerdote ed il levita, col loro comportamento tutto teso al soprannaturale, ad onorare la legge di Dio, che vogliono essere santi perché Dio è Santo, mettono in luce un’immagine sinistra di Dio. Tutti infatti percepiscono che il sacerdote, la persona religiosa, pura e perciò santa, che si crede credente, in realtà sta togliendo la vita. Tutti si rendono conto che un impuro peccatore, il quale non pensa affatto di essere santo, assomiglia invece a Dio perché in lui tutti possono vedere la presenza di un Padre che ridona la vita, la garantisce, la cura. E si tratta della vita terrena, materiale, perché siamo stati creati per vivere sulla terra, non per sollevarci in aria dalla terra. Se Gesù ci dice che coloro che sono passati scansandosi sono un sacerdote e un levita, cioè i professionisti della religione che volevano mantenere intatta la loro purità e santità, in realtà sta criticando proprio chi mira alla santità e per raggiungerla si concentra su valori di ordine trascendente che, per essere così sublimi ed eccelsi, finiscono per anteporsi a ogni altra cosa, ancorché si tratti della vita terrena minacciata di un uomo. Se al contrario Gesù afferma che colui che si è occupato di quella urgente necessità umana è stato un miscredente lontano mille miglia dalla santità, un eretico senza Dio destinato alla perdizione secondo la religione ufficiale, ciò che Gesù realmente insegna è che la necessità umana viene prima dell’osservanza divina. La misericordia viene allora prima della santità; o, detto in altre parole, santità ci può essere solo quando coincide con l’amore misericordioso.

E Gesù ha infatti detto: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”[6] (Gv 14, 23). Gesù non dice che il Padre e lui prenderanno dimora presso colui che si è confessato, ha fatto il comunione in ginocchio ricevendo l’ostia sulla lingua da parte di un suo sacro intermediario e solo dopo che, a forza di preghiere e penitenze, si sarà anche innalzato verso le alte sfere divine raggiungendo la santità. È Dio che scende e aspetta di essere accolto, non l’uomo che deve salire. Nella parabola del Padre misericordioso è detto chiaramente che è Dio che corre incontro all’uomo avendone compassione (Lc 15, 20), non l’inverso. È tragico allora che questa parabola ci sia stata insegnata facendoci intendere che Dio è un giudice severo rispetto a chi non rispetta le sue regole, che prima uno deve pentirsi, confessarsi e poi, forse, una volta ricevuta l’assoluzione dai peccati la Chiesa e Dio lo accoglieranno. Questa è un’immagine di Dio che crea paura, e per paura di Dio tanti si sono rovinati la vita[7].

“Eh, ma questa è un’interpretazione evolutiva” dirà qualcuno. E chi se ne frega! Visto che lo stesso Gesù fa capire che l’interpretazione delle Scritture deve essere evolutiva: “Avete inteso che fu detto agli antichi…ma io vi dico” (Mt 5, 21-33).

E che questa nuova immagine di Dio contenuta nella parabola del Padre misericordioso (ma dovrebbe essere vecchia di duemila anni!), che è Lui a correre incontro agli uomini, non solo spiega che a Dio non importa se abbiamo peccato e non abbiamo raggiunto la santità; proclama chiaramente che quello che veramente gl’importa è farci sapere che ci aspetta, perché Dio è Amore che aspetta per far festa insieme a noi. Sempre nei vangeli troviamo ulteriore conferma di questa Buona Novella: dopo la cacciata dal Tempio si è avvicinata a Gesù una moltitudine di impuri, finalmente ammessi al Tempio, prima precluso. Eliminato il Tempio, eliminato il culto sacro dal quale erano esclusi, gli impuri peccatori, cioè quelli che sono i più lontani dalla santità, possono finalmente non sentirsi esclusi da Dio (Mt 21, 14). Mi sembra che il vangelo ci stia allora dicendo che quando il Dio che si sperimenta nel luogo sacro non coincide col Dio di Gesù che condiziona ogni giorno la nostra vita per strada, sul lavoro, nella convivenza con gli altri, allora il Tempio (anzi ogni luogo sacro) col suo presunto «Dio» diventano il grande inganno che perverte la religione: contro questa perversione ha combattuto Gesù. Di più: se non c’è più bisogno del culto, anche il Tempio con le sue leggi divine, cioè lo spazio sacro[8] dove ci dicono che si può incontrare Dio, perde molto della sua fondamentale importanza. Ed è anche la fine dei pellegrinaggi ai vari santuari, degli spazi che si considerano più sacri degli altri. Tutta questa devozione serve a ben poco. Infatti Gesù, alla samaritana al pozzo, la quale gli chiede in quale tempio bisogna andare per adorare Dio, risponde che non si deve più andare in nessun luogo (aggiornato: in nessuna chiesa), perché il Padre va adorato in spirito e verità[9] (Gv 4, 19ss.). Inoltre afferma categoricamente: «Dove due o più sono riuniti nel mio nome, lì ci sono anch’io in mezzo a loro» (Mt 18, 20), anche al di fuori di un edificio sacro. ‘Nel mio nome’ significa dove due o più mi rappresentano, perché mi assomigliano col loro comportamento. E questa somiglianza annulla ogni distanza fra Dio e gli uomini, all’opposto della religione che cerca sempre di creare una distanza abissale fra Dio e gli uomini,[10] e all’interno degli uomini fra puri e impuri, fra santi e peccatori. Ecco che la Chiesa dovrebbe presentarsi come un’unità di uomini identificabile per l’esperienza che fa di una Forza che non proviene da lei, ma arriva a lei dall’esterno. Il nostro compito non è sforzarsi per fare miracoli per elevare noi stessi, ma lavorare, persino lottare affinché la vita su questa terra sia più umana, più degna per tutti, anche se ciò comporta il doversi scontrare con i poteri oscuri della morte. Tutto ciò è alla nostra portata, e in questo consiste l’autorità di guarire data da Gesù ai discepoli[11].

Gesù ha parlato molte volte del Regno di Dio, e il Regno di Dio ha tre obiettivi (fra di essi non c’è la santità):

1. La salute delle persone;

2. Il cibo per tutti. Nella terza manifestazione del Signore risorto, sulla riva del lago, noi pensiamo che se si manifesta sarà per dire cose importanti dal punto di vista teologico; e invece per lui la cosa che sembra più importante è mangiare e far festa[12]. La dottrina ufficiale, sconcertata per questa materialità terrena, inventa l’interpretazione che questa fosse solo una scusa per attirare l’attenzione; ma allora perché accendere il fuoco sulla spiaggia e curarlo per poi arrostire il pesce?

3. La felicità delle persone su questa terra. La gioia qui su questa terra è dunque la nostra vocazione, come spiega Gesù nelle Beatitudini. E se no, che Buona Novella sarebbe il Vangelo? Invece noi abbiamo creato una religione dove prevale il lutto e la penitenza, in attesa di una felicità in paradiso[13].

Nessuno di questi tre questi obiettivi rientra fra gli obiettivi primari della Chiesa che ha irrigidito il messaggio che doveva trasmettere e anzi, autodefinendosi santa, vede spesso con sospetto ogni obiettivo che sa di materiale e terreno e non eleva verso l’alto. La Chiesa preferisce accompagnare le persone verso la perfezione e la santità. Però – come detto,- la nostra è diventata così una spiritualità triste, listata a lutto[14]. Il Gesù terreno aveva preferito accompagnare le persone verso la felicità, per questo ci aveva proposto il Regno di Dio come una festa, un banchetto, senza distinguere fra corpo e spirito. Gesù non è affatto spirituale nel senso che intendiamo normalmente noi: ricordiamoci che lo vedevano come un mangione ed ubriacone (Mt 11, 19). Già in allora le persone pie non capivano come Gesù potesse equiparare il Regno di Dio a un banchetto matrimoniale, dove si mangia, si beve e si fa festa, piuttosto che a una solenne, maestosa e sacra cerimonia religiosa.

Non credo si possa dire che la Chiesa abbia seguito questi principi che pur emergono nitidamente dai vangeli. E nell’incoerenza fra la santità predicata e la condotta effettivamente tenuta, si può alla fine constatare come la nostra Chiesa sia un'istituzione ben integrata nel sistema, sì che uno che è in disaccordo col sistema, lo rifiuta, è inevitabilmente in disaccordo anche con la Chiesa, rifiuta anche l’istituzione Chiesa. In cambio di questa integrazione (pensiamo solo ai vari concordati con i vari Stati) la Chiesa ha ricevuto dal sistema riconoscimento legale, spesso aiuti economici e spessissimo privilegi fiscali. Perciò la Chiesa fa parte del sistema, è installata nel sistema[15]. Come possiamo dire che è santa?

Ma su che basi, poi, la Chiesa si dichiara santa? Vari sono i motivi richiamati:

- perché lo Spirito Santo, fonte totale di ogni santità, è anche la sorgente della santità della Chiesa (n.749 Catechismo). Perciò la Chiesa è santa non per virtù dei suoi figli, ma in virtù dello Spirito.

Ora, a parte il fatto che lo Spirito santo soffia dove vuole e non necessariamente nella Chiesa, abbiamo già visto tante volte come la Chiesa non sia stata minimamente ispirata dallo Spirito santo,[16] per cui ha dovuto anche tornare sulle sue decisioni, sempre in rigoroso silenzio per non dar a vedere che aveva sbagliato e che quindi non era stata assistita dallo Spirito Santo[17].

Inoltre è stato giustamente osservato che se questa tensione è ciò che immunizza la Chiesa dall’effetto peccaminoso dei suoi membri, se i suoi uomini si attribuiscono il pieno possesso di questo Spirito confondendolo con quel mondo che essi sono, come potrà non valere anche per la Chiesa la legge inesorabile delle istituzioni “secolarizzate” che si insudiciano a loro volta con la corruzione dei loro membri?[18]

- perché Pietro riconosce Gesù come il Santo di Dio (Gv 6, 69). E allora? Se è per questo anche lo spirito immondo che frequentava la sinagoga lo riconosceva come il Santo di Dio (Mc 1, 24). Ci dicono che Gesù si è santificato per i discepoli, alludendo al sacrificio della sua morte (Gv 17, 19), così esprimendo implicitamente la sua funzione di vero e proprio Sommo Sacerdote[19] che realizza la Riconciliazione. Come? Offrendo sé stesso in sacrificio per tutti noi. La Chiesa non è dunque santa da sé stessa, perché è fatta di peccatori, ma è santa perché viene sempre di nuovo santificata dall’amore purificatore di Cristo[20]. Ma – ci si può chiedere,- questo amore purificatore non fa allo stesso modo diventare santi tutti i suoi figli? Perché solo l’ente Chiesa dovrebbe essere purificato e non i singoli membri? E poi, se Gesù era laico, com’è che noi l’abbiamo elevato a Sommo Sacerdote? Perché non far sapere a tutti che mai Gesù – almeno stando ai vangeli - parla di “sacerdote” (iereus, in greco) per la sua comunità, e mai si usa questa parola riguardo ai possibili compiti dei discepoli o delle discepole di Cristo?

- Ulteriore spiegazione: Gesù è il santo di Dio che ha tanto amato questa sua sposa[21] (la Chiesa) da dare sé stesso per lei per renderla santa (n.823 Catechismo),[22] per cui le verità da lei proclamate sono sante. Ma Gesù ha dato come unico comandamento che ogni singola persona ami ogni altra persona che incontra, senza dare alcun incarico alla Chiesa intesa come ente. L’amore può essere manifestato solo dalla singola persona, non certo da un ente astratto. Trovatemi in quale passo dei vangeli Gesù ha dato un incarico specifico all’ente Chiesa e non ai singoli. Inoltre, come ha ben detto a Romena il vescovo Derio Olivero,[23] i cristiani non devono ribadire le sante verità, ma devono lavorare per aiutare a credere a questo mondo e alla vita. I cristiani non sono quelli delle sante verità, ma della Bella Notizia.

A dire il vero, a cominciare da sant’Ambrogio si è anche cominciato a dire che la Chiesa, oltre che santa, è una “casta meretrice”, ma secondo i conservatori tradizionalisti il termine non significherebbe affatto qualcosa di peccaminoso quanto il suo contrario perché come ‘casta’ la Chiesa aderisce totalmente a Cristo e vorrebbe portare a tutti la salvezza.

Permettetemi qualche dubbio anche su quest’ultima interpretazione. Ovviamente è diverso porre l’accento sul termine ‘casta’ oppure sul termine ‘meretrice’[24]. Ma non vi sovviene che papa Paolo VI, a un certo punto del suo pontificato aveva detto che sentiva “il fumo di Satana nella Chiesa”?[25] E che papa Benedetto XVI, a un certo punto non ce la faceva più, e ha dato le dimissioni non riuscendo più a controllare la situazione interna alla Chiesa, in cui operavano con troppa facilità i ‘corvi’? Con le contraddizione fra ciò che la Chiesa dice e ciò che la Chiesa fa in questioni fondamentali riguardanti i vangeli (pensiamo a tutti gli scandali economici, agli abusi sessuali,[26] agli scontri non sempre sopiti di fratelli coltelli che si fanno le scarpe l’un l’altro per vedere chi è il più importante), forse la spiegazione di casta meretrice come spiegata dai conservatori appare un po’ troppo ottimistica[27]. E questo lo sapeva perfettamente anche Gesù, il quale ha ricordato che ogni comunità è insieme grano e zizzania (Mt 13, 24ss.), e bisogna lasciare che i due crescano insieme. Quindi anche la Chiesa è una comunità di imperfetti, e una comunità di imperfetti non rende certamente santa la comunità che abitano (contra n. 825 Catechismo). Ovvero, il singolo che risponde positivamente all’offerta di amore di Dio sarà anche santo, ma la sua comunità non diventa per questo santa, né si diventa santi perché si partecipa a una comunità particolare che si auto-definisce tale. Dio agisce a livello di individui, quindi si può essere cristiani (e santi) solo in quanto individui, non in quanto comunità; tant’è vero che il cattolico non si distingue dagli altri, né è migliore degli altri, solo perché appartiene alla Chiesa. Anche se Gesù, che è capo della Chiesa, è santo, non per questo lo sono i suoi vicari[28] (né i fedeli che partecipano all’assemblea), per cui neanch’essi possono dare la patente di santità all’intera comunità. A differenza di quanto avveniva col popolo d’Israele che si considerava eletto (Sir 24, 4, 14, 16), neanche la comunità (Chiesa) ha una funzione privilegiata e quindi non può essere santa in quanto tale.

Inoltre in Israele, il santo di Dio era il sommo sacerdote che a Gerusalemme aveva il compito di compiere la santificazione di tutto Israele (Sal 105, 15; Sir 45, 6). Attribuendo a Gesù la funzione di sommo sacerdote (Eb 8, 1)[29] ecco spiegato perché si dice che Dio lo si potrà incontrare solo nella Santa Chiesa, mai invece in un deserto o in montagna. Però i vangeli dicono qualcosa di diverso, visto che Gesù non è andato mai a pregare nel sacro Tempio, ma sempre in luoghi appartati di campagna o montagna. Insomma, i druidi che incontravano la divinità nel bosco, forse hanno ancora qualche verità da insegnarci, perché anche luoghi apparentemente profani possono acquistare grande valenza spirituale.

A conferma di quanto fin qui detto, basta – come sempre,- leggere il Nuovo Testamento. Pietro va nella comunità (chiesa) di Giaffa e qui, nonostante le opere buone della discepola Tabita, la comunità è proprio morta (At 9,36), anche se poi Pietro riesce a risuscitarla (At 9, 41). Stando agli Atti, varie comunità visitate da Pietro o sono paralizzate o sono morte, perché erano tornate ai principi che reggevano il Tempio di Gerusalemme e quindi stavano di nuovo sotto la cappa della Legge (come del resto, per molti versi, la nostra Chiesa oggi). Pietro si dà da fare per rianimare queste comunità; poi, anziché fermarsi nella comunità di Enea il paralitico, o di Tabita la morta, va nella comunità di Simone il conciatore di pelli (At 9, 43). Come sappiamo, la concia era un lavoro che rendeva l’uomo impuro, e chi è impuro contamina tutti quelli che stanno con lui: quindi Pietro entra in una comunità di impuri, da evitare come la peste, volendo seguire la Legge che – secondo alcuni - insegna qual è la vera volontà di Dio; ma – secondo altri - dietro alla formale obbedienza alla Legge c’è quasi sempre un deserto di umanità che spegne i cuori. E qui Alberto Maggi ci spiega brutalmente il quadro che presenta l’evangelista: Pietro ha visitato un monastero maschile: tutti paralizzati. Ha visitato un monastero femminile: tutte morte. Alla fine entra in un bordello e lì c’è finalmente vita. Ovviamente Enea, Tabita e Simone sono personaggi rappresentativi, e mentre i primi due sono rispettosi della Legge, il terzo è il più lontano da essa, ma è anche l’unico vivo e l’unico non ammalato. Siamo davanti a un esempio che dovremmo tenere a mente anche oggi, ricordandoci che fin dall’inizio l’unica comunità che non è ammalata è quella che ha rotto con la Legge divina,[30] il che significa che solo quando s’incrina l’osservanza della Legge, si permette allo Spirito di irrompere. Da notare in sovrappiù che questa esperienza vissuta da Pietro, non gli è capitata nel Tempio (lui saliva sempre al Tempio a pregare: Lc 24, 53), e non gli è capitata neanche nella Chiesa di Gerusalemme che seguiva l’ortodossia[31] e che è stata retta da lui per un certo periodo. Forse non è neanche un caso se, nel momento in cui Pietro esce definitivamente di scena (At 12, 17) e non se ne parla più, lui non torna più al Tempio, come faceva prima: esce e va in un altro luogo. Quale? Non si sa. Certamente non più nel Tempio, perché la realtà di Gesù non si trova nel luogo ritenuto il più santo della terra, ma – come detto più volte,- sempre nel profano[32]. Insomma, se l’evangelista ci dice che Dio si trova più facilmente in un luogo impuro che in un luogo puro, più facilmente in un bordello che nel sacro Tempio, vorrà pur dire qualcosa. Per lo meno è chiaro che nessuna comunità (Chiesa) può rinchiudere in sé stessa Gesù. Quando entriamo in una comunità dovremmo invece chiederci se Gesù è il profeta di quella comunità, di quella Chiesa in cui vorremmo vivere.

In effetti, Gesù ci ha fatto capire con il suo modo di vivere e con i suoi insegnamenti che il mezzo per incontrare Dio e relazionarci con Lui non è la religione tradizionale, ma il suo Vangelo. Vale a dire, il mezzo per incontrare Dio e mantenere con Lui la miglior relazione possibile non sta nei rituali sacri, nei sacramenti che vengono distribuiti in chiesa, ma nel progetto di vita profano, così come è stato vissuto da Gesù e ha preso forma nel Vangelo[33].

Nella Bibbia (Es 26; Lv 26,11; 1Cr 17, 5) Yhwh si era fatto costruire una tenda per dimorare in mezzo al suo popolo; in seguito la sua casa era diventata il Tempio di Gerusalemme[34] (Zc 8, 3). Con Gesù, Dio abbandona il Tempio e pone la sua tenda fra di noi (Gv 1, 14), in ogni singolo uomo che amerà come lui ha amato (Gv 14, 23), sì che ogni suo seguace diventa una dimora divina (1Cor 3, 16): ogni uomo è un santuario di Dio. Se incontriamo Dio negli altri non c’è neanche più bisogno di andare al santo Tempio per incontrarlo[35], ma dobbiamo relazionarci con gli altri sempre in maniera misericordiosa. Allora non è più necessario neanche l’edificio chiesa. Il bene dell’uomo, allora, non il bene del Tempio, non l’osservanza della legge divina è l’unico valore da perseguire e diventa punto focale tutto ciò che concorre al bene di quell’uomo concreto che si ha lì davanti, a prescindere da quello che dice la legge (divina o meno). Tutto ciò che accresce la dignità dell’uomo[36] è bene dell’uomo, e il bene dell’uomo è l’unico valore non negoziabile del cristianesimo[37]. Effettivamente se tutti mettessero la stessa passione per il bene dell’uomo, al di là di quelle che possono essere le differenze ideologiche o teologiche, allora forse troveremmo finalmente in tutte le religioni un punto di incontro e di unione veramente formidabile. Quello che si può dire è che Gesù ha sacralizzato l’uomo. Eppure di questo principio non c’è traccia nel Credo, che nobilita la Chiesa ma non l’uomo.

Ancora di più: se quello che racconta il vangelo è vero, dovremmo renderci conto che la Chiesa, la quale si auto-definisce santa e vuole essere santa perché Dio è santo,[38] ha troppe volte messo in luce un’immagine sinistra di Dio,[39] presentandocelo come un Giudice severo che pretende dagli uomini continue rinunce, privazioni, mortificazioni, sofferenze, tutte cose ovviamente deleterie per la nostra felicità, in attesa di una nostra felicità solo nell’al-di-là. Perché la Chiesa non ha preso sul serio Gesù che ci ha prospettato l’immagine di un Dio che non si oppone alla nostra felicità in terra, anzi vuole la nostra felicità qui in terra (Gv 15, 11) e non solo nell’aldilà,[40] e per questo c’invita a seguire il suo modello di vita?


NOTE

[1] Richiamo il pensiero di sant’Agostino che ha imperato nella Chiesa fino ad oggi: «Due amori dunque diedero origine a due città, alla terrena l’amor di sé fino all’indifferenza per Iddio, alla celeste l’amore a Dio fino all’indifferenza per sé. Inoltre quella sia gloria in sé, questa nel Signore» (Sant'Agostino, De civitate Dei, Libro 14, § 28, in www.docuemntacatholicaomnia.eu). Ne consegue che l’amore di sé porta al disprezzo di Dio, mentre se vuoi amare Dio devi disprezzare te stesso. L’idea di questo dualismo è rimasta fissa in noi: da qui l'idea di una Chiesa - società perfetta e santa - che si contrappone al mondo imperfetto, profano e impuro. Peccato che, nonostante la pretesa di perfezione, per secoli e secoli non si mai è visto una Chiesa che si sia disprezzata per amore di Dio.

[2] Scquizzato P, Omelia domenica 27.3.2022, sulla parabola del Padre misericordioso, in Lc 15, 11ss.

[3] Anche fariseo significa separato (Il Dizionario dei concetti biblici nel Nuovo Testamento, a cura di Coenen L. e al., ed. EDB, Bologna, 1976, 616), ed era l’appartenente a un gruppo particolarmente religioso tutto proteso all’aldilà, che viveva osservando scrupolosamente la legge divina e riteneva che, se tutti fossero vissuti così, Dio avrebbe presto inviato il Messia sulla terra.

[4] Can. 210 - Tutti i fedeli, secondo la propria condizione, devono dedicare le proprie energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione.

[5] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 361.

[6] Invece nell’Antico Testamento, la Sapienza riceve direttamente l’ordine da Dio di andare ad abitare tra il popolo eletto d’Israele (Sir 24, 12ss.).

[7] Don Piero Ruffato, Omelia domenica 27.3.2022, sulla parabola del Padre misericordioso, in Lc 15, 11ss.

[8] Il sacro è il separato (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 206).

È arrivata fino a noi l’idea giudaica che in alcuni settori del mondo (luoghi, cose, persone) è più facile avere il rapporto con Dio se ci si separa dal profano: ecco allora il clero, categoria separata dagli altri uomini che, per antonomasia, è più vicina a Dio dei laici.

Pensiamo a come nella chiesa ortodossa non si può nemmeno vedere la consacrazione, il momento di collegamento fra sacro e profano: l’iconòstasi separa fisicamente i presbiteri dal gregge di peccatori laici.

Eppure la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25ss.), laico, impuro e profano, contrapposto al sacerdote che appartiene alla sfera del sacro, avrebbe dovuto farci intendere da tempo che questa separazione fra l’intoccabile sacro e il disprezzabile profano non ha ragion d’essere da almeno duemila anni.

[9] Nel Vangelo di Giovanni Gesù arriva a dire che già siamo nel tempo in cui i veri adoratori non adoreranno Dio in nessun tempio concreto («né su questo monte, né a Gerusalemme»), ma che chi dà culto vero al Padre, lo adorerà in spirito e verità (Gv 4, 20-24). Il che, in fondo, sta a significare che lo spazio sacro non è l’unico luogo appropriato per incontrare Dio. Neanche le cerimonie religiose che si celebrano nel Tempio sono il mezzo che Dio chiede per relazionarsi con Lui. Perché, qualunque sia il senso dell’espressione «adorare in spirito e verità», ciò che risulta pacifico è che in questo testo Gesù afferma che il vero culto a Dio non è più limitato né circoscritto a un luogo determinato, per quanto santo e sacro che esso sia (Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 123).

[10] Maggi A., La bestemmia del Figlio di Dio, in E se Dio rifiuta la religione?, Cittadella, Assisi, 2005, 225.

[11] Castillo J.M., I poveri e la teologia, Cittadella, Assisi, 2002, 199s.

[12] Casati A., I giorni della tenerezza, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2013, 71s.

[13] L’insegnamento listato a lutto è talmente penetrato in noi, che ancora in molti pensano che la felicità ci potrà essere solo nell’aldilà. Solo in quest’ottica si può scrivere che Gesù si rivolgeva ai poveri, ai miserabili, agli oppressi, agli infelici, e per attirarli a sé promettevano la felicità, non in terra, ma dopo la morte, rendendone difficile la verifica (Andreoli F., Maometto e le regole sacre e immutabili del Corano, in Italians, “Corriere della Sera”, 21.12.2015).

[14] In una conferenza tenuta a Verbania il 18.4.2009, il relatore Battista Borsato ha detto proprio questo: in Inghilterra circolava un treno con la scritta “Dio probabilmente non esiste, goditi la vita”. Il problema non è tanto la prima parte “Dio probabilmente non esiste”, perché si può anche dubitare, dato che Dio non è evidente. Il problema è la seconda parte: “Goditi la vita”, perché questo vuol dire che, se tu credi in Dio, non puoi godere la vita, e per godere la vita devi lasciar perdere Dio. Questo è il messaggio assai chiaro. E dobbiamo purtroppo ammettere che quest’idea che se si vuol essere felici, se si vuol godere la vita, si deve dimenticare Dio, è il frutto anche della predicazione della Chiesa, perché troppo a lungo ha predicato Dio come qualcosa di negativo, come qualcosa di deleterio per la nostra felicità, come nemico del piacere.

[15] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 232s).

[16] Vedi ad es. vari esempi riportati nell’articolo 5. Domande e risposte su chi è Gesù, al n.591 di questo giornale. Contra, ma mi sembra un po’ troppo ottimisticamente, il papa emerito (in Sommi Pontefici/ Benedetto XVI/ udienza generale 5.4.2006) il quale ha detto: “Dove c'è la Chiesa, lì c'è anche lo Spirito di Dio; e dove c’è lo Spirito di Dio, lì c’è la Chiesa ed ogni grazia; poiché lo Spirito è verità”.

[17] La storia dimostra come la Chiesa ha spesso sbagliato, tanto che Giovanni Paolo II ha ripetutamente chiesto perdono per il passato della Chiesa (per un veloce elenco delle richieste cfr. Culot D., E se Dio fosse contrario alla religione?, I, ed. Vertigo, Roma 2014, 510 nota 1877) anche se in ciò era stato sconsigliato da parte della curia che vedeva in quest’umile condotta un grave vulnus al principio dell'infallibilità: in effetti se si riconosce che la Chiesa ha sbagliato una volta, a qualcuno potrebbe sorgere pericolosamente il dubbio che abbia sbagliato anche altre volte o che potrebbe ancora sbagliare in futuro: tutta l’autorità del suo insegnamento infallibile viene minata.

Per fare quale esempio pratico pensiamo a quanti sono partiti e morti per obbedire agli ordini dei vari papi che li hanno mandati ad estirpare la zizzania del protestantesimo, o a riconquistare Gerusalemme con le crociate contro gli infedeli musulmani. Perché erano partiti? Perché credevano fermamente nel grido di papa Urbano II: “Dio lo vuole!” (Richard J., La grande storia delle crociate, ed. speciale per “Il Giornale” da Newton & Compton, Roma, 1999, 57). Se è Dio a volerlo, come ci si può rifiutare? Ma come avranno reagito tutti quei morti sentendo un altro papa (Giovanni Paolo II) chiedere perdono, perché Dio non lo voleva. Rigirandosi nella tomba, non si saranno almeno chiesti perché si deve obbedire al papa col rischio di passare, dopo qualche secolo, per antievangelici ad opera di papi successivi? Come si fa a dire che disobbedendo al papa ci si separa sempre dal vero cattolicesimo? Anzi, nella storia vi sono stati tanti casi di eretici (secondo il criterio di valutazione della Chiesa cattolica) i quali hanno invece visto ben più lontano del magistero cattolico, che pur aveva la pretesa di essere il solo ad essere ispirato dallo Spirito Santo, e di possedere per questo la verità immodificabile. Per fare anche qui qualche es., si pensi a Sébastien Castellion, il quale aveva avuto il coraggio di scrivere un libello contro la condanna a morte inflitta a Ginevra a Michele Serveto (il quale non era d’accordo sul dogma della Trinità), rischiando a sua volta la pelle: “Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo... non spetta al giudice difendere una dottrina… Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il giudice avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma giacché Serveto aveva combattuto con ragioni e con scritti, con ragioni e con scritti bisognava confutarlo…”. Oppure si pensi ad Alexandre Vinet, il quale sosteneva che libertà di coscienza e libertà di culto sono la stessa cosa, mentre negare la libertà di culto equivaleva a negare la libertà di pensiero. Nel 1800 questo principio era stato duramente condannato ed è stato accettato dalla Chiesa solo un secolo più tardi con la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae del 7.12.1965 (in www.vatican.va/Testi fondamentali/ Concilio Vaticano II). Oppure si pensi ancora alla condanna del Sant’Uffizio del tedesco Doms Herbert il quale aveva osato affermare che finalità principale del matrimonio non era la procreazione, bensì la comunione profonda degli sposi (riportato da Sebastiani L., Coscienza, libertà profezia di fronte alla legge, in A partire dai cocci rotti, Cittadella, Assisi, 2001, 189).

Ma aggiungo, oltre a chiedere perdono, il papa non avrebbe dovuto ricordare che Gesù aveva già parlato di questa situazione (Lc 6, 39) ammonendo che proprio i ‘pastori’ della comunità cristiana, quelli che detengono il potere e insegnano agli altri possono essere facilmente colpiti da cecità? Denunciano i peccati altrui, condannano severamente gli altri, vedono la trave nell’altro (e forse la pagliuzza nel proprio occhio). Insomma, chi vede la trave nell’occhio altrui e non nel proprio vive come un cieco, ma non si rende neanche conto della propria cecità.

[18] Zagrebelsky G., L’identità fra bugie e peccati, “La Repubblica”, 5.10.2005, 51.

[19] La Chiesa è santa perché Gesù è il santo di Dio. Se nel Salmo 105, 15 e in Sir 45, 6: il santo di Dio era il sommo sacerdote che aveva il compito di compiere la santificazione d’Israele, Gesù ha la funzione di sommo sacerdote (Benedetto XVI, La gioia della fede, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 99).

[20] Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo Cinisello Balsamo (MI), 2012, 99s.

[21] Il rapporto sposo-sposa c’è già nella Bibbia: es. Is 62, 5.

[22] Vedi anche gli articoli Ma Gesù ha fondato questa Chiesa? al n.504 del 2019, e Gesù non ha fondato questa Chiesa al n.564 del 2000 di questo giornale.

[23] In https://www.youtube.com/watch?v=GX7qavhm2hU

[24] E già il termine meretrice è un termine piuttosto in disuso. Ma vedete bene come risulterebbe più forte, e per alcuni più scioccante e inaccettabile, parlare di casta puttana. Quando si parla di queste cose bisogna sempre essere sempre molto soft. Pensate solo alla vita sessuale di Giuseppe e di Maria: insondabile, anzi impensabile e soprattutto indicibile.

[25] In https://it.aleteia.org/2018/05/30/paolo-vi-nella-chiesa-fumo-satana/

[26] Che però dovrebbero portarci a dire nel Credo che la Chiesa sarà anche santa, ma sicuramente è peccatrice. Ha detto il vescovo tedesco Wilmer: “Credo che l’abuso di potere sia insito nel DNA della Chiesa. Non possiamo più sbrigarlo come marginale, ma dobbiamo ripensarlo in maniera radicale”. Ma già nel 1700 Montesquieu aveva sostenuto che ogni uomo, quando ha in mano il potere, è portato ad abusarne allargando il suo spazio finché non trova un limite. Prosegue il vescovo: “Finora, però, non abbiamo alcuna idea delle conseguenze che ciò deve avere per la teologia. Per l’immagine di sé della Chiesa, lo scandalo degli abusi è uno shock, la cui portata vorrei paragonare alla conquista e al saccheggio di Roma da parte dei visigoti con Alarico nel V secolo. Da allora la teologia paleocristiana è entrata in una crisi di significato: come ha potuto Dio permettere che il centro della cristianità fosse funestato e devastato da barbari pagani? 1300 anni più tardi, nell’età dell’Illuminismo, dopo il devastante terremoto di Lisbona del 1755, è diventato più acuto il problema della “Teodicea” riguardante l’interrogativo del potere onnipotente di Dio e della sofferenza umana. E io credo che la Chiesa oggi si trovi in una situazione simile e persino più drammatica, poiché il male è derivato da lei stessa…Già i Padri della Chiesa chiamavano la Chiesa una “casta meretrice” (casta meretrix), ma questo concetto paradossale divenne più tardi incredibile e insopportabile per la dottrina imperante. Ecco perché questa idea è andata perduta. Invece di ciò si disse: ci sono nella Chiesa delle persone peccatrici, ma la Chiesa in se stessa è pura e senza macchia. Dobbiamo lasciar perdere questa convinzione e riconoscere che ci sono nella Chiesa in quanto comunità, delle strutture di male” (intervista del 20.12.2018 a mons. Wilmer, a cura di Frank Joachim, in http://www.settimananews.it/chiesa/mons-wilmer-labuso-potere-nel-dna-della-chiesa/). Questo vescovo ha avuto il coraggio di dire in maniera più chiara e più diretta quanto aveva detto papa Paolo VI, e quanto papa Benedetto XVI non era riuscito a controllare.

[27] Anche Gesù, del resto, che aveva continuato a demolire la credibilità dell’istituzione religiosa (della Chiesa di allora, già allora casta meretrice), non stava dicendo in realtà niente di nuovo sull’istituzione: già nei Salmi di Salomone (8, 13) si sostiene che non c’è crimine che non sia stato perpetrato nel Tempio, dall’incesto all’adulterio, e non c’è peccato che i sacerdoti non abbiano commesso lì più dei pagani. Secondo Isaia (Is 9, 14) i responsabili del popolo sono maestri di menzogna. Gesù ha tentato di mettere fine a tutto questo sistema di meretricio, ma – come afferma asciutto un teologo (Maggi A., Le cipolle di Marta, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 133.) - il sistema ha messo fine a Gesù. Forse la storia si ripete, se solo pensiamo a quanti profeti, probabilmente ispirati dallo Spirito santo, sono stati espulsi dalla Chiesa.

[28] È facile trovare sul web un lungo elenco di papi depravati con la descrizione delle loro malefatte.

[29] Benedetto XVI, La gioia della fede, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 99. Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, Paoline, Roma, 1965, 225: essendo Gesù il sommo sacerdote è anche l’unico mediatore della nuova alleanza.

[30] La necessità di abbandonare le regole imposte dal magistero emerge con chiarezza nel racconto delle nozze di Cana (Gv 2, 1-12). Un episodio nel quale l’evangelista dice che nella casa di una famiglia modesta che non aveva potuto comprare vino sufficiente per la festa di nozze, venivano conservati niente meno che circa 700 litri d’acqua in solide e pesanti giare di pietra, ma non per gli usi comuni della casa e della famiglia, bensì per i riti di purificazione che i farisei avevano introdotto (Gv 2,6). Il racconto, quindi, fornisce un dato fondamentale per far sapere cosa pensava Gesù dei rituali religiosi e del valore che dava ad essi. Infatti per Gesù la gioia del vino e della festa aveva la precedenza sulla sottomissione ai riti santificanti imposti dalla religione. Questa preferenza di Gesù per la vita, per quello che è necessario per vivere, la dignità e la felicità di vivere in salute e gioia, anteponendo questa pienezza all’osservanza dei riti e alla sottomissione alle norme imposte dalla religione, si ripete insistentemente più e più volte negli scontri continui avuti da Gesù con i maestri della Legge e soprattutto con gli osservanti farisei. Questo fatto è talmente centrale per i quattro vangeli che, se non lo si tiene sempre presente e non lo si comprende assai chiaramente, non ci rendiamo conto di quanto Gesù abbia voluto insegnarci sul modo di incontrare Dio (Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 158).

[31] La Chiesa era retta dal duro e puro Giacomo, il quale entrava solo nel Tempio e lo si trovava ogni volta in ginocchio a implorare perdono per il popolo, al punto che le ginocchia gli si erano fatte dure come quelle di un cammello per il continuo prosternarsi a Dio in adorazione e chiedere perdono (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, Libro II, Cap.23 Martirio di Giacomo, chiamato il fratello del Signore, in inglese in www.documentacatholicaomnia.eu, sotto Eusebius Caesariensis).

[32] Lo stesso avviene nell’episodio della pesca miracolosa (Lc 5, 1-11): Dio non si è rivela a Pietro nel «sacro» tempio, ma in un’attività «profana» come la pesca.

[33] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 257.

[34] Erode il Grande iniziò l’ampliamento del Tempio verso il 20-19 a.C., e l’opera fu terminata dopo la morte di Erode, perché sarebbe durata 46 anni (Gv 2, 20).

[35] Vedi precedente nota 8.

[36] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes §9 e soprattutto §§ 12 e 27 – del 7.12.1965.

[37] Mateos J., L’utopia di Gesù, ed. Cittadella, Assisi, 19991, 138 ss. Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 63; Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 111 ss.

[38] Nella Bibbia Dio stesso avverte: “Siate santi, perché io sono santo” (Lv 19, 2).

[39] Come si è detto sopra, parlando della parabola del buon samaritano.

[40] Di cui non sappiamo assolutamente nulla perché fa parte della trascendenza, sì che dovendo dare a questo nostro desiderio di felicità una sembianza fisica, tangibile, noi l’abbiamo descritto come un fantastico giardino. Dubito sia così.