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La Signora Manal Akiki saluta suo marito Wissam George Akiki dopo la sua ordinazione come prete cattolico maronita nella St. Raymond Cathedral di St. Louis (USA) avvenuta il 27 febbraio 2014. La foto è di J.B. Forbes, pubblicata dal St. Louis Post-Dispatch. Si resta a disposizione per il riconoscimento di eventuali diritti.

Mai ordinati preti sposati cattolici orientali a Roma?

di Stefano Sodaro


Mentre apprendiamo della improvvisa nomina del Card. Angelo De Donatis a Penitenziere Maggiore (ma non troviamo – salvo errore – alcun atto che determini positivamente la cessazione del suo altro precedente ufficio di Vicario di Roma, né può ritenersi tale una sua lettera successiva al nuovo incarico), ci domandiamo se, proprio nella Diocesi del Papa, nella Città Eterna, nell’Urbe dove sono sepolti gli Apostoli Pietro e Paolo, sia mai stato ordinato qualche presbitero uxorato appartenente alle Chiese Cattoliche Orientali. E – sempre salvo errore – la risposta è negativa.

Andiamo con ordine.

Nel luglio 2019 il Papa eresse canonicamente l’Esarcato per gli Ucraini Cattolici di Rito Bizantino residenti in Italia. E nell’Annuario dello stesso anno della Chiesa greco-cattolica ucraina in Italia si contano venti preti sposati, di cui cinque cosiddetti “biritualisti”, che cioè possono celebrare i sacramenti in rito romano oltre che nel loro rito bizantino di appartenenza. Per maggior chiarezza: nel caso di presbiteri sposati orientali “biritualisti”, ci si potrebbe trovare di fronte a preti orientali che, pur avendo una moglie ed una famiglia, celebrano tuttavia l’Eucarestia e confessano i/le penitenti nella forma assolutamente ordinaria per la maggioranza degli italiani e delle italiane in una qualunque chiesa cattolica, senza nessun segno esteriore di alcun tipo che attesti la loro, diciamo, “diversità”, vestendo addirittura i paramenti latini (camice, stola, casula…) in piena liceità canonica, in quanto – per appunto – “biritualisti”.

La Cattedrale dell’Esarcato Ucraino Cattolico d’Italia corrisponde alla Chiesa della Madonna del Pascolo e dei Santi Segio e Bacco, proprio a Roma, ma non risulta che il Vescovo Dionisij Ljachovič, Esarca Apostolico, vi abbia mai ordinato un candidato al presbiterato vivente in matrimonio.

Il Vaticano II, al n. 16 – primo paragrafo - del Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri “Presbyterorum Ordinis”, così si esprime testualmente: «La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore nel corso dei secoli e anche ai nostri giorni gioiosamente abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale. Essa è infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, nonché fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo. Essa non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l’aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati: per questo il nostro sacro Sinodo, nel raccomandare il celibato ecclesiastico, non intende tuttavia mutare quella disciplina diversa che è legittimamente in vigore nelle Chiese orientali, anzi esorta amorevolmente tutti coloro che hanno ricevuto il presbiterato quando erano nello stato matrimoniale a perseverare nella santa vocazione, continuando a dedicare pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato.»

Quella dei preti sposati è, dunque, per il Concilio, una “santa vocazione”.

Il can. 373 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali sancisce solennemente a sua volta: «Il celibato dei chierici, scelto per il regno dei cieli e tanto conveniente per il sacerdozio, dev’essere tenuto ovunque in grandissima stima, secondo la tradizione della Chiesa universale; così pure dev’essere tenuto in onore lo stato dei chierici uniti in matrimonio, sancito attraverso i secoli dalla prassi della Chiesa primitiva e delle Chiese orientali.».

Eppure, tra i documenti preparatori della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si celebrerà in Vaticano da mercoledì 2 ottobre a domenica 27 ottobre 2024 sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, la questione dei cosiddetti “viri probati” sembra sparita.

Torniamo a Roma.

Negli anni dedicati dal qui scrivente all’elaborazione della propria tesi di laurea sull’ordinazione presbiterale degli uomini sposati nelle Chiese Cattoliche Orientali – parliamo di trent’anni fa – vigeva una specie di principio non scritto (ma non di una vera e propria consuetudine, perché nessuno, da me interpellato, riteneva esistesse una norma cogente al riguardo) secondo il quale non era opportuno che un uomo sposato, legittimamente candidato al presbiterato secondo la disciplina orientale, potesse venire ordinato anche – e proprio – a Roma. Come se fosse, per così dire, “sconveniente” o “inappropriato”.

Incontrai, trent’anni fa, a Roma, il Patriarca degli Armeni Cattolici, i seminaristi del Pontificio Collegio Greco (alcuni erano fidanzati), il Vescovo Procuratore Patriarcale dei Maroniti: tutti mi confermarono – verrebbe da precisare “ovviamente”, “pacificamente” – l’esistenza di candidati sposati al presbiterato nelle loro Chiese d’Oriente, ma nessuno mi parlò mai di ordinazioni di costoro che fossero avvenute nella diocesi il cui Vescovo è il Papa. Anzi.

Recentemente – forse qualche lettrice e/o qualche lettore lo ricorderà – abbiamo segnalato la prima ordinazione di un prete caldeo sposato avvenuta, dopo 450 anni, a Bruxelles agli inizi dello scorso febbraio, ma nulla di simile al momento possiamo riferire per Roma.

Ci chiediamo: è venuto il momento perché qualcosa possa cambiare anche nel potente simbolismo di una ordinazione presbiterale di un uomo sposato che si possa celebrare a Roma?

Staremo a vedere.

Buona domenica.