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Visti da vicino


di Silvano Magnelli


 Tutte le foto - tranne quella di Raoul Follerau tratta dalla rete e con riferimento alla quale si resta a disposizione per il riconoscimento di eventuali diritti - sono tratte da commons.wikimedia.org

A volte, all’improvviso, affiorano alla mente momenti lieti vissuti anche tanto tempo fa, verso i 20-25 anni, avendo avuto davanti ai propri occhi, e alla propria coscienza, per alcune fortunate occasioni di incontro pubblico, personaggi di elevata statura morale e spirituale, giunti a Trieste, la mia città. 

E così mi sono di colpo tornati in mente quattro personalità di fede cristiana, che molti oggi non conoscono, perché al tempo non erano neppure nati, e che possono essere ricordati solo con apposite letture o convegni, ma, avendoli visti e sentiti da vicino, rimangono come un segno davvero indelebile.

Ero infatti presente quando nella mia città è venuto l’allora famoso Vescovo brasiliano di Recife, Helder Camara, di statura piccola, mentre tanto alta era la sua statura umana e cristiana. Schierato con coraggio dalla parte dei poveri, venne più volte minacciato dal governo militare con avvisi e sparatorie alla casa dove viveva, e gli venne persino ucciso il segretario personale. Il suo sguardo semplice e magnetico parlava per lui e non occorreva neppure la traduzione.

Stesso fascino testimoniale ho provato davanti alla figura mistica e sociale al tempo stesso dell’Abbé Pierre in un incontro sempre nella mia città. Eroe della Resistenza francese al nazismo, l’Abbé Pierre, amatissimo dai francesi di ogni tendenza, frate cappuccino, aveva fondato le comunità Emmaus, dove i più poveri trovavano non solo accoglienza, ma anche un lavoro governato da loro stessi. Uno sguardo severo e diretto il suo, che, senza indulgere in inutili convenevoli, andava subito al punto, ovvero la battaglia contro le ingiustizie e le disuguaglianze.

Una sera indimenticabile venne anche in città Raoul Follereau, e molti di noi giovani del tempo ne fummo incantati. Laico cristiano, pur provenendo da una famiglia di alto lignaggio, aveva rinunciato ai privilegi, dedicando la vita al servizio dei lebbrosi, e ottenendo risultati incredibili. Lo ricordo avvolto da un mantello ottocentesco e da un foulard elegante, ma sobrio, mentre rilanciava con passione ai potenti le sue proposte di rinuncia alle armi e di aiuto per le malattie dove non arrivano i farmaci.

E ancora la visita benefica e luminosa di don Tonino Bello, uomo di pace e di fraternità immense, che da Vescovo ci parlò nella cattedrale della città, raccontandoci come fosse nel soggiorno di casa nostra, alcune sue storie di condivisione con i più sfortunati, tra cui taluni migranti, che ospitava nella curia di Molfetta.

Insomma, posso dire, come diceva un noto programma televisivo di quegli anni, c’ero anch’io, e, pur a distanza di tempo, penso a quelle vite spese così bene come all’anteprima di un’avanguardia profetica, che indicava, specie ai cristiani del futuro, come vivere nel mondo complesso che ci saremmo ritrovati, non quindi a distanza di sicurezza dal dolore universale, ma guardandolo negli occhi di chi ci si trova dentro, come infatti hanno fatto loro.