Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Come leggere la Bibbia



di Dario Culot




La Chiesa riconosce di non essere superiore alla Parola di Dio, “ma ad essa serve”[1]. Tuttavia, ci è stato sempre insegnato che la Bibbia, un testo dettato direttamente da Dio e quindi sacro, contiene la Parola divina che di per sé è veritiera e definitiva, senza che nessuno possa metterla in discussione, e solo il magistero la può interpretare infallibilmente[2]. Perciò il magistero non sbaglia mai (anche quando sbaglia).

Ora, visto che Gesù nel momento cruciale in cui pronuncia le parole di commiato (Gv 17, 9ss.), a differenza di quanto Mosè ha fatto con Giosuè (Dt 34, 9), non affida i discepoli a Pietro che non viene proprio nominato suo successore e vicario; men che meno li affida alla Chiesa, o ad una sua dottrina o a leggi divine insegnate dal magistero romano, ma affida coloro che crederanno in lui esclusivamente al Padre, mi sembra già arduo - alla luce di questa pericope - attribuire esclusivamente al magistero cattolico il compito di interpretare la Parola di Dio.

In effetti, già Gesù proponeva la vera Parola di Dio, ma si scontrava continuamente con l’infallibile magistero, convinto anche allora di possedere già la verità piena sulla parola di Dio. E poiché, quando gli evangelisti scrivono queste cose, il magistero di allora era ormai scomparso (con la distruzione di Gerusalemme) non può essere per rimproverare i sacerdoti di allora, ma per un monito alla comunità cristiana di tutti i tempi a non commettere gli stessi errori: c’è allora un chiaro invito al nostro magistero a non sentirsi troppo superiore al suo gregge, come già faceva la casta sacerdotale del Tempio, a non sentirsi superiore alla Parola di Dio.

Inoltre, più volte, Gesù aveva espressamente negato che la Bibbia contenesse sempre la volontà di Dio. Ad esempio, Lv 11 fa divieto espresso di mangiare certi cibi pena l’impurità per l’uomo? E Gesù grida in pubblico che la Bibbia, ritenuta parola di Dio, dice il falso. «Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dall’esterno non può farlo diventare impuro…Con queste parole Gesù dichiarava che si possono mangiare tutti i cibi» (Mc 7, 18-19). I suoi non adempiono al rito prescritto delle abluzioni prima di mangiare e così disonorano Dio (cioè offendono Dio)? Gesù risponde che la Bibbia non è parola di Dio (Mt 15,1-14; Mc 7,1-16), ma degli uomini. Sempre per dimostrare la falsità della Bibbia, intesa come rivelazione diretta di Dio, Gesù tocca il lebbroso (Mt 8,3), come tocca la donna impura (Mt 8, 14-17), e anziché infettarsi li guarisce, contraddicendo la Legge biblica di purità rituale, secondo cui la purità non si trasmette, mentre l’impurità è contagiosa (Ag 2, 13; Lv 15, 2 ss. Dio stesso aveva assicurato che l’impurità sarebbe passata dal toccato al toccante).

Oggi tutti possono criticare; ma allora, chiunque avesse osato affermare che Mosè (o l’uomo), e non Dio, era l’autore della Legge, anche per le parti più piccole e dettagliate contenute nella Bibbia, era un bestemmiatore che doveva essere fisicamente eliminato,[3] come oggi fanno gli zelanti ortodossi musulmani con chi critica il Corano o il Profeta. Dunque, per essere osservata, la Legge doveva essere assolutamente ritenuta un’opera divina nella quale ogni parola, ogni minima spiegazione, proviene da Dio. Se si cominciava a distinguere e dubitare, c’è il rischio che crolli l’intero sistema.

In effetti oggi si condivide l’idea che la Parola di Dio non è a disposizione dell’uomo in espressioni divine ed assolute, ma storiche e contingenti da interpretare eventualmente nei loro significati pro­fondi. In passato si pensava che la rivelazione fosse un’espressione diretta di Dio. Oggi sappiamo che non esistono parole divine, capaci di dirci come stanno le cose in modo chiaro e definitivo, perché tutte le parole che utilizziamo sorgono all’interno dell’esperienza storica e sono parole umane, che non contengono verità divine, in quanto sono le modalità con cui l’uomo esprime l’esperienza che compie vivendo. È là nell’evento che si trova la Parola di Dio[4].

Se ci soffermiamo a guardare, la Bibbia parla più dell’uomo che di Dio, per cui non è tanto un libro di teologia quanto di antropologia, e va letto a più livelli (storico, teologico, spirituale). Possiamo perciò definire le Scritture come un lento cammino di conoscenza del volto di Dio, ad opera degli uomini. Questo Dio è sempre lo stesso, ma l’immagine che ne ha l’uomo cambia nel tempo. Insomma, la Bibbia è frutto dell’esperienza, della riflessione, della cultura di un determinato periodo, dell’elaborazione e della formulazione umana[5]. In altre parole, la Bibbia è un prodotto di origine umana[6]. Le Scritture vanno intese come un insieme di racconti, ma più propriamente sono una forma di riflessione narrativa, perché raccontando ci inducono a pensare. Non siamo perciò davanti a un testo assertivo, cui bisogna credere e obbedire anche se non ci convince, ma a un testo che continua ogni giorno a interpellarci, a scavare dentro la coscienza umana, con tante domande: quale deve essere la relazione fra i popoli, con Dio, in famiglia, ecc. Lo vedremo fra poco con un esempio pratico.

Non essendo un libro dettato da Dio come si diceva una volta, non può contenere verità assolute e immutabili, ma essendo un libro contenente racconti nati dallo sforzo umano di dire qualcosa di sensato sul Mistero di Dio[7], siamo davanti a parole umane. Se però la Bibbia è parola di uomini, e non parola dettata direttamente da Dio, alla fine della sua lettura dovremmo ormai dire: parola di Isaia, parola di Daniele, e non ‘Parola di Dio’ come ancora oggi si dice durante la messa dopo la lettura biblica. Dovremmo cioè avere anche il coraggio di cambiare la liturgia.

E se c’è ancora qualcuno che crede che Dio in persona abbia dettato questi testi, questo qualcuno dovrebbe rendersi conto che l’Autore si è poi dimenticato di rivederli e correggerli. Solo così si spiega come nella Bibbia si trovino tante contraddizioni, cosa che sarebbe impossibile se fosse stato Dio a dettarla. Così si spiega anche perché abbiamo tante religioni cristiane visto che, pur richiamandosi tutte allo stesso testo, la Bibbia è talmente colma di passi di dubbia interpretazione che si può leggerla e interpretarla in modi diversi. Se fosse stato Dio a dettarla, questo non sarebbe potuto accadere. Ne consegue pure che non si deve prendere alla lettera ciò che si legge, ma occorre inquadrare la lettera nel contesto; l’immagine che ci siamo fatti leggendo può fungere da sfondo, ma dobbiamo andare oltre. Solo i fondamentalisti pretendono oggi di leggere ancora la Bibbia alla lettera, perché se lo scritto contiene la parola data da Dio, essa è necessariamente definitiva e immutabile sì che lo scritto non si discute, si accetta[8]. Lo scritto non richiede comprensione, ma obbedienza. Non richiede uso dell’intelligenza, ma cieca fede, intesa come atto di fiducia nell’autorità dei testi provenienti da Dio, perché se Dio è l’autore del testo (n.136 Catechismo), non è ovviamente tenuto a dare spiegazioni. Quindi, se intendete leggerla in questo modo, anche se non lo sapete, siete fondamentalisti. Se anche voi non intendete osservare il mondo per dedurne le leggi (cosa cominciata in maniera scientifica da Galileo Galilei), ma cercate di trovare una strada per confermare la verità assoluta delle parole della Bibbia, anche se non lo sapete, siete fondamentalisti.

Come sappiamo, il fondamentalismo (nato nel 1800) chiede a gran voce un ritorno letterale alle Scritture o ai testi fondamentali. A giudizio di ogni buon fondamentalista, questi testi devono essere letti solo in modo letterale e senza concessione ad alcun tipo di interpretazione o di analisi ermeneutica (un po’ come fanno tanti estremisti islamici col Corano). Inoltre, il fondamentalismo propone poi che le dottrine derivate da questa lettura letterale della Bibbia siano applicate alla vita sociale, economica o politica (e, allo stesso modo, gli estremisti musulmani pretendono di applicare la sharia basata sulla lettera del Corano). Dovremmo conseguentemente chiedere ad ogni buon fondamentalista se pensa sia ancora giusto giustiziare chi mangia crostacei, cosa assolutamente abominevole per la Bibbia (Lv 11, 10), o lapidare le adultere (ma non gli adulteri), e se la risposta è positiva, come mai non crede che il Corano sia stato parimenti dettato da Dio visto che prevede esattamente la stessa sanzione per la donna adultera? In ogni caso non c’è dubbio che i fondamentalisti religiosi ultraconservatori occidentali hanno molte cose in comune con i talebani che governano l’Afghanistan.

Negli Stati Uniti ci sono decine di milioni di americani che sono fondamentalisti perché temono di perdere le loro radici a causa del laicismo secolarizzato. Per fortuna, in Europa, la maggioranza si è resa conto che fondamentalismo e politica sono, nella mentalità odierna, del tutto incompatibili[9] perché nel fondamentalismo il dogma è un’idea, una pietra che il fondamentalista ha scolpito e difende senza guardare nessuno e senza pensare di più; invece la politica è l’esatto contrario: essa è possibile quando si guarda la realtà e ci si relazione con gli altri, con i quali ci si mette alla ricerca del bene comune, di un bene per tutti. Da qui la pericolosità di ogni fondamentalismo Un esempio può chiarire quanto detto: il Nuovo Testamento afferma, ripetute volte, che Gesù Cristo è il Salvatore e l’unico Mediatore, sì che – se il testo viene preso alla lettera - al di fuori di Cristo non c’è salvezza: in questo mondo separato gli ‘altri’ sono pecorelle smarrite o, nel peggiore dei casi, nemici da combattere[10]. Ma da siffatta posizione dogmatica non può che risultare una cristologia escludente. Così escludente come il Dio su cui si appoggia. E com’è logico, da simile presupposto, è impossibile rompere il muro di separazione e mettere fine alla violenza che scatena ogni «Dio escludente»[11]. A riprova di un ulteriore aspetto di pericolosità del fondamentalismo, è anche chiaro che se si crede alla lettera della Bibbia, tutto ciò che deriva dalla scienza e dai media è fallace perché non si basa su una visione del mondo compatibile con la Bibbia, la quale, ad es. insegna che è il sole a girare attorno alla terra, e non viceversa: se Dio ha detto che Giosuè, col suo aiuto, ha fermato il sole a Gabaon per dargli il tempo di sconfiggere i nemici (Gios 10, 12-14), e non ha fermato la terra, Dio non sbaglia.

Tutte le tre grandi religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islam), avendo la pretesa di essere ognuna l'unica via di salvezza indicata dallo stesso Dio con conseguente certezza di superiorità rispetto alle altre, tendono a escludere chi non accetta la loro unica vera dottrina, e l’esclusione è spesso accompagnata dalla violenza o per dimostrare il proprio disprezzo nei confronti degli infedeli oppure per costringerli con le cattive ad abbracciare l’unica vera dottrina. Teniamo presente che la ‘religione’ è nata come rituale associato al sacrificio: nel cuore di ogni religione, cioè, è in agguato la violenza, perché l'azione sacra, eseguita nel luogo sacro, nel giorno sacro, dalla persona sacra a ciò addetta, è l'uccisione (lo sgozzamento) della vittima[12]. L’atto del sacrifico esprime quindi innanzitutto la consapevolezza di essere al contempo vulnerabili e violenti. L’azione sacrificale è un modo per incanalare la violenza. Nessuna di queste tre grandi religioni si è liberata di questo elemento ancestrale di violenza, che costituisce il suo peccato originale. Neanche il cattolicesimo, che da Paolo fino a noi, ha fatto pervenire la sconvolgente affermazione: "senza effusione di sangue non c'è remissione" (Eb 9, 22). Il fondamentalista, nel leggere il testo ritenuto sacro alla lettera, non fa che perpetuare questa esclusione e questa violenza.

Se però guardiamo ai vangeli con spirito aperto, quando Pietro cerca di difendere Gesù brandendo la spada, questi gli intima di rimetterla nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada (Mt 26,53). Con un colpo di spugna Gesù ha cancellato ogni legittimazione alla violenza, compresa quella esercitata in nome di Dio[13] e quella esercitata da Dio. Il Gesù terreno non ha mai escluso nessuno. Ma dal momento in cui ha cominciato ad essere visto dal magistero come il fondatore di una nuova religione escludente gli infedeli, gli eretici, i peccatori, questo Gesù, così deformato, ha iniziato ad essere a sua volta «motivo di divisione». Divisione fra cristiani ed ebrei; e, secoli più tardi, fra cristiani e musulmani[14].

Ci sono state delle situazioni, lo vediamo appunto anche nella nostra tradizione cristiana, in cui si esercitava la violenza proprio in nome di Dio: si uccidevano gli eretici, si facevano le crociate contro gli infedeli, non si entrava in dialogo con gli appartenenti ad altre religioni, come se questo fosse una necessità, un dovere. Oggi scopriamo che quelle scelte erano quanto meno inadeguate (per usare un eufemismo), perché non corrispondono alla reale crescita della persona e dell’umanità[15]. Oggi giustamente si è arrivati alla conclusione che: «Si deve sradicare l’aberrazione di fare della Bibbia un feticcio, o della parola umana parola immediata di Dio. Dio non è disponibile nella lettera»,[16] sebbene si tratti della lettera della Bibbia.

Sappiamo che ogni cultura ha le sue credenze fondamentali di base (cd. paradigmi o modelli), che tutti riconoscono come vere e che nessuno pensa di mettere in discussione. Ma passato quel periodo storico, alla luce di nuove conoscenze acquisite, di nuove esperienze vissute, ogni cultura cambia e cambia pure il paradigma che pur l’aveva fatta da padrone, magari anche per secoli. Nessuna cultura è perciò una cultura eterna, nessuna cultura è invariabile; i cambiamenti avvengono e quando una cultura s’incaponisce a rimanere completamente chiusa ad ogni cambiamento, muore, cioè diventa secca, non è più capace di offrire niente[17]. Ad es., per secoli tutti erano convinti che la terra fosse il centro dell’universo, che il sole girasse attorno alla terra e che Dio abitasse nei cieli sopra la terra. Oggi la cultura è cambiata, ma chi ha scritto quel racconto biblico era veramente convinto che il sole girasse attorno alla terra, e che veramente Dio ammazzasse i nemici, mentre oggi sappiamo che non è così. Neanche la Bibbia, dunque, può essere intesa come paradigma immutabile. Ma c’è di più, perché le nuove conoscenze e i nuovi paradigmi ci confermano oggi che le credenze basilari del passato sono del tutto insostenibili: se il sole – minuscola stella della nostra minuscola galassia - si spegnerà fra meno di sei miliardi di anni ponendo con ciò fine a ogni vita sulla Terra, è piuttosto evidente che l’universo non è stato creato in vista dell’uomo (come l’infallibile magistero ci ha insegnato per secoli), e al contrario l’universo sembra piuttosto indifferente alla sorte dell’uomo. Come sono spariti i dinosauri, potrebbe anche scomparire il genere umano: la differenza è che i dinosauri sono spariti per catastrofi esterne (si pensa per lo scontro della Terra con un asteroide), mentre la specie umana potrebbe scomparire per l’uso sconsiderato che l’uomo fa della sua tecnologia (si pensi a una guerra atomica). Anche Benito Mussolini, che in un comizio aveva sfidato Dio dandogli cinque minuti di tempo per fulminarlo se veramente fosse esistito, partiva, almeno inconsciamente, dal presupposto antico secondo cui il Dio biblico uccide i propri nemici. Oggi sappiamo che Dio non ha nemici, e che solo gli uomini a volte sono nemici fra di loro. Il Gesù terreno non vede nessuno come nemico, perché dice che bisogna amare anche i nemici (Lc 6, 27).

Dunque la Bibbia deve essere sempre e soltanto un luogo che stimola la discussione (come vedremo subito). Se poi in essa troviamo tante immagini anche configgenti di Dio, è perché Dio non è definibile. Il Trascendente non era definibile in passato, non è definibile oggi. Perciò, ben si può capire che in base a una certa esperienza si pensasse che Dio fosse violento e brutale. Questo vuol dire semplicemente che l’uomo proietta in Dio ciò che è lui stesso, e man mano che l’umanità cresce, anche la conoscenza di Dio cambia. Non perché Dio cambia: Dio è sempre sé stesso; ma perché l’uomo cambia. L’uomo primitivo, più violento, proiettava in Dio la sua violenza: visto che lui ammazzava pensava che anche Dio ammazzasse. Man mano che il rispetto e il valore dell’uomo sono cresciuti, anche il volto di Dio è cambiato, e in base a questa nuova esperienza si pensa che anche Dio sia buono e misericordioso. Ma simile rappresentazione di Dio è ovviamente oggi inconciliabile con quanto si legge, ad esempio, in Es 15, 3, dove Dio viene addirittura identificato come un guerriero, un uomo di guerra.

Pensare invece che nella Bibbia, nella lettera del testo, si trovino definizioni assolute su chi è Dio, cioè credere che l’aspetto trascendente e irraggiungibile di Dio sia pienamente contenuto ed espresso nell’immanente e raggiungibile di quanto viene esposto nel libro, ci porta - attraverso un processo di conversione mentale - alla deformazione del concetto di Dio,[18] sì che l’uomo, che crede di aver capito qual è l’essenza più profonda di Dio, è in realtà entrato in relazione solo con le rappresentazioni di Dio da lui stesso costruite nella sua mente, avendo trasformato Dio in una «cosa» o in un «oggetto», poiché solo su «cose» e «oggetti» - nostre rappresentazioni mentali- siamo in grado di ragionare. E dopo aver preso la lettera del testo per realtà, dopo aver trasformato Dio in un «oggetto», in una «cosa» a nostra disposizione e frutto della nostra limitata intelligenza e della nostra piccola capacità di comprensione, crediamo che quel poco d’immanente che abbiamo pensato sia veramente l’innominabile e crediamo anche di aver compreso l’incomprensibile. Questa presa di posizione rientra perfettamente nel «fondamentalismo biblico».

Uscire da una lettura fondamentalista della Bibbia è invece come farci uscire nuovamente dall’Egitto, ci aiuta ad uscire dall’idea che la Chiesa debba dirigere il mondo, e dall’idea che Dio corrisponde all’insegnamento infallibilmente impartitoci dal magistero. Del resto questo era già stato riconosciuto in passato proprio dalla stessa Chiesa che, come sappiamo, a volte fa un passo in avanti, a volte un passo indietro: se già nel concilio Lateranense IV, del 1215, era stato espressamente affermato che Dio è “incomprensibile” la stessa Chiesa ci ha in realtà offerto su un piatto d’argento il dogma che Dio non può essere definito. Quindi se Dio non può essere definito non può poi corrispondere a quella definizione che la stessa Chiesa per secoli ci ha imposto di credere (in Dio vi sono tre persone distinte, e la seconda persona divina ha sia natura divina che umana).

Ma vediamo allora, sempre con un esempio pratico, come si possa e si debba ragionare e dialogare davanti ad ogni passo biblico, e non leggere le storie raccontate come fossero eventi storici realmente accaduti. Capiremo così che dobbiamo porci continue domande, e scopriremo che le domande superano sempre di gran lunga le risposte possibili, che sono comunque molteplici.

Leggiamo la storia di Sansone in Gdc[19] 13-16 (consiglio di avere sottomano il lungo testo). Dio decide di liberare gli israeliti dalle mani dei filistei, dopo averli puniti per 40 anni consegnandoli loro. Per questo fa nascere Sansone da una donna sterile; poi, per cercare “pretesto di lite” (sic!) con i Filistei, Dio fa invaghire Sansone di una donna filistea (Gdc 14, 4), e da lì nascerà la scintilla dello scontro. Se cominciamo a ragionare sui personaggi, vediamo subito che sia la moglie di Manoach (padre di Sansone), sia la donna filistea di cui Sansone ormai adulto s’invaghisce, non sono presentate col loro nome: sono invisibili, a dimostrazione che la Bibbia è stata scritta da uomini nella cui cultura la donna – oltre a far figli - non aveva grande importanza. All’epoca poi, essere sterili non era considerato una malattia, ma una maledizione divina (una vergogna, come confermano Lc 1, 25 e 1Sam 1, 6, o come conferma Es 23, 20: «maledetta la sterile che non ha generato discendenza»; oppure leggiamo Gn 16, 2 dove Sara si lamenta che il Signore l’ha resa sterile; in Gn 18, 12; 20, 18 si legge che il Signore rese sterile la casa di Abimelek: si tratta di una punizione). Ovviamente in una società maschilista la colpa della sterilità era attribuita sempre e solo alla donna: l’uomo, nettamente superiore, non poteva essere punito da Dio con la sterilità.

Sansone non fa poi una bella figura, perché sapendo che sua madre non doveva mangiare cibi impuri, le porta del miele estratto da una carcassa di animale (quindi cibo impuro) e si guarda bene dall’informarla dell’impurità. C’è da chiedersi: è solo Sansone che si disinteressa della legge divina, o anche sua madre è colpevole perché non chiede al figlio dove ha preso quel miele? Il figlio non era mica un apicoltore. A Sansone poi piace fisicamente quella ragazza, ma non la considera granché, visto che dice al padre: “prendimi quella là (senza neanche chiamarla per nome) in moglie”. Poi cerca immediatamente di imbrogliare i trenta giovani filistei che devono partecipare al banchetto (di addio al celibato?) sottoponendo loro un indovinello che è impossibile da risolvere se non si conosce il fatto che gli è capitato (l’uccisione del leone, seguito dall’alveare che si colloca nella carcassa del leone da cui prenderà il miele che porta a sua madre), per cui si comporta disonestamente sapendo a priori di vincere la scommessa legata all’indovinello. Ma anche i giovani coinvolti nella scommessa cercano con un sotterfugio di venire a conoscenza della risposta esatta.

A loro volta, i genitori di Sansone cedono immediatamente alle insistenze del figlio invaghitosi della filistea, pur rendendosi conto del rischio di creare grossi problemi fra ebrei e filistei: lo fanno perché sono deboli con questo figlio arrivato assai tardi, oppure forse perché sapendo che Dio ha designato questo figlio come colui che libererà gli israeliti, per fede in Dio gli lasciano fare tutto quello che vuole? La Bibbia non dà risposte e nulla dice al riguardo. Comunque il rapporto fra genitori e figlio resta piuttosto ambiguo e sicuramente non è lineare e chiaro come ci si aspetta in una bella famiglia, perché ognuno ha le sue riserve mentali. Ma ovviamente il testo non ci mette in evidenza solo questo conflitto interno, perché ancor più grave sarà il conflitto esterno fra israeliti e filistei.

Quel che è peggio, però, è che neanche questo Dio fa una bella figura, perché porta avanti linearmente il suo progetto di liberazione violenta di Israele dai filistei (come in precedenza, sempre con violenza, aveva dato gli israeliti in mano ai filistei), e Sansone e i suoi genitori solo credono di essere liberi, mentre restano inconsapevoli pedine del progetto di Dio. Insomma, sembra che per questo Dio il fine giustifichi i mezzi.

Potremmo andare avanti a lungo, ma per concludere, non ho dubbi che questi libri biblici siano testi che raccontano gli aspetti più importanti della vita di Israele; però la cosa decisiva per noi non è tanto sapere cosa è accaduto storicamente in quei tempi, ma cosa significa per noi oggi quel racconto. E per capire cosa dice quel racconto, il dialogo, la discussione sono indispensabili. Nel caso appena vista di Sansone, il racconto può dirci ancora tanto, perché, ad esempio, c’interpella ancora oggi sul rapporto maschio-femmina, sui conflitti in famiglia e anche fra popoli; sull’osservanza o meno della legge, anche quando questa ci viene presentata come divina. Le risposte le dobbiamo sempre dare noi, oggi, senza pensare a quali sono stati i comportamenti e le risposte dei vari personaggi nel racconto.

Come ha sottolineato, se ben ricordo, il teologo Vigil J.M., dopo oltre due millenni di credenze religiose siamo oggi, almeno in Occidente, la prima generazione che è chiamata ad essere spirituale senza dover fondare la propria fede sul mito di una “rivelazione” diretta e di un intervento altrettanto diretto di Dio nelle vicende umane. Ed effettivamente, ormai molti credenti si trovano a proprio agio con una Scrittura che, anziché trasmettere la Parola di Dio, contiene parole di uomini, prendendo atto che la Bibbia è un documento letterario antico, appartenente a una cultura specifica e a un popolo specifico, ma che ancora oggi è capace di interpellarci.

Non ci si cura allora del fatto che la Bibbia si contraddice, perché si pensa piuttosto a una evoluzione e maturazione del pensiero. Quando il testo biblico parla della malvagità che sta nel cuore delluomo, introduce una riflessione profonda sullorigine del male: esso ha la sua radice nel cuore delluomo. Non viene più da Dio o da un principio soprannaturale diverso da Dio. Luomo è l'unico responsabile di questo male e non deve scaricare la responsabilità sulla natura, su Dio o su unaltra potenza: La Terra è piena di malvagità per causa loro (Gn 6, 13), e questa può essere ancora oggi la chiave di lettura, ad esempio, nel racconto del diluvio. Se oggi dalla guerra fra Russia e Ucraina il conflitto si allargasse a livello mondiale, e se nel conflitto allargato qualcuno cominciasse a lanciare bombe atomiche e un altro rispondesse allo stesso modo, se così si distruggesse la maggior parte della razza umana non dovremmo dire che l’uomo è l’unico responsabile di questo male? Non c’entra né il Padreterno né il diavolo, e questa risposta si può già trovare nella Bibbia.


NOTE

[1] Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione del 18.11.1965 – Dei Verbum - § 10.

[2] Il magistero si è auto-attribuito il compito di interpretare in via esclusiva la Parola di Dio: nn.85 e 100 Catechismo. È la Chiesa che dice che la Bibbia è Parola di Dio (n.135 Catechismo); solo la Chiesa è legittimata a dirci quali sono i libri sacri (n.138 Catechismo), cioè provenienti da Dio e vincolanti per la fede, e alla Chiesa bisogna credere essendo infallibile (n.889 ss. Catechismo).

L’art.750 del Codice di diritto canonico espressamente afferma che si deve credere solo alla Parola di Dio, scritta o tramandata, così come insegnata dal magistero solenne della Chiesa, mentre si deve evitare qualsiasi dottrina contraria.

[3] Trattato Sanhedrin, Talmud Babilonese, 99a; Sifré sul Deuteronomio, XII, 10, §§ 313, 314b riportati in Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, ed. Cittadella, Assisi, 2006, 172.

[4] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 130).

[5] Cavadi A., Dialoghi Mediterranei n.47/2021, commentando il volume Bibbia e Catechismo di Ortensio da Spinetoli.

[6] Geering L., Reinsegnare Dio, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2020, 172.

[7] Mori B., Per un cristianesimo senza religione, Gabrielli editore, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 176.

[8] Di qui la pericolosità del fondamentalismo: se Abramo aveva degli schiavi, se la Bibbia lo dice, anche le nostre leggi attuali dovrebbero permettere la schiavitù. Stesso pericolo, ovviamente, nel fondamentalismo coranico.

[9] Arturo Sosa Abascal, preposito Generale della Compagnia di Gesù, intervistato a Trieste 26 gennaio 2018 a cura di don Paolo Iannaccone.

[10] Pedemonte E., Paura della scienza, Treccani, Roma, 2022, 31.

[11] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 300.

[12] Castillo J.M., La laicità del Vangelo, ed. La Meridiana, Molfetta (BA), 2016, 23.

[13] A differenza dei combattenti per la libertà, che chiedevano di decidersi tra il Dio dei padri e l’imperatore divino romano, Gesù risponde che è lecito pagare il tributo ai romani, (Mc 12, 17), ma dare a Dio la propria esistenza: non vuole che si combatta per Dio (Mt 5, 39-41) (Lohfink G., Gesù di Nazaret, ed. Queriniana, Brescia, 2014, 100s.).

[14] Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 327

[15] Molari C., Gesù chi?, relazione tenuta nella chiesa di Santa Teresa del bambino Gesù, a Trieste, il 27.2.2016.

[16] Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 88.

[17] Arturo Sosa Abascal, preposito Generale della Compagnia di Gesù intervistato a Trieste 26 gennaio 2018 a cura di don Paolo Iannaccone.

[18] Ricoeur P., Della interpretazione: saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano, 1967.

[19] I “giudici” d’Israele non sono dei magistrati, ma dei condottieri, persone normali alle quali Dio comunica la sua forza, sbaragliano i nemici e poi tornano al proprio lavoro. Rassomigliano a Cincinnato, dell’epopea romana. Anche i giudici d’Israele, delegati da Dio a emettere sentenze perché “il giudizio appartiene a Dio” (Dt 1, 17) erano definiti nella Bibbia (Sal 82, 6) figli di Dio, cioè esseri divini. Teniamo presente questo quando diciamo che Gesù è Figlio di Dio.


Numero 688 - 20 novembre 2022