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Il Padrone dei talenti non è il Dio di Gesù


di Stefano Sodaro


Parabola dei talenti - mosaico di Jan Frearks van der Bij, 1962, Paesi Bassi, foto tratta da commons.wikimedia.org

Anche Il Nuovo Testamento letto dagli Ebrei, appena pubblicato da Queriniana (Amy-Jill Levine-Marc Zvi Brettler edd.) aderisce alla lettura tradizionale della parabola contenuta nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo e narrante il ritorno del padrone che esige, quasi con violenza, il rendiconto dei propri beni; parabola che si legge questa domenica nelle chiese cattoliche di rito romano. Benché l’annotazione per cui i talenti corrisponderebbero ad «una somma equivalente al salario di parecchi anni» e la considerazione che «le persone mettevano sotto terra il denaro per tenerlo al sicuro dai ladri» - presenti nella nuova pubblicazione appena menzionata - siano potenzialmente in grado di riabilitare e riscattare esegeticamente, almeno in parte (finalmente!), la figura del cosiddetto “servo pauroso”, che non fa fruttificare l’unico talento ricevuto ed appunto lo sotterra. 

Luise Schottroff, nel volume già citato domenica scorsa (Le parabole di Gesù, Queriniana 2007) va, invece, giù assai pesante: «Il terzo servo dice la verità e rinfaccia al padrone di essere, lui, ladro. Ma il padrone non si sente nemmeno offeso, rimprovera il servo di non avere impiegato il denaro in modo tale da raddoppiarlo e di non averlo nemmeno affidato alla banca, per riscuotere gli interessi. Questo servo viene gettato in carcere dove è pianto e stridore di denti. Egli si è comportato come Gesù ha insegnato nel discorso della montagna. Non ha servito Mammona (Mt 6,24). Si è rifiutato di partecipare da gregario all’espropriazione dei piccoli contadini. Considerare questo terzo servo come incarnazione di quelli che rifiutano la giustizia di Dio e la sua Tôrah, è per me insopportabile. Questa interpretazione è possibile solo se le immagini della parabola vengono lette senza fare riferimento alla vita delle persone, come cifre quasi astratte che indicano qualcos’altro, solo quindi se vengono lette allegoricamente. Questa tradizione interpretativa è così potente che, se non presto attenzione alla storia sociale – e alle contraddizioni oggettive tra il messaggio di Gesù, in questo caso secondo il vangelo di Matteo, e il comportamento dei re e dei padroni delle parabole – torno sempre a ricadervi.». (pp. 357-358)

Eppure Schottroff espone il vero, perché una interpretazione letterale non è possibile neppure nel caso dei racconti evangelici e vi è, allesatto contrario, bisogno di una lettura sistematica, che – ad esempio – tenga ben presente quale sia il nucleo centrale del capitolo 25 di Matteo, allorché viene raffigurata la scena del giudizio effettivamente finale e decisivo, tutto ruotante su accoglienza od esclusione dei bisogni più elementari e vitali di qualunque essere umano, da parte di chiunque con essi debba confrontarsi.

Mentre la cronaca odierna riporta fatti che sembrano addirittura incredibili, davanti ai quali si vorrebbe girare il viso da un’altra parte, di padroni severi e cattivi non abbiamo davvero alcun bisogno, anche perché – e diciamolo, suvvia! – non redimono proprio niente e nessuno, se non i furbastri che senza paura si son buttati nella mischia ed ora possono primeggiare. Sarebbe questo il Dio di Gesù di Nazaret? 

“Regolare i conti” consisterebbe proprio – lo afferma il nuovo commento – in un “render conto delle proprie azioni nel giudizio finale”. Ma che immagine di Dio è?

Un Dio maschio, potente, sommo creditore, amico della “borsa valori”.

La nostra cultura è tutta aggrovigliata attorno a simile immagine e pensa che non vi sia soluzione di continuità tra questa immagine e quella, completamente capovolta benché di pochi versetti successiva, allorché il Figlio dell’Uomo radunerà davanti a sé tutti i popoli della terra.

Noi abbiamo un bisogno assoluto – che ormai non è più nemmeno un’urgenza, bensì una vera e propria emergenza – di un Dio donna, di un Cristo donna, che rovesci i più consolidati e acquietanti luoghi comuni. Per ritrovarci noi, maschi, depotenziati, detronizzati, davanti a Lei e alla potenza del Suo amore.

Se non osiamo tornare alle dinamiche tutte amorose del vangelo di Gesù, non si capisce quale buona notizia possa essere mai annunciata: tale può essere l’assegnazione di torti e ragioni secondo le risultanze contabili del libro mastro? No.

Di amore abbiamo bisogno.

Ma in giro non si trova.