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La discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli, immagine tratta da commons.wikimedia.org




Lo Spirito Santo


di Dario Culot


Gesù non ha mai detto che l’avremmo trovato nei dogmi dell’istituzione romana. Gesù ha soltanto detto: ascoltate lo Spirito Santo (Ap 2, 29). Non ha detto di ascoltare il suo vicario in terra Pietro e/o i suoi successori. E lo Spirito Santo ognuno lo ascolta in sé, senza che nessuno possa ascoltarlo per un altro[1].

Il cristianesimo viene definito ufficialmente anche dal n.108 del Catechismo della Chiesa Cattolica come la religione della “Parola di Dio” incarnata in Gesù, che continua a rendercela viva e attuale attraverso lo Spirito Santo, perché se Gesù è vissuto duemila anni fa, lo Spirito continua ad operare fra di noi in ogni generazione. Dunque, nel cristianesimo, non un libro, ma un uomo è la Parola di Dio[2]. Ma cosa è lo Spirito Santo?

Va osservato che il termine "spirito",[3] sia nella lingua ebraica (ruah è femminile) sia in quella greca (pneuma è neutro), significa la “forza” (femminile anche in italiano), una forza esterna all'uomo,[4] Quando questa forza viene da Dio si chiama santa, non solo per la sua origine, ma anche per la sua attività, capace di fornire all’uomo la stessa capacità d’amare di Dio quando l’uomo l’accoglie, mettendolo in piena sintonia con Dio (santo per definizione). Quando questa forza non viene da Dio, ma viene da realtà che gli sono contrarie, si chiama “spirito impuro”[5] (ad es. Mt 10, 1; Mc 1, 23; Lc 4, 33) o immondo, perché mantiene l’uomo nella cappa delle tenebre e quindi della morte, impedendo la sintonia con Dio,[6] che è "il puro" per eccellenza.

È una sfortuna che in italiano questa forza (lo spirito) sia maschile, perché è proprio questa idea di maschile che ha dato luogo a facili e maliziose allusioni sul concepimento verginale di Maria. Lo spirito, questa forza che non si vede, simile al vento ci afferra ma noi non lo possiamo afferrare, questa potenza di vita che continua a percorrere le strade del mondo, sta a significare il respiro di Dio (Gn 1, 2; Es 40, 34-35;1 Re 8, 10-11). Perciò quando il Battista dice che arriverà uno più potente di lui che battezzerà con lo Spirito santo (Mc 1, 7s.; Mt 3, 11) sta dicendo che Gesù immergerà nel respiro di Dio. Il respiro di Dio è un trasmettere vita, un comunicare vita; questo lo si vede bene nella Genesi quando si forma l’adam e Dio trasmette il suo respiro (Gn 2, 7), la ruah, per cui l’adam diventa vivente; lo Spirito (ruah) è soffio di vita che si mescola alla materia, per cui non c’è neanche questa netta separazione materia-spirito cui siamo abituati a pensare. Il respiro di Dio è “vita”, è comunione con il Creatore. Quindi neanche il termine pneuma comprende tutte le sfumature rispetto al termine ebraico ruah. Dio aggiunge il proprio respiro, la ruah che è femminile, mentre noi diciamo lo Spirito santo, maschile. Il nostro maschilismo ha costretto Dio ad essere maschio ad ogni costo, ma la ruah è la dimensione femminile di Dio, l’amore generante di Dio. In più è stato fatto notare che la frase «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1, 35) in greco è priva dell’articolo (pneuma haghion): quindi non si riferisce a una persona, ma alla potenza santificatrice di Dio[7].

In una catechesi, papa Benedetto XVI ha chiarito che, nell'Antico Testamento, lo spirito di Dio era per l’appunto la manifestazione della potenza, della sapienza e della santità di Dio; nel Nuovo Testamento, però, si passa chiaramente alla rivelazione dello Spirito Santo come Persona. Ciò, secondo il papa emerito, si ricaverebbe[8] dall'espressione evangelica di Matteo 28,19 in cui indica chiaramente lo Spirito Santo come Persona, perché lo nomina con le altre due Persone in modo identico, senza suggerire nessuna differenza in proposito: «il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo». Dal Vangelo di Matteo risalta benissimo che il Padre e il Figlio sono due Persone distinte; «il Padre» colui che Gesù chiama «il mio Padre celeste» (Mt 15,13; 16,17; 18,35); «il Figlio» cioè Gesù stesso, designato così da una voce venuta dal cielo al momento del suo battesimo e della sua trasfigurazione, e riconosciuto da Simon Pietro come «il Cristo, Figlio del Dio vivente» (Mt 3,17; 17,5; 16,16). A queste due Persone divine viene adesso associato, in modo identico, «lo Spirito Santo». Tale associazione resa ancora più stretta dal fatto che la frase parla del nome di questi Tre, prescrivendo di battezzare tutte le genti «nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito». Aggiunge sempre il papa in questa catechesi che, nella Bibbia, l'espressione «nel nome di» non si adopera normalmente che per riferirsi a delle persone. Da tutto ciò se ne deduce, in modo inequivocabile, che lo Spirito Santo è una terza Persona divina, strettamente associata al Padre e al Figlio, nell'unità di un solo «nome» divino. Rafforzamento di questa convinzione si ricava anche da San Paolo (Rm 8, 26) ove si legge che lo Spirito santo può intercedere al pari di Cristo, e solo un soggetto può agire attivamente.

Teniamo però presente che originariamente nel cristianesimo c’è stata una tendenza binaria[9] (Padre e Figlio senza Spirito Santo[10]), e che comunque anche in seguito, almeno per la vita devozionale dei cattolici, Maria ha superato di gran lunga lo Spirito Santo[11]. Per i primi secoli, dunque, lo Spirito Santo era ancora visto a un livello più basso del Padre. Col Concilio di Costantinopoli[12] (381 d.C.) si affermò che lo Spirito procede dal Padre (origine dello Spirito desunta da Gv 15, 26): ma procedere, in italiano, vuol dire avere origine, e quindi conferma un livello inferiore, una condizione secondaria rispetto alla fonte primaria da cui scaturisce (ed è curioso notare come nel Catechismo della Chiesa cattolica non si dia spiegazione di questo procedere senza essere subordinato[13]). Solo il Padre, infatti non ha origine e non scaturisce da nessuno, per cui c’è una sua evidente superiorità. Solo nel 553 d.C., col primo canone del II Concilio di Costantinopoli, si affermò la parità, l'uguaglianza: “Se qualcuno non confessa l’unica natura o essenza, l’unica forza e potenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la Trinità consustanziale, divinità unica che deve essere adorata in tre ipostasi o persone, sia anatema[14]. Gesù era, a quel punto, morto da mezzo millennio, e se ci son voluti cinquecento anni per giungere a questa conclusione, forse la stessa non era così chiara e inequivocabile come oggi vogliono farci credere.

Per essere Persona non basta che lo Spirito rappresenti una realtà relativamente distinta dal Padre e dal Figlio, ma essenzialmente eguale a loro[15]. Non basta a questo scopo dire che il Padre e il Figlio dimorano nei cuori dei fedeli (Gv 14, 23), o che il Figlio e lo Spirito dimorano nei cuori dei fedeli (Rm 8, 10; 1Cor 3, 16) per individuare tre realtà relativamente distinte ma essenzialmente uguali, quando poi nello stesso vangelo (Mc 5, 30), nell’episodio dell’emorroissa, si dice che Gesù avverte la forza (in greco: dúnamin, potenza, dinamismo) che era uscita da lui: dunque si tratta di una forza che era in lui, distinta da lui, che sfugge al suo controllo e non si capisce perché questa forza dovrebbe essere una persona.

Come fa il Figlio ad avere dentro di sé lo Spirito Santo, come fa lo Spirito Santo ad essere dentro il Figlio senza possedersi reciprocamente? Come fanno ad essere autonomi? O forse che Padre-Figlio-Spirito Santo, tre persone, stanno dentro un altro essere (Dio) che si presenta all’esterno come un “noi”? Ma questo essere è a sua volta persona o no?

Ora, fra Padre e Figlio c’è un amore che si dà e un amore che si restituisce. Si aggiunge che in questa dedizione specifica non si opera nessun annullamento né dell’amore che si dà, né dell’amore che si restituisce, ma si consolidano entrambi assumendo un’ulteriore forma personale nello Spirito Santo[16]. La prima ed ovvia domanda, allora, è: come e perché il dono del mutuo amore (fra Padre e Figlio) dà luogo a una persona distinta? Se lo Spirito è il legame d’amore fra Padre e Figlio, difficilmente emerge la distinta persona dello Spirito. La risposta secondo cui ciò che non è vero a livello umano potrebbe essere vero a livello divino non è di certo né esauriente, né convincente[17].

E pi, quando parliamo genericamente di amore, sappiamo che esso resta dentro di noi, e quando esce non si trasforma in persona: perché l’amore che esce da Dio-Padre dovrebbe essere una vera e propria persona? L’amore, come i pensieri, io posso manifestarli, ma il pensiero di chi pensa resta necessariamente dentro a chi pensa, e anche l’amore di chi ama resta dentro alla persona che ama; anche quando si ama un’altra persona. Fuori andrà la manifestazione dell’amore, ma l’amore resta dentro. Almeno nell’uomo, nessun pensiero, nessun amore possono essere fuori di colui che pensa e ama, e le manifestazioni del pensare e dell’amore, non diventano mai persone autonome. Perché l’amore e/o il pensiero di Dio devono essere persona? Perché poi soltanto una frazione di questo suo pensiero molto più vasto (l’Amore che già ha generato il Figlio) deve diventare ancora un’altra persona nel consolidarsi con l’Amore che il Figlio restituisce al Padre?

La Chiesa si premura inoltre di precisare che la natura divina resta una sola per tutte tre le persone, senza dividersi (art. 255 Catechismo). Ma se il Padre – che non è il Figlio - non possiede tutta la natura divina, che è e resta sempre una, se gliene manca anche solo quel filino che spetta al Figlio e allo Spirito Santo, Lui (il Padre) non può essere Infinito. Se invece l’unica natura divina è tutta nel Padre, per il Figlio cosa resta? Per lo Spirito Santo cosa resta? Come fa l’unica natura divina, che è tutta nel Padre, essere tutta anche nel Figlio che non è il Padre, e tutta anche nello Spirito Santo che non è né Padre né Figlio? O ancora: un padre non può essere mai il proprio figlio; e se è così anche per Dio-Padre, che non è Dio-Figlio, significa che all’interno dell’Infinità-Dio, al Padre manca qualcosa, appunto perché non potrà mai essere né Figlio, né Spirito Santo, che sono persone diverse: ma l’Infinito, se è incompleto, non può essere Infinito. Come si può allora sostenere che il Padre è tutto (nel Figlio) e nello Spirito Santo, ed il Figlio è tutto (nel Padre) e nello Spirito Santo? In ogni caso, a conferma della priorità nascosta del Padre, se questi mancasse, il Figlio da solo (che è quello che ritorna l’amore che però gli viene dal Padre) non ricevendo l’amore non potrebbe neanche restituirlo, e allora viene ancora una volta rimarcata la superiorità del Padre, prima sorgente d’amore, di vita e di ogni altra cosa. Insomma, tutto origina dalla prima persona, il vertice della piramide divina[18].

Scusate se a questo punto la mia testa va un po’ in confusione; ma non riesco proprio a capire razionalmente l’esistenza di un Dio uno e trino, in cui il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito, il Figlio è tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo è tutto nel Padre e tutto nel Figlio,[19] e non riesco nemmeno a vedere la prova razionale dell’inequivocabile esistenza dello Spirito santo come persona. Mi sembra che occorrerebbero prove logiche molto più adeguate per l’importanza dei problemi sollevati. Ma se si sono dovuti usare fiumi d’inchiostro per cercar di spiegare la Trinità, vuol dire che la cosa non è poi tanto chiara neanche nella religione. Diceva il mio tutor quando sono entrato in magistratura: “L’omicidio che porta inesorabilmente all’ergastolo è raccontato in un fascicoletto di poche pagine; se si sono dovuti raccogliere faldoni e faldoni di carte, la prova non è chiara e la condanna non sarà certa”. Infine, per carità, non venitemi a parlare di un ennesimo mistero. Perché se il mistero resta anche per il magistero, vuol dire che neanche il magistero ha capito, e allora non mi può poi imporre un dogma che dà una interpretazione non definitiva del mistero. Se fosse definitiva non si parlerebbe più di mistero.

Comunque è assodato che anche la teologia più ortodossa, la quale vede nello Spirito Santo una Persona della Trinità, è costretta a riconoscere che nell’Antico Testamento lo Spirito di Dio, nei vari suoi modi di azione, era semplicemente la manifestazione della potenza, della sapienza e della santità di Dio:[20] non ci sono tracce significative di uno Spirito Santo in forma di persona. Come e perché si è passati dall'idea di energia creatrice di Dio che immette vita, che ispira, che santifica, all'idea di una persona prossima a Dio, uguale in tutto a Lui?

Inoltre non è vero che ad ogni nome proprio debba corrispondere una persona, perché se è vero che non esiste persona senza nome, è anche vero che non tutti i nomi propri si riferiscono a persone. Anche la realtà impersonale (materiale o meno) viene spesso individuata attraverso un nome proprio: ad esempio tutti i venti hanno un nome (scirocco, bora, maestrale, eccetera), ma se in passato potevano anche essere personalizzati, oggi non lo sono più. Lo Spirito, inteso come vento (Gv 3, 8), sicuramente può entrare in relazione con ogni uomo per metterlo in relazione col Padre, ma - di nuovo - perché deve essere una persona?

Lo Spirito non è una “rivelazione” che ci detta cosa dobbiamo fare in ogni momento o in ogni situazione concreta, per esempio quando si tratta di eleggere un papa o di prendere una decisione importante. Lo Spirito è la forza di Dio che si fa presente nella nostra vita affinché noi ci comportiamo nella nostra vita come Gesù si comportato nella sua. Una persona che vive ed agisce così è una persona di Spirito[21].

Ma se anche fosse una persona, resta comunque una netta subordinazione, ancor più evidente nella concezione orientale greca, ove il Padre costituisce l’unica fonte da cui ha origine tutta la divinità e la diversità delle Persone[22].

Ciò trova conferma anche nella famosa frase “Bussate e vi sarà aperto”. In Luca (Lc 11, 13) si legge espressamente che “il Padre che è in cielo, darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono” (si usa il verbo dare anche nell’originale greco). Ora, la domanda è: si può dare una persona? No. Si può mandare una persona da un altro, ma si può dare solo ciò che si ha: una forza, un incoraggiamento, una energia, proprio come diceva l'Antico Testamento. Dunque, si dovrebbe per lo meno avvertire che in molte pagine del Nuovo Testamento lo Spirito è ancora descritto soltanto come una forza, un dinamismo che opera in stretta dipendenza del Padre e anche del Figlio, mentre in altre pagine Egli ci viene descritto con dei tratti più personali[23]. Di fronte a queste ambiguità, come si fa a dire che siamo “chiaramente e inequivocabilmente” di fronte ad una persona distinta?

Persona poi che procede[24] da un’altra: cosa significa? Vuol dire che è spirato; ma allora torniamo al discorso della priorità nascosta, perché abbiamo una sorgente (Padre) da cui scaturisce qualcos’altro: se il Padre non spirasse, non ne uscirebbe lo Spirito.

Perché poi si sono usati due termini diversi? ovvero che differenza c’è fra generare un Figlio e procedere dal Padre (e dal Figlio secondo la tradizione occidentale, invece negata da quella orientale)?[25] Qui la risposta è abbastanza semplice: come avevano già osservato Gregorio nazareno e Basilio, se lo Spirito fosse generato dal Padre anche lo Spirito sarebbe Figlio, e quindi fratello del primo Figlio che non potrebbe dunque essere l’unico generato: il Padre avrebbe due figli. Se lo Spirito fosse generato dal Figlio, il Padre sarebbe il nonno dello Spirito[26]. Se lo Spirito fosse generato sia dal Padre che dal Figlio sarebbe al tempo stesso figlio del Padre e figlio del Figlio (quindi nipote del primo).

I latini cominciarono a dire che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio (Filioque), rafforzando l'eguaglianza di sostanza anche dello Spirito, probabilmente per confutare l'arianesimo ancora persistente ad esempio nella Spagna visigota; ma la modifica non concordata del testo del Credo comune fu considerata un atto scismatico dagli orientali, i quali si richiamavano al Concilio di Efeso (431d.C.) che aveva condannato con anatema chi professava una fede diversa da quella del Concilio di Nicea,[27] e vedevano in questa formula l'affermazione di due principi della Trinità[28]. Facevano notare, infatti, che Gesù stesso (Gv 15, 26) aveva detto chiaramente che lo Spirito procede solo dal Padre e non anche dal Figlio; lui si limitava a mandare[29] lo Spirito.

Detto però tutto questo, il termine "procedere" non si adatta molto meglio a una forza, a un sostegno che deriva da Dio? Anche in san Paolo (Gal 4, 6) si legge che Dio ha mandato nel cuore degli uomini lo Spirito Santo. E allora perché non si può intendere lo Spirito Santo come energia/forza che c'investe,[30] attraverso cui noi possiamo a quel punto entrare in rapporto con Dio?[31] Infatti, se il pensiero assoluto di Dio già s’identifica con l’amare, già assorbe in sé l’amore, perché mai questa corrente di amore fra Padre e Figlio dovrebbe assumere forma personale prima di arrivare a noi?[32]

Senza la Trinità, incalza l’ortodossia, non si potrebbe capire la discesa dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste, né il fatto che come figli adottivi siamo per mezzo di Gesù uniti al Padre mediante l’amore soprannaturale infusoci dallo Spirito Santo[33]. E perché mai? Per intendere la Pentecoste e il fatto di avere Dio nel cuore non basta che lo Spirito Santo sia semplicemente l’attività, la forza creatrice con cui Dio partecipa alla storia degli uomini? Insomma, lo Spirito santo segnala la presenza operativa di Dio nella creazione e nella salvezza. Dio, il vivente per eccellenza, segnala la sua operatività col suo soffio vitale. Lo Spirito è di Dio, non in Dio[34].

Forse non a caso, nel Nuovo Testamento, non vi è traccia alcuna dell’affermazione secondo cui ci sarebbero tre persone in un unico Dio[35]. Certo, nelle Scritture si esprimono più voci, ma da qui a identificarle tutte come persone, ce ne vuole. In effetti in nessuno dei vangeli sinottici Gesù cerca di spiegare l’essenza o l’intima natura (questo è il significato della parola ontologia) sua o del Padre o dello Spirito. Anche nel Vangelo di Giovanni, quando nel tempio Gesù afferma di avere condizione divina, e per questo i sacerdoti vogliono lapidarlo, Gesù chiede loro per quali opere vogliono lapidarlo (Gv 10, 32). Gesù si mette cioè sempre sul piano dei fatti, mai sul piano della dottrina:[36] è l’istituzione religiosa che si pone sempre sul piano della dottrina, e vuole ucciderlo perché considera una bestemmia che un uomo pretenda di essere icona di Dio. Quando Giovanni Battista manda dal carcere un suo discepolo per chiedere a Gesù, che non si comporta come ci si aspettava dal Messia, se è proprio lui l’atteso Messia, Gesù risponde ancora una volta non sul piano dottrinale, ma invita a guardare quali opere sta compiendo[37] (Lc 7, 22): fa solo opere a favore dell’uomo, ma non invita a credere a dogmi o a ricostruzioni teologiche. Eppure nel corso dei secoli successivi si è imposta una ricostruzione ontologica, al punto che la Trinità è diventata un dogma[38].






NOTE


[1] Vannucci G., Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 117.

E neanche Dio-Padre ha mai detto di ascoltare i vari dicasteri: alla fine della Trasfigurazione ha solo detto di ascoltare Gesù (Mt 17,5; Mc 9, 7; Lc 9, 35).

[2] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in https://www.studibiblici.it/conferenze/Simon_Pietro_un_diavolo_in_paradiso.pdf.

[3] La stessa parola spirito non è appannaggio della religione. Il fatto che normalmente non si veda non vuol dire nulla. Nessuno di noi ha neanche mai visto la corrente elettrica, ma sappiamo che esiste, e quando prendiamo una scossa ne siamo certi.

Sicuramente è possibile parlare di spirito anche in senso laico, intendendo con questo il contenuto reale interiore nell'azione che uno fa. Possiamo definirlo forse anche col termine intenzione, perché quando opero per qualcosa di buono, di bello, anch'io mi rendo conto di stare meglio; se l'altro vicino a me sta bene, se l'ambiente è sano, anch'io sto meglio. Quando si va avanti a fare il bene gratuitamente, lo spirito va vanti da sé. La pubblicità, invece, è fondata sulla menzogna, perché lì manca lo spirito, e si sente.

[4] Il termine Spirito indica questa forza che introduce novità, e non le introduce perché aggiunge qualcosa all’imperfezione in cui siamo caduti causa Adamo ed Eva, ma perché dal di dentro fa fiorire la perfezione nell’uomo, e questo richiede che ci sia una struttura che possa accogliere le informazioni necessarie per questo processo che si svolge dall’interno. Ma essendoci componenti imperfette anche nell’attuale nostra struttura, l’oggi non è il definitivo e domani si potranno trovare forme migliori (Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 102).

[5] Quando Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao vi trova un uomo «posseduto da uno spirito impuro» (Mc 1, 23), il che significa che ha dato adesione a una ideologia, al demone di un’idea incompatibile con l’insegnamento di Gesù. L’indemoniato è colui che vede in Gesù il messia che doveva rispondere alle attese che tutto il popolo aveva nei confronti del messia: un messia di forza, e soprattutto un messia che fosse in piena sintonia con l’insegnamento degli scribi. Attribuendogli il titolo di Santo di Dio l’indemoniato ricorda a Gesù che l’atteso Messia doveva vivificare e osservare la tradizione e la legge, per cui vuole che Gesù metta le sue capacità al servizio del sistema, al servizio dell’istituzione religiosa e della sua dottrina. L’indemoniato poi parla al plurale, a nome della comunità religiosa, perché Gesù sta rovinando l’autorità dell’infallibile magistero di allora che pretendeva di parlare in nome di Dio.

[6] Maggi A., Gesù e Belzebù, ed. Cittadella, Assisi, 2000, 80.

[7] Da Spinetoli O., Il Vangelo del Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 198 nota 64.

[8] Catechesi dell’udienza generale in Roma del 29.8.1990 – punto 2, in www.vatican.va.

[9] Fino al concilio di Costantinopoli che fissò la dottrina trinitaria classica, parlare dello Spirito era come parlare di Dio, creatore, salvatore, santificatore. Non di più confessava la Chiesa nei primi trecento e rotti anni (Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 357).

[10]Ad es., negli Atti degli apostoli (At 2, 38; 10, 48), il battesimo viene effettuato solo nel nome del Figlio.

[11] Tillich P., Teologia sistematica, III, ed. Claudiana, Torino, 2003, 310s.

[12] O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 112 e 166: Ario, che distingueva i soggetti Padre e Figlio negando al contempo l’unità dell’essenza, praticamente non s’interessò dello Spirito. Il Concilio di Nicea si è limitato a dire che “crediamo nello Spirito Santo”.

Il Concilio condannò come eretica l'idea che negava la divinità dello Pneuma, e lo considerava uno spirito creato da Dio (ma dal Padre o dal Figlio?), seppur di grado superiore agli angeli, al servizio di Dio (cd. teoria dei pneumatomachi).

[13]Tertulliano è stato il primo a chiamare lo Spirito direttamente “Dio” (Tertullianus, Adversus Paxeam, 13, in www.documentacatholicaomnia.eu), ma nessun cristiano che scriveva in greco lo ha fatto fino alla fine del IV secolo (Placher W.C., A history of christian theology, ed. Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 76).

[14] Coda P., Dio, libertà dell’uomo, ed. Città nuova, Roma, 1992, 98.

[15] Così invece Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 49.

[16]Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 68: l'amore che unisce il Padre e il Figlio sussiste nella realtà di una Persona. Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD, Bologna, 1993, 85.

[17] Così O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 195s. Invece Moingt J., Dio che viene all’uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005,458s. fa giustamente notare come non viene dimostrata fra Figlio e Spirito la stessa comunione di esistenza che c’è fra Padre e Figlio. La compenetrazione che caratterizza sia la presenza che l’azione dello Spirito crea difficoltà nel concepirlo come persona. Spirito del Padre (Gv 14, 16.26; 15, 26) o Spirito del Figlio (Gv 20, 20-22), egli sembra manchi di personalità in quanto non si appartiene, non è interlocutore degli altri due, perché non dice 'io' e a lui non si dice 'tu'.

[18] Johnson E.A., Colei che è, ed. Queriniana, Brescia, 1999, 384.

[19] Concilio di Firenze, riportato da Coda P., Dio, libertà dell’uomo, ed. Città nuova, Roma, 1992, 104.

[20] Catechesi di Papa Giovanni Paolo II in Roma del 29.8.1990 – La rivelazione dello Spirito Santo come persona della Trinità. Moingt J., Dio che viene all’uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 460. Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 159.

Yhwh è un Dio vivo, ha una pienezza esuberante di vita, di cui la parola, la sapienza e lo spirito sono l’espressione (Coda P., Dio, libertà dell’uomo, ed. Città Nuova, Roma, 1992, 68).

[21] Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2013, 90.

[22] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 92.

[23] O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 64: ed è questo il caso dello Spirito Santo presentato a volte come impersonale (Rm 5, 5; 2Cor 1, 22), a volte come personale (Rm 8, 26-27; 1Cor 2, 10-11).

Coda P., Dio, libertà dell’uomo, ed. Città nuova, Roma, 1992, 83.

[24] Sappiamo che uno dei motivi della separazione fra cristiani occidentali e orientali fu la questione se lo Spirito procede solo dal Padre oppure dal Padre e dal Figlio (Filioque). Su questo punto è stato affermato che oggi non ci sono più difficoltà (Molari C., Trinità, perché?, relazione tenuta a Trieste il 28.2.2016, presso la chiesa di Santa Teresa del bambino Gesù), perché tutti questi problemi si erano sviluppati nell’illusione di poter parlare di Dio in sé (ma trattandosi di Trascendenza, la cosa è esclusa.). Infatti oggi sappiamo che non siamo in grado di dire nulla con certezza sulla realtà di Dio, e quindi accettiamo queste formule differenti anche nella discussione ecumenica. Tant’è vero che grazie al dialogo interreligioso cominciato fra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I nel 1967, nell’incontro di Roma fra Papa Giovanni Paolo II e Bartolomeo patriarca di Costantinopoli, è stato recitato da entrambi insieme il Credo in lingua greca nella formula originale niceno-costantinopolitana (che ovviamente non conteneva ancora il Filioque), durante la messa del 29 giugno 2004 (Valente G., L’unità che auspichiamo di vedere con i nostri occhi durante i giorni della nostra vita terrena in http://www.30giorni.it/articoli_id_3949_l1.htm). Quindi di per sé si può usare indifferentemente una formula o l’altra.

Trova con ciò conferma quanto affermato da Dupuis J., Perché non sono eretico, ed. EMI, Bologna, 2014,142, secondo il quale il Padre è principio senza principio, unica fonte del Figlio e dello Spirito Santo: «Lo Spirito Santo trae dunque la sua origine solo dal Padre...in via principale, propria e immediata» per cui la clausola Filioque può essere lasciata fuori del Credo anche nel rito latino.

Ma ciò che forse colpisce di più è che, dopo queste lunghe discussioni teologiche e scomuniche reciproche,- la frase latina secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, e la frase greca secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre per (attraverso) il Figlio possono esattamente voler dire la stessa cosa: quindi, tutto questo can-can durato secoli, con reciproche scomuniche, per nulla.

[25]Come risulta chiaramente da San Giovanni Damasceno (in www.documentacatholicaomnia/ sotto Ioanes Damascenus, De Fide orthodoxa, Libro I, cap. 12, testo solo in inglese) il quale disse: "Lo Spirito è Spirito del Padre...ma anche del Figlio, non perché proceda dal Figlio, ma perché procede mediante il Figlio dal Padre, in quanto non vi è se non un'unica causa: il Padre".

Ricordo che nel 325 il Concilio di Nicea aveva promulgato il Credo che finiva semplicemente con: “Credo nello Spirito Santo.” Fu nel 381, col primo Concilio di Costantinopoli che venne inserita l’aggiunta secondo cui lo Spirito santo “procede dal Padre, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato.” Questa è la versione rimasta in vigore per la Chiesa ortodossa, e il Concilio di Efeso del 431 convenne che la formula era adeguata. In seguito, però, la Chiesa occidentale romana modificò unilateralmente la formula chiarendo che lo Spirito santo procede sia dal Padre che dal Figlio (Filioque secondo la versione latina, probabilmente per contrastare l’arianesimo, dopo tanti anni non ancora definitivamente sradicato, secondo il quale il Figlio era subordinato al Padre). La nuova formula si diffuse gradualmente, ma appena nell’810, al sinodo di Roma, Papa Leone III proclamò l’ortodossia della nuova formula senza ancora inserirla nel Credo; ciò avvenne appena nel 1009-1014 da parte di Papa Sergio IV. Il Concilio di Firenze (1438-39; e si ricorda che Costantinopoli cadrà poco dopo nel 1453, e all’epoca era già sotto accerchiamento turco) equiparò “procede dal” con “procede attraverso il Figlio” (Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 49s. e 54): la formula compromissoria sembrava mettere tutti d’accordo, ma poi tutto saltò perché il patriarca di Costantinopoli si rifiutò, prima di partire, di baciare il piede del papa romano in segno di sottomissione (cfr. assioma IX del Dictatus papae, leggibile in Culot D., E se Dio fosse contrario alla religione?, ed. Vertigo, Roma, 2014, vol. I, 38), affermando che nessun apostolo aveva baciato il piede di Pietro (Placher W.C., A history of christian theology, ed. Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 102); alla fine, nel 1054, il papa romano Leone IX e il patriarca ortodosso Michele I Cerulario si scomunicarono a vicenda proprio scontrandosi sulla parola Filioque. Naturalmente non solo questioni teologiche, ma anche culturali, politiche e di potere portarono allo scisma (O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 138). Lo scisma fra occidente e oriente permane tuttora, anche se le reciproche scomuniche vennero ritirate da entrambe le parti, ma appena nel 1965 da papa Paolo VI e dal patriarca Atenagora I (Atanasio, Il Credo di Nicea, con note di Cattaneo E., ed. San Paolo e Città nuova, Milano e Roma, 2005, 141 ss.; Binns J., Le Chiese ortodosse, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2005, 223ss.).

[26] Placher W.C., A history of christian theology, ed. Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 101. O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 129-131.

[27] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 91s. Vedi anche precedente nota 1576.

[28]Placher W.C., A history of christian theology, ed. Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 101.Moingt J., I tre visitatori, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 41.

[29] Scrive san Paolo che «tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio» (Rm 8, 14). Ma quando arriva questo Spirito di Dio? Gesù ha detto che «Se mi amate» e osserverete il comandamento dell’amore reciproco (Gv 14, 15; 15,10.12.17) il Padre manderà lo Spirito santo «perché rimanga con voi per sempre (Gv 14, 16)».

Dunque a volte viene usato il verbo “mandare”. In Gv 15, 26 si dice che Gesù manderà lo spirito, e anche in Paolo (Gal 4, 6) si legge che Dio ha mandato nel cuore degli uomini lo Spirito santo. Ma il verbo resta ambiguo, perché si può mandare sia una persona che una cosa: “ti mando Giovanni”, ma anche “ti mando un pacco”. Però, come detto, non si può dare una persona.

[30]Lo Spirito Santo appare come forza creatrice che suscita innanzitutto la vita naturale (Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia,1969, 12). Va comunque detto che anche quest'autore vede lo Spirito come terza Persona della Trinità.

[31] Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 154.

[32] Lo Spirito esprime il volto personale di Dio, in quanto termine personale del comune amore del Padre e del Figlio (Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 36).

Anche prima di creare l’altro-da-Dio, Dio pensava. Ma mentre noi comunemente riteniamo che il semplice pensare sia superiore o comunque separato dall’amare, il pensiero assoluto di Dio si identifica con l’amare, non è pensiero privo di sentimenti, bensì pensiero creativo, perché è amore (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 138).

[33] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 143ss.

[34] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999,41.

[35] Boismard M.E., All’alba del cristianesimo, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 2000, 157. Küng H., Cristianesimo, ed. Rizzoli, Milano, 1997, 104.

[36] Maggi A., Cercavano di ucciderlo, in https://www.studibiblici.it/Conferenze/CERCAVANO%20DI%20UCCIDERLO%20Padov_.pdf.

[37] Quando gli ascoltatori di Gesù mettono in dubbio che egli agisca in nome di Dio e che in lui ci sia questa divinità, Gesù non risponde mai con un discorso teologico, ma con una pratica: "praticate questo messaggio". È l’unica risposta. Se dalla pratica di questo messaggio sentirete dentro di voi qualcosa di inedito, qualcosa di nuovo, allora capirete se io vengo da Dio. Gesù dice: "mettete in pratica questo messaggio e provate a vedere se vengo da Dio o no". Bisogna soltanto sperimentarlo. Non si può credere in Dio senza sperimentarlo. E Gesù dice sostanzialmente che quando si pratica questo messaggio arrivando a voler bene e fare del bene a chi ci fa del male, si sente dentro di sé, non qualcosa di nuovo, ma qualcosa che c’era già, ma … sigillato, si sente una esplosione di vitalità, di una potenzialità tale che uno non si domanda più se Dio esiste o no, perché sente la vita divina che palpita dentro di sé. Ma questa è una cosa che non si può trasmettere con le parole (Maggi A., Dio e la gallina, relazione tenuta ad Assisi nel 2007, in www.studibiblici.it / conferenze).

[38] L’approfondimento di questo dogma comincia nel II secolo d.C. per combattere il monarchianismo – il quale, nel tentativo di salvare l’unità di Dio compromette la distinzione fra Padre, Figlio e Spirito santo, – nonché il subordinazionismo – il quale vede Figlio e Spirito santo subordinati al Padre, e meri mediatori divini di rango inferiore (Coda P., Dio, libertà dell’uomo, ed. Città nuova, Roma, 1992, 92ss.): con la Trinità si vuole invece stabilire un nesso fra il concetto (greco) di Dio come “sostanza immutabile” e la presenza di Dio nel Figlio Gesù. Si è finito col parlare di tre persone che si compenetrano a vicenda perché troppo debole sarebbe stata un’espressione che si limitava a parlare di tre figure o ruoli di Dio, e troppo forte sarebbe stato parlare di tre singoli soggetti divini (Houtepen A.W.J., Dio, una domanda aperta, ed. Queriniana, Brescia, 2001, 217).