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I trentacinque giorni di rosa della Diocesi di Trieste


di 

Stefano Sodaro

 

La IV domenica di Quaresima – quest’oggi dunque – è popolarmente nota, o forse “era nota”, tra i/le fedeli cattolici/che di rito romano, come domenica “Laetare”, dalle prime parole latine dell’antifona d’ingresso della celebrazione eucaristica del giorno («Lætare Jerusalem! Et conventum facite omnes qui diligitis eam! Gaudete cum lætitia, qui in tristitia fuistis: ut exsultetis, et satiemini ab uberibus consolationis vestræ».). Una domenica, cioè, di quasi  - per così dire - “alleggerimento” del clima rigidamente penitenziale del tempo di Quaresima, appunto. Domenica in cui, addirittura, il colore viola dei paramenti liturgici può variare, per questo giorno soltanto - così come soltanto per la III domenica di Avvento, definita, sempre prendendo la prima parola dellantifona di ingresso, Gaudete - e per nessun altro in tutto l’anno, addolcendosi in un rosaceo peraltro assai poco indossato dai chierici (verosimilmente per qualche inespressa, o inconscia, fobia antigender; si scherza, eh…). Dunque: di rosa vestiti solo in due domeniche durante l’anno liturgico, in Avvento e in Quaresima.

In ogni caso, poi, le parole latine dell’antifona appena riportata evocano Gerusalemme – invitata a gioire -, ma anche una singolare, per quanto assolutamente biblica, sazietà “ab uberibus”, che pudore e convenienza ci consigliano di non tradurre. Tu guarda se ti puoi fidare dei riti in chiesa…

Veniamo a noi.

Per la storia della Chiesa Cattolica di Trieste, la città dove ha sede il nostro giornale, si apre una settimana importante, da questo rosa liturgico in poi – tanto per cercare qualche simbolo -.

Sabato prossimo, mentre nelle sinagoghe e nelle case del Popolo d’Israele si festeggerà solennemente Shabbat, altrettanto solennemente, nella Cattedrale di Cremona, il nuovo Vescovo di Trieste, don Enrico Trevisi, riceverà l’ordinazione episcopale.

Ed è come se l’invito odierno ad esser lieti e liete pur in Quaresima debba proseguire, in quest’anno 2023, fin dentro le celebrazioni pasquali, senza troppe soluzioni di continuità, estendendosi sino alla III domenica di Pasqua, quando, in data 23 aprile, mons. Trevisi entrerà nella Cattedrale di San Giusto a Trieste e – come si dice tecnicamente – “prenderà possesso” ad ogni effetto della Diocesi.

Però: chi è un vescovo?

Se ci si riflette bene su, sembra avere in effetti una strana identità, quasi “doppia”, che peraltro condivide con la figura del prete (cos’altro sono i preti se non coloro che assicurano diffusamente, sul territorio, quella presidenza eucaristica propria di per sé del solo vescovo?).

Da un lato, è un padre, un pastore, un amico autorevole, un uomo chiamato ad aprire cuore e mente verso un intero “popolo di Dio” a lui affidato, che – misticamente, ma neanche troppo, vista la creduta realtà ben concreta dei sacramenti, che non a caso erano inseriti nel Libro III, rubricato niente poco di meno che “De rebus”, del vecchio Codice di diritto canonico del 1917 – un’intera concreta comunità, si diceva, che l’ordinando “sposerà” sabato prossimo, come simboleggiato dall’anello che d’ora in poi il vescovo Trevisi porterà alla mano destra. 

Ma, dall’altro, il vescovo è anche di necessità – come esprimerci con appropriatezza? – “un professionista”, un ministro sacro dedicato interamente al compito che ne definisce funzioni e compiti e persino stile di vita, e che richiede specifica competenza e precisa attitudine.

Concederà a ciascuna e ciascuno la propria ora di colloquio, il proprio spazio temporale di udienza: ma in quale veste? Di padre-amico o di ecclesiastico ufficialmente deputato ad un importante incarico? Come si fa a distinguere?

Si faceva cenno al colore rosa.

Proviamo a lasciar volare la fantasia, almeno di domenica sera.

Se fossimo in una Diocesi anglicana ed il vescovo eletto fosse una donna quest’oggi avrei potuto dedicare alla mia nuova vescova il Battiato di “E più ti amo”, senza troppi ritegni. E chissà – però evitiamo ancora, come per la citazione latina sopra, di alimentare inutili imbarazzi e rossori, più intensi dei soavi rosa –, chissà che qualcuna, o qualcuno, non abbia magari comunque provveduto oggi ad una simile dedica, anche verso il novello vescovo cattolico maschio. Basta così.

Da qui, da oggi, al 23 aprile attendono la Diocesi di Trieste trentacinque giorni di rosa. 

Ma che bello!

Siamo pronte e pronti. 

Aria di primavera. Preannunciata da un post, pubblicato proprio oggi su facebook, con cui il Vescovo eletto ricorda, partecipe e commosso, la rivoluzione psichiatrica di Basaglia e Rotelli. Mai successa a Trieste - a Trieste episcopale - una cosa simile.

Buona settimana.