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Intervista di Stefano Sodaro a Rocco Rosignoli su Pier Paolo Pasolini

ad una settimana dalla rappresentazione a Trieste dello spettacolo “Le belle bandiere”



La prossima domenica sarai a Trieste – assieme a Miriam Camerini – per rappresentare il tuo lavoro “Le belle bandiere”, dedicato a Pier Paolo Pasolini. Come mai questo spettacolo e che cos’è questo spettacolo?

A dicembre 2021, qualcuno mi ha ricordato che il 2022 sarebbe stato il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. Negli anni avevo già cantato più volte le sue canzoni, che sono una manciata ma significative, e avevo tante volte scritto di lui... approfittare della ricorrenza per imbastire uno spettacolo di teatro-canzone, che è uno dei campi in cui da sempre mi spendo, sarebbe stato molto bello. Ci ho pensato su un po', e poi a febbraio, dopo un concerto in Veneto in cui accompagnavo Miriam, proposi a lei di lavorarci con me. Lì per lì lo feci più per la voglia di lavorare insieme a un'amica che per ragioni sceniche, ma col senno di poi credo che l'alternanza tra una voce maschile e una femminile abbia un forte impatto, e sia estremamente funzionale alla narrazione di un personaggio complesso quale è Pier Paolo Pasolini.

Pier Paolo Pasolini appartiene ad un tuo percorso specifico, ed anche personale, di approfondimento culturale? Qual è il suo film che preferisci?

Pasolini appartiene in maniera profonda all'universo a cui faccio riferimento da sempre, quello della cultura popolare, di cui è stato un estimatore, un cultore, uno studioso, e anche un animatore. I suoi scritti mi ossessionano fin da quando ero al liceo, quando mi fulminò con le sue intuizioni, facendo breccia in quella capacità di stupirci che abbiamo solo da ragazzi. Credo che il suo apice espressivo, più ancora che nella saggistica, l'abbia raggiunto nel cinema. Per il film preferito, non saprei scegliere, ma al top metterei il suo Edipo, il suo Vangelo, e Salò.

La personalità di Pasolini fu poliedrica e, secondo alcuni – ad esempio secondo parte della sinistra – anche contraddittoria, pensiamo alla sua posizione contraria all’aborto od anche alla sua ammirazione sconfinata verso le società rurali: secondo te, la sinistra ha ancora i conti aperti con Pasolini?

Direi piuttosto che era Pasolini a non aver chiuso i conti con la sinistra – o meglio, col suo essere di sinistra. Lui si sentiva comunista, e aveva molte posizioni progressiste, altre però erano apertamente reazionarie (vedi l'aborto, vedi l'elezione del sottoproletariato a simbolo di purezza assoluta, vedi la famosa presa di posizione pro poliziotti a Valle Giulia...). Certo, era un periodo in cui lo stesso PCI oscillava fra progressismo e reazione, con la linea violentemente burocratica del PCUS a far da padrone in tutti i partiti comunisti del mondo; una linea alla quale la confusione su cosa fosse il marxismo giovava assai. Al di là di questi fatti contingenti, però, la verità è che molto difficilmente un uomo può stare chiuso in una scatola con un marchio che definisca chi e cos'è. Il problema di Pasolini è che in quella scatola ci si era messo lui stesso, che si definiva apertamente un intellettuale marxista, ma quando la definizione gli stava stretta scalpitava come un matto, e faceva scintille.

A tuo avviso, è lecito parlare di una “spiritualità” – non già religiosità – di Pasolini?

Il punto di partenza per risponderti, secondo me, è che ogni uomo ha una forte componente spirituale. Che poi l'individuo sia religioso o meno è del tutto ininfluente. Siamo esseri che hanno pulsioni fortissime che non sono riconducibili al solo istinto, ma appunto a quella parte di noi che ci permettiamo di chiamare “animo”, “spirito”, “psiche” - tutte parole che rimandano a un significato originario che ha a che fare col respiro, con qualcosa che è sottile e invisibile ma senza il quale non si vive. Chi fa il mestiere dell'artista deve essere in contatto con questa parte più degli altri, perché è principalmente di questa componente che il nostro mestiere si nutre. Puoi scrivere una poesia di correttezza formale perfetta, ma se l'anima del lettore non risuona della tua nel momento in cui la legge, di quella sua perfezione te ne fai nulla. Pasolini non scriveva poesie perfette, tutt'altro: aveva un uso della metrica ardimentoso, ma a dirla tutta uno scarso senso del verso come fenomeno musicale. Però quando leggi ciò che ha scritto non te ne accorgi neppure, perché i suoi versi sanno arrivare al cuore di fenomeni intellettuali anche complessi e restituirne una sintesi in cui diventa predominante il loro aspetto emotivo. Le sue contraddizioni politiche di cui parlavamo nell'altra risposta, lui le conosce, e ce le restituisce con quel distico famosissimo, in cui parlando alle ceneri di Gramsci si autodenuncia: “lo scandalo del contraddirmi, dell'essere / con te e contro di te.” Serve di più? Certo, per capire cosa intenda sì, ma per avvertirlo, per sentirlo, quello no, il legame tra queste parole è già di una potenza straordinaria il legame tra queste parole. Anche perché nel leggerle non possiamo, e nemmeno si poteva allora, prescindere dall'aura di Pasolini e dello stesso Gramsci, di un autore che dello scandalo aveva fatto una sorta di marchio di fabbrica, che parla al più illustre martire dell'antifascismo comunista usando queste parole, nude, semplici, disarmanti e senza scappatoie. E fa risuonare l'anima come della stessa musica.

Non se ne parla molto, anzi quasi per nulla, ma esiste un interesse del tutto particolare di Pasolini verso Israele: secondo te, è possibile un qualche contatto tra la testimonianza intellettuale ed artistica di Pasolini e l’Ebraismo?

Non sono in grado di rispondere in senso lato a questa domanda. Però devo prendere atto del fatto che sulla mia formazione l'interesse verso l'ebraismo e l'attrazione per l'opera di Pasolini hanno avuto contorni emotivi simili. Stiamo parlando di universi distanti, e non è possibile paragonare l'opera di un autore alla cultura di un popolo, ma attorno ai vent'anni ho iniziato a esplorare a fondo l'una e l'altra, e ho sentito una familiarità mai provata prima verso entrambe. Chissà, forse può voler dire qualcosa...

È inevitabile, parlando di Pasolini, farsi una domanda sulla sua morte, che tuttavia – come intelligentemente hai osservato tu nelle righe di presentazione del tuo lavoro teatrale – rischia di fagocitare la sua intera via: tu ti sei fatto un’idea di che cosa sia accaduto quel 2 novembre del 1975 sul Lido di Ostia?

Non credo sia più possibile scoprirlo, ormai. Ogni ipotesi è stata fatta, di quella notte si è detto tutto e il contrario di tutto – mancano solo i servizi segreti israeliani (anzi, sicuramente qualcuno avrà tirato in ballo anche quelli). Credo che sia molto improbabile che Pino Pelosi fosse l'unica persona presente, ma improbabile non vuol certo dire impossibile. Quella notte è un puzzle già complicato di per sé, che decenni di indagini malfatte, ipotesi giornalistiche plausibili o fantasiose, processi aperti e richiusi, testimoni che davano versioni ogni volta diverse, hanno scombinato in maniera irreparabile. Credo che, oggi come oggi, sia meglio interessarsi all'opera di Pasolini, che alla tragedia della sua morte.

La critica di Pasolini al consumismo come nuova religione della classe borghese è un relitto da anni Sessanta e Settanta o, a tuo parere, conserva una sua attualità?

Fin da quando ero ragazzino, ho sempre pensato che questo aspetto del pensiero di Pasolini fosse diventato col tempo ancor più attuale che all'epoca sua. La religione del consumismo è in realtà figlia del sistema economico in cui viviamo, e che si chiama ancora capitalismo, anche se il termine suona veterocomunista – anzi, del capitalismo abbiamo visto da poco l'apice storico, anche se al momento è in una fase di riflusso, di crisi, ormai da anni. Si basa su di una produzione continua, il cui fine non è soddisfare i bisogni della società, bensì arricchire i proprietari dei mezzi di produzione. È chiaro che, in molti settori, questa produzione continua può avvenire solo se, dal lato del compratore, c'è un atteggiamento consumista, e oggi l'arte di indurre bisogni, la pubblicità, ha raggiunto livelli strategici e comunicativi elevatissimi. L'edonismo che descriveva Pasolini era un edonismo disperato proprio perché privo di coscienza e di memoria. Questa è una realtà che oggi riguarda grandemente anche la classe operaia, schiavizzata dai bisogni indotti, spinta a spendere in essi i suoi già esigui guadagni. Oggi, diversamente dai tempi di Pasolini, si è perso nel dibattito pubblico ogni orizzonte di lotta di classe. Questo non vuol dire che sia sparita dalla storia, ma solo che per il momento l'hanno vinta i ricchi. Ma il mondo in questi ultimi anni ha visto molti movimenti di massa che per certi aspetti ricordano quelli del decennio rivoluzionario in cui Pasolini visse i suoi ultimi anni... nessuno è profeta, e la storia non ha un punto d'arrivo, vedremo cosa ci riserva il futuro.

Miriam Camerini, intervistata la scorsa domenica su Pasolini, ha affermato che il suo rapporto con tale figura “sta ancora crescendo”. Secondo te, non siamo forse noi tutte e tutti in un debito di crescita verso le sue intuizioni? O si rischia di farne un santino? Grazie mille per la tua disponibilità.

Evitare il “santino” di Pasolini è stato esattamente il diktat che mi sono dato nel costruire lo spirito dello spettacolo. Mostrarne le contraddizioni, il bene e il male che si trova nei suoi scritti, il genio e l'ingenuo, credo che sia il modo migliore per rendere giustizia alla sua figura, ma anche all'intelligenza dello spettatore, che non si può insultare con il racconto puramente edificante di un Pasolini profeta incompreso. Le sue intuizioni ci possono aiutare a capire meglio il presente, perché sono situate in un passato che è stato l'anticamera di ciò che oggi viviamo; ma si prestano anche a narrazioni di parte, a un revisionismo ideologico che, oltre a essere di cattivo gusto, è dannoso. Molte intuizioni di Pasolini sono state eccezionalmente precise nel momento stesso della loro formulazione. Non dobbiamo però credere che siano state frutto del suo genio isolato, sono il risultato di un processo intellettuale: in lui c'è una base di teoria marxista, interpretata in maniera molto disinvolta; e c'è, ancor più forte, una matrice di pensiero gramsciana – nonché un fortissimo influsso della teoria marcusiana dell'uomo monodimensionale, e anche la sua educazione cattolica gioca un ruolo importantissimo. Molte delle idee per cui Pasolini viene visto come un geniale precursore provengono da questo retroterra filosofico, e lì sono in larga misura già formulate. Quello che rende Pasolini unico è l'approccio artistico con cui ha messo in scena quelle teorie fatte sue, riuscendo per l'appunto a emozionare un intero paese, a comunicare con persone di ogni strato sociale attraverso i mezzi più disparati, ad avere sempre voglia di imparare qualcosa di nuovo sui ferri del suo mestiere di artista, e di metterlo in pratica; ma ovviamente tutto questo non varrebbe nulla, se non fosse per l'altezza dei risultati da lui raggiunti. Credo che sì, oggi siamo certamente in debito con Pasolini, perché ci racconta ancora chi siamo, senza nasconderci, e senza nascondersi, mai.

Grazie, Rocco.


Le belle bandiere, Castello di Casalgrande, 8 luglio 2022 - foto di Stefano Sodaro

Numero 680 - 25 settembre 2022