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Il presidente russo Vladimir Putin con il patriarca di Mosca Kirill, durante la cerimonia di assegnazione dell’Ordine di Sant’Andrea Apostolo, 21 novembre 2021 - foto tratta da commons.wikimedia.org


Ucraina 3

di Dario Culot

Tenere insieme diplomazia e Vangelo è un gran bel problema. Credo che nessuna persona, neanche il papa, ci riuscirebbe. Ad esempio molti si sono chiesti per quale motivo il papa non va a Kiev a pregare per la pace, come hanno fatto in semplicità tanti volontari: sarebbe un atto simbolico assai forte.

La cosa non è così semplice per il papa. A prescindere dai problemi d’incolumità che al papa potrebbero anche non interessare, e a prescindere dal fatto che Putin non ritiene questo papa imparziale perché si è già espressamente pronunciato più volte contro questa guerra (Ops! Scusate, ‘operazione militare speciale’), resta il nodo dell’assenso del patriarca di Mosca. È da anni che papa Francesco cerca un avvicinamento col patriarca moscovita, e a parte un fugace incontro a Cuba, si pensava che ormai entro quest’anno si potesse arrivare a un nuovo incontro, più significativo[1]. Ora, se papa Francesco andasse a Kiev senza l’assenso di Kirill, Mosca smetterebbe di parlare con Roma per i prossimi secoli, azzerando tutti questi anni di lavoro per riavvicinarsi. Inoltre c’è da chiedersi quali patriarchi o metropoliti ortodossi verrebbero a Kiev dal papa, perché chi venisse si schiererebbe automaticamente e chiaramente contro Kirill. Ma c’è anche di più: alla fine di agosto, in Germania, ci sarà la riunione decennale del Consiglio mondiale ecumenico delle Chiese[2]. Si vocifera che, per il suo atteggiamento nei confronti della guerra contro l’Ucraina, verrà chiesta l’espulsione[3] della Chiesa russa la quale – dopo la Chiesa cattolica che però partecipa solo come osservatrice, e non come membro effettivo,[4]- è la Chiesa cristiana più grande nel mondo. Cosa farà comunque il delegato papale? Starà alla finestra in totale silenzio, oppure dirà qualcosa? E questo qualcosa sarà pro o contro Kirill? All’orizzonte si profila un’altra grave spaccatura.

Ma per capire un po’ meglio quello che sta succedendo occorre riandare - come sempre,- a vedere un po’ la storia[5] del passato.

Sappiamo che le Chiese ortodosse orientali sono dette autocefale, cioè indipendenti, nel senso che sopra ogni singola Chiesa non c’è alcuna autorità superiore, come invece il papa nel cattolicesimo cui spetta in ultima istanza ogni decisione. Ora, mentre il patriarca di Costantinopoli vanta un primato storico ancora legato all’impero bizantino,[6] ma ha attualmente sotto di sé meno di 5000 fedeli, il patriarca moscovita ha sotto di sé circa la metà di tutti i fedeli ortodossi: circa 200 milioni; da qui l’ambizione a diventare il n.1 nel campo dell’ortodossia, soppiantando il patriarca di Costantinopoli. Del resto, il patriarcato di Mosca è l’unico ad essere plurinazionale, avendo sotto di sé non solo la Russia, ma la Bielorussia, l’Ucraina, i Paesi baltici, la Moldavia.

Il nome ortodossia, che significa giusta fede, risale al sinodo di Costantinopoli dell’843 d.C., ove venne detta la parola fine alla crisi iconoclasta quando, dopo oltre un secolo di litigi, venne accolta l’indicazione del secondo concilio di Nicea del 787 dichiarando lecito il culto delle immagini divine, e scomunicando gli iconoclasti. Il tutto venne festeggiato con una grande processione chiamata festa della retta fede, da cui il nome ortodossia.

Nell’anno 988 il principe Vladimir I di Kiev si convertì al cristianesimo facendo della confessione greco ortodossa la religione di stato. Dunque, come avveniva spesso a quei tempi, il principe che si convertiva coinvolgeva nella conversione tutti i suoi sudditi.

Sotto l’incalzare dei tartari, nel 1200, il metropolita di Kiev scappò nell’odierna Russia, e in seguito si stabilì a Mosca, dove c’era anche un potente principato. Verso la metà 1500 Ivan il terribile[7] sconfisse i tartari e assunse il nome di czar (dal latino Caesar), e nel 1589 anche a Mosca sorse il patriarcato.

Però, quasi un secolo prima, nel 1454, Costantinopoli era caduta in mano ai turchi. Zoe Paleologo, la nipote dell’ultimo imperatore bizantino, che in realtà era cresciuta a Roma, venne usata politicamente dalla curia romana: sperando di favorire la riunificazione della cristianità (e magari di far iniziare una crociata per liberare Costantinopoli), la si fece sposare a Ivan III (nel 1472), assumendo il nome di Sofia. Tuttavia l’auspicata riunione religiosa non si verificò, ma avendo Sofia portato a Mosca le insegne bizantine, Mosca reclamò per sé il ruolo di terza Roma, e quindi di portatrice eletta della tradizione ortodossa.

Nel 1687 la metropolia di Kiev venne assorbita definitivamente da Mosca, diventata sempre più importante, e buona parte dell’Ucraina venne inglobata dagli zar russi[8]. A quel punto una minoranza di cristiani (greco-orientali) restò legata a Roma. Gli ortodossi li chiamarono spregiativamente uniati, cioè uniti a Roma, e li videro come traditori dell’ortodossia su istigazione del re cattolico polacco[9]. Al contrario, gli uniati si ritennero i veri difensori dell’autocefalia ucraina.

A cavallo del 1600-1700, Pietro il grande, conosciuto per le sue riforme, venuto in urto con la dirigenza della Chiesa, impedì di eleggere un nuovo patriarca a Mosca dopo la morte dell’ultimo, e la sede rimase vacante, senza patriarca, fino all’abdicazione dei Romanov nel 1917. Qualche mese dopo la nomina del nuovo patriarca, Lenin prese il potere, e nel 1925 si comportò come l’imperatore Pietro impedendo di nuovo la nomina di un patriarca. Fu solo Stalin, sotto la grave minaccia dell’invasione nazista, che si accordò per far eleggere un nuovo patriarca: in cambio pretese e ottenne il pieno appoggio della Chiesa ortodossa russa nella guerra contro la Germania. Con alti e bassi, da allora Chiesa e Stato hanno sempre camminato insieme, nel senso che – mentre nel mondo Occidentale, con la caduta dell’impero romano d’occidente,- il papato ha avuto a Roma sempre più spazio e ha preso sempre più forza, ma alla fine si è imposto da più di un secolo il principio di laicità (separazione fra Chiesa e Stato), in Oriente – a cominciare da Costantinopoli - trono e altare hanno sempre convissuto fianco a fianco. In particolare questo è vero per la Russia.

Passando ai giorni nostri, negli anni ’90 del secolo scorso, con il disfacimento dell’URSS, in Ucraina si sono venute a formare ben tre Chiese ortodosse: una piccola Chiesa autoproclamatasi autocefala; un patriarcato autocefalo non riconosciuto da Mosca ma riconosciuto da Costantinopoli; una cospicua maggioranza (circa il 60% dei fedeli, con circa 90 vescovi) è rimasta invece fedele al patriarca moscovita.

La scissione è avvenuta, si racconta, su istigazione del presidente americano Trump che, per fare un dispetto a Putin, fece chiedere a Petro Poroshenko (presidente prima di Zelensky) l’autocefalia a Costantinopoli. Probabilmente anche il patriarca di Costantinopoli era ben lieto di far abbassare le ali alla superba Chiesa di Mosca che aveva fatto sostanzialmente fallire il concilio pan-ortodosso di Creta del 2016,[10] al quale si era rifiutata di partecipare insieme alla Georgia e alla Bulgaria; mancando più di metà degli ortodossi non si può parlare di vero concilio. Nel 2018, il sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha dichiarato la Chiesa ucraina autocefala, e questa Chiesa è rimasta ovviamente legata a Costantinopoli. Mosca invece, e anche quella grossa parte di Chiesa ucraina rimasta fedele al patriarca di Mosca, ha ritenuto la decisione scismatica.

Arriviamo ai fatti di oggi. Quando in febbraio la Russia ha attaccato militarmente l’Ucraina, sappiamo che il patriarca Kirill si è schierato a fianco di Putin, ma si sono levate al contempo forti voci contro questa scelta: lo stesso metropolita Onufriy, primate della Chiesa ucraina sotto il patriarcato di Mosca, ha parlato espressamente della Russia come di Caino che vuole uccidere Abele[11]. Nelle messe solenni, molti vescovi hanno abolito per protesta la parte di preghiera in favore di Kirill: evidente violazione liturgica, ma anche evidente segno di dissociazione nei confronti del patriarca. Anche il patriarca della Romania e il metropolita della Lituania si sono pronunciati chiaramente contro Kirill. Costoro mettono al centro la guerra con le sue sofferenze. Invece Kirill, pur auspicando le minori sofferenze possibili, sembra convinto che questa guerra sia una lotta fra luce (il suo cristianesimo) e tenebre, cioè il cristianesimo dell’Occidente che avrebbe abbandonato i veri valori cristiani. Kirill è stato esplicito in proposito avendo visto un chiaro segnale di questo decadimento del cristianesimo occidentale nel gay pride, per lui un’esaltazione del vizio condannato da Dio in persona nella sacra Bibbia;[12] se l’Occidente accetta questa visione decadente del mondo, si è svuotato della vera cristianità. In tal senso il patriarca ortodosso Kirill vede la Madre Russia come la patria della vera spiritualità (cristiana) minata dal decadente materialismo occidentale, e descrive teologicamente questa guerra come una guerra metafisica del bene contro il male. È agevole rispondere che l’incapacità da parte della Chiesa russa di accettare la laicità (cioè la separazione fra Stato e Chiesa) comporta dei seri problemi con la modernità la quale ha messo in primo piano i valori dei diritti e della dignità del singolo: quando essi non nuocciono agli altri non possono essere proibiti (almeno nella nostra attuale visuale occidentale).

Però la cosa è ancora più ingarbugliata perché non si limita a una nuova evidente frattura fra oriente e occidente. Papa Francesco vede nell’inaccettabile aggressione armata un atto sacrilego[13]. E, come ha spiegato Antonio Spadaro, in tal modo il papa si muove da pastore, non da politico, agendo secondo lo spirito evangelico[14]. Con un criterio politico, per niente evangelico, ha reagito invece l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede[15] quando si è detto contrario all’idea di Francesco di far portare la croce, in un tappa della Via Crucis, a una donna ucraina e a una donna russa insieme. La scelta di far portare la croce della tredicesima stazione, quella in cui si ricorda la morte di Gesù, a due donne che politicamente ‘devono’ essere nemiche ha sollevato molte polemiche. Ma queste due donne non sono in guerra tra loro, come non lo sono i due popoli: la guerra è decisa dai governanti, e prima di entrare in guerra non si fa alcun referendum. Queste due donne evangelicamente sono entrambe sorelle che soffrono, e hanno simboleggiato davanti al mondo intero il desiderio di fraternità e di pace. Quindi mi sembra che la scelta del papa sia pienamente conforme al vangelo, sia un gesto profetico che verrà ricordato in futuro anche se i politici della terra sono di diverso avviso.

C’è poi un ulteriore grave problema proprio all’interno dell’ortodossia. È a breve attesa la convocazione di un concilio episcopale ortodosso, rinviata prima a causa del covid e poi a causa della guerra. In questa riunione, che pur dovrà essere convocata prima o dopo, l’ortodossia molto probabilmente si spaccherà a sua volta per motivi politici legati a questa guerra. Quando i circa 300 vescovi ortodossi si riuniranno ci sarà il momento della verità perché neanche l’ortodossia è monolitica: è difficile prevedere chi si schiererà con Kirill e chi contro, perché finora la maggior parte dei patriarchi è rimasta a guardare. Ma a fine guerra dovranno pur pronunciarsi e schierarsi. Dovranno pur dire se la guerra iniziata dalla Russia era eticamente e teologicamente sostenibile, e la decisione avrà anche un’ovvia valenza politica. Chi si reputa pragmatico usa spesso anche una retorica religiosa, per esempio atteggiandosi a “difensore di una civiltà cristiana in pericolo”, ma si tratta chiaramente di una sacralizzazione della politica che poco ha a che fare con la spiritualità evangelica. Sembra dunque che Kirill stia usando Dio come giocattolo dell’uomo.

Pensiamo solo alla non facile posizione del metropolita Onufriy che restando con Mosca aveva dichiarato scismatica la posizione di Costantinopoli quando aveva concesso l’autocefalia all’Ucraina, ma che ora è contro Kirill per come si è posizionato nella guerra contro l’Ucraina. Tutti quelli che diranno che la guerra mossa all’Ucraina era etica si schiereranno con Kirill; quelli che voteranno ‘no’ si schiereranno con Bartolomeo di Costantinopoli. In ogni caso è manifesto il rischio di spaccatura fra gli ortodossi. E poi in Ucraina? Avremo tre Chiese autocefale? Si uniranno fra di loro? Un bel casino.

Benedicendo i tank russi e dando una giustificazione metafisica all’aggressione russa, mi sembra comunque che Kirill abbia perso nel suo stesso patriarcato russo quella preminenza morale che gli spettava di diritto, tanto che molti suoi prelati e pope si sono dissociati[16].

Se Gesù arrivasse oggi in Ucraina, andrebbe a cena con coloro che si stanno difendendo, oltre che con le unghie e con i denti,[17] con le armi oppure solo con coloro che non oppongono resistenza e accettano la servitù imposta dal più forte che non ha nessuna intenzione di ‘negoziare’, o ancora con gli aggressori che se non trovassero resistenza porrebbero rapidamente fine alla guerra? Non ditemi che andrebbe a cena con tutti non avendo mai escluso nessuno perché, se Gesù è andato a pranzo con tanta gente non proprio raccomandabile,[18] non ha invece mai condiviso la tavola e la vita né con l’aristocrazia religiosa, né col potere politico. Gesù non è neanche mai entrato in un palazzo del potere, tranne quando l’hanno portato lì incatenato dopo l’arresto. Con questo suo messaggio di vita Gesù ci indica che Dio (il Dio che egli è venuto a rivelare) non si può associare con forme o rappresentazioni di potere e autorità, per quanto si tratti di autorità o poteri religiosi. Il potere è cioè sempre diabolico,[19] perché di per sé solo tende a espandersi senza fine[20]. Del resto nel 1700 anche Montesquieu aveva sostenuto che ogni uomo, quando ha in mano un grande potere, è portato ad abusarne allargando il suo spazio finché non trova un limite, finché qualcun altro non lo contiene.

C’è infine da chiedersi se, dal punto di vista strettamente religioso, gli ucraini dovrebbero restare fermi senza opporre resistenza, porgendo eventualmente l’altra guancia,[21] o meno. Limitarsi ad accettare passivamente l’attacco altrui, senza opporre la minima resistenza e affidarsi totalmente a Dio rischia a volte di portarci al quietismo e al fatalismo, perché così si lascia che le cose vadano avanti da sole, per lo più …male. Quindi, da una parte, è evidente che nell'affidamento totale a Dio si corre questo rischio. Dalla parte opposta, cioè affidandosi a Dio solo a parole, ma in realtà contando prevalentemente sulle proprie forze, si finisce nell’intimismo di una spiritualità autoreferenziale; ed è pacifico che neanche puntando tutto sui nostri sforzi si riesce poi sempre a rimediare ai mali che ci minacciano o ci affliggono.

Siamo davanti a un tema molto delicato e sinceramente non mi sento di dare una risposta, perché è troppo difficile giudicare. Forse ognuno deve rispondere in base alla propria coscienza,[22] soprattutto quando la situazione critica non è stata creata da chi poi la subisce. L’uomo cioè si trova sempre fra Scilla e Cariddi, nel senso che non sa mai quanto deve contare su Dio e quanto invece deve aiutarsi da sé. Scilla e Cariddi sono la metafora antica e universale del dilemma che l’umanità ha da sempre dovuto affrontare, e il problema viene ancor meglio esposto nella Bibbia: Giosuè, Davide, i Maccabei sono tutti gente d’azione, non solo di preghiera. Anche confidando nel loro Yhwh, i personaggi più noti della Bibbia non gli si affidano mai passivamente, ma si attivano concretamente in prima persona per venire a capo dei problemi che li assillano. Per fare qualche altro esempio ancora più concreto: sotto il dominio dell’impero pagano il popolo ebreo corre un pericolo di sterminio. Tutto il popolo, che ha percepito il pericolo, prega (Gdt 7, 29), ma non agisce, aspetta (come molti di noi oggi chiedono agli ucraini di fare). Anche Giuditta prega (Gdt 9, 1 ss.), ma poi passa all’azione in prima persona (Gdt 10, 1 ss.), e uccide Oloferne comandante dell’esercito di Nabucodonosor (Gdt 10, 13) salvando così il suo popolo, sì che sembra che la sua azione, non le tante preghiere, abbiano portato al risultato sperato. Analogamente, quando il re Antioco muove contro gli israeliti, essi pregano per tre giorni, ma poi agiscono e attaccano per primi ottenendo una vittoria per la sorpresa (2Mac 13, 10-17). Al contrario, quando impaurito dalla potenza dei suoi nemici, il re Acaz cerca la sicurezza che gli può dare un’alleanza con il grande impero di Assiria, Isaia gli suggerisce di contare solo su Dio per la difesa di Gerusalemme e del suo trono, forte della promessa di Dio fatta a Davide; il re invece preferisce affidarsi ai negoziati fra gli uomini, a un patto militare più che all’alleanza con Dio, per cui chiama in aiuto gli Assiri (che non aspettavano altro), e con questa scelta causa la fine del suo regno, ma ad opera dei neo alleati Assiri non dei temuti nemici precedenti. Il monito del profeta: «Ma se non crederete, non resterete saldi» (Is 7,9)[23] sembra privilegiare il cieco affidamento a Dio per ottenere il risultato.

Giuseppe Flavio racconta invece che al momento dell'assalto romano al Tempio di Gerusalemme, 6.000 giudei li attendevano a piè fermo, convinti che Dio sarebbe arrivato in loro aiuto (La guerra giudaica, 6, 285s.)[24]. Credevano e avevano fede salda. Ma Dio non è intervenuto e Gerusalemme è stata distrutta.

Dunque, non sempre l’azione umana porta ai risultati sperati, ma allo stesso modo non sempre la preghiera a Dio, seguita dalla fiduciosa attesa passiva, risolve i problemi. A ciascuno di noi, l’ardua scelta davanti al caso concreto.

Se in nessuno dei due casi è assicurato il successo, ci si può domandare qual è l’atteggiamento giusto con cui affrontare i problemi della vita, quando sappiamo che agendo con determinazione si corre il rischio di contare troppo sugli uomini e poco su Dio, ma all’estremo opposto, quando ci aspettiamo tutto da Dio, si finisce col non fare nulla in attesa del suo intervento? La terza tentazione di Cristo nel vangelo di Luca (Lc 4, 9-12: “buttati dal pinnacolo, tanto poi gli angeli intervengono in tuo soccorso”) sembra spezzare una lancia non a favore del quietismo religioso, ma a favore dell’agire personalmente in maniera responsabile, non solo nel caso in cui il male ce lo siamo andati a cercare, ma anche nel caso in cui il male ci piova addosso per motivi che non possiamo controllare. Alla fin fine, forse hanno ragione i Gesuiti i quali invitano ad impegnarci nelle cose come se la loro riuscita dipendesse solo da noi; poi, al tempo stesso, aggiungono di confidare totalmente in Dio, sapendo bene che tutto dipende da Lui[25].

Bene! Alla fine di tutto questo lungo discorso avete più dubbi che risposte? Perfetto! È esattamente quello che volevo.





NOTE

[1] Ma l’incontro ormai è stato escluso perché la diplomazia vaticana ha capito che in questo momento l’incontro creerebbe solo confusione. In effetti, che senso avrebbe un abbraccio fra Francesco che benedice la pace e Kiril che benedice la guerra? Il papa ha anche escluso una sua visita a Kiev, che sarebbe inutile se il giorno dopo la guerra continuasse.

[2] In una lettera al patriarca ortodosso Kirill di Mosca il 2 marzo 2022, il segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, padre Ioan Sauca, ha chiesto di mediare affinché la guerra tra Russia e Ucraina possa essere fermata. «La tragica situazione della guerra in Ucraina ha portato enormi sofferenze e perdite di vite umane». Si parte nel Consiglio da una chiara posizione contro Mosca.

[3] Teniamo presente che negli anni ’60 del secolo scorso era stata espulsa la Chiesa boera del sud Africa perché sosteneva l’apartheid. Questa Chiesa è stata riammessa solo dopo la fine dell’apartheid.

[4] Nel cattolicesimo ancora forte è l’idea che tutti i cristiani, o prima o dopo, debbano confluire nella Chiesa di Roma, per cui la Chiesa cattolica si sente ancora superiore alle altre. Per questo la Chiesa cattolica non si abbassa al livello degli altri membri del Consiglio.

[5] E per questo mi richiamo soprattutto alla conferenza tenuta da Luigi Sandri, il 4.4.2022, visibile su https://www.youtube.com/watch?v=WT4JXcQWbM0.

[6] Il patriarcato di Costantinopoli è considerato ecumenico (universale), ma il suo patriarca è un primus inter pares, e non il vicario di Cristo in terra come pretendeva di essere il papa romano nella Chiesa occidentale.

[7] Ma in russo l’attributo terribile va tradotto meglio con formidabile, più che tremendamente pauroso.

[8] Mentre la parte occidentale, con Leopoli passò sotto vari sovrani: Polonia, Lituania, Austria-Ungheria.

[9] Come si vede le tesi complottistiche non sono esclusive di questi tempi.

[10] Preparato per quasi 50 anni era stato dapprima indetto a Istanbul. Ma dopo che i turchi avevano abbattuto un aereo russo in Siria, Putin aveva messo il veto e si è optato per Creta. Ma facendo mancare circa il 50% dei fedeli, Mosca ha fatto miseramente fallire il concilio che pretendeva di essere pan-ortodosso.

[11] Dice sempre Sandri che all’Università di Mosca ben 7000 laici, fra insegnanti e studenti, hanno firmato un documento contro la guerra scatenata da Putin, e che Putin non riuscirebbe più a governare se perdesse il favore della Chiesa russa.

[12] Si è già visto come invece il peccato di Sodoma, visto nella Bibbia, non sia affatto l’omosessualità come anche da noi è stato a lungo insegnato col cattolicesimo: cfr. l’articolo dell’ultima domenica di marzo del 2022, n.654 di questo giornale.

Perciò anche noi non dovremmo ergerci a giudici, perché anche nel cattolicesimo c’è ancora una manifesta contraddizione fra quanto insegna il Catechismo, le parole di papa Francesco (“chi sono io per giudicare”) e le conclusioni della Pontificia commissione biblica: cfr. sempre l’articolo al n.654 di questo giornale del 27.3.2022.

[13] Papa Francesco, La guerra è un sacrilegio, “Corriere della sera” 13.4.2022, 1-15 e 20.4.2022, 11.

Anche il cardinal Marx lamenta il fatto che nel corso della storia i cristiani abbiano spesso utilizzato la violenza sotto il segno della croce, e purtroppo questo si ripete oggi, per cui è perverso che nella guerra attuale, quando cristiani battezzati stanno ammazzando altri cristiani, ricevano l’appoggio di leader della propria Chiesa. La violenza non può mai essere legittimata dal cristianesimo, in

https://www.religiondigital.org/mundo/Marx-putin-kirill-ucrania-rusia-dictador-perversos-guerra-cristianismo-pascua_0_2441455833.html

[14] Spadaro A., Vittima e carnefice, lo scandalo della pace, “Il manifesto” 13.4.2022, 1-15: dove si spiega anche le tante obiezioni al fatto che il papa ha voluto far portare la Croce nella XIII stazione della Via Crucis al Colosseo a una donna ucraina e a una donna russa, insieme.

[15] E così pure l’arcivescovo maggiore greco-cattolico ucraino Shevchuk, parlando di una “idea inopportuna e ambigua”. Forse sarà inopportuna politicamente parlando, ma non lo è di sicuro stando al Vangelo.

[16] Sostenendo che Kirill predica la dottrina del mondo russo, che si discosta dallinsegnamento ortodosso e che andrebbe condannata come eresia, è stata presentata da oltre 400 membri della Chiesa russa una denuncia al Consiglio dei primati delle Chiese orientali, che in concreto è l’alta corte dell’ortodossia.

[17] Papa Francesco ha detto che il modo giusto di rispondere alla crisi in atto “non (è) facendo vedere i denti, come adesso… occorre un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali” ( Discorso per l’Incontro femminile cristiano del 24.3.2022).

[18] “Riceve i peccatori e mangia con loro” (Lc 15, 2) già dicevano i buoni e i giusti di allora, che si recavano regolarmente al Tempio (a messa) e si ritenevano giusti.

[19] In Lc 4, 6-7 è detto chiaramente che il potere viene dal diavolo: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Però san Paolo ha affermato che non c’è autorità in terra se non da Dio (Rm 13, 1), il che può voler dire: ogni autorità viene da Dio. E prontamente tutti i re cristiani della terra, dopo Gesù Cristo, hanno sempre fatto sapere di essere re “per grazia di Dio”. Vedasi in Italia, il R.d. 25.6.1865, n.2358 e anche il R.d. 16.3.1942, n.262 con cui veniva approvato il nostro codice civile, che iniziava con “Vittorio Emanuele, per grazia di Dio e volontà della nazione Re d’Italia”.

[20] Di nuovo questo lo sapevano già gli antichi. Nella guerra del Peloponneso, gli ateniesi sbarcano sull'isola di Melo e impongono la resa. I Meli pensano che il fatto di essere dalla parte del giusto li salverà, perché avranno la dea-fortuna dalla loro. Rispondono cinicamente gli Ateniesi che gli uomini parlano di giustizia quando le forze sono pari; altrimenti il più debole deve sottomettersi al più forte; infatti nel cosmo divino, come in quello umano urge «eterno, trionfante, radicato nel seno stesso della natura, un impulso: a dominare ovunque s’imponga la propria forza. È una legge che non fummo noi a istituire, o ad applicare primi… l’ereditammo che già era in vigore e la trasmetteremo perenne nel tempo; noi che la rispettiamo, consapevoli che la vostra condotta, o quella di chiunque altro, se salisse a tali vertici di potenza, ricalcherebbe perfettamente il contegno da noi tenuto in questa occasione» (Dal Libro V della Guerra del Peloponneso di Tucidide (Traduzione di Ezio Savino), §§ 89 e104s., Garzanti, Milano 1974, 372 ss.).

[21] Da ricordare che neanche Gesù, quando riceve uno schiaffo da una guardia, ha preso alla lettera la sua stessa frase. Quando nell’interrogatorio di fronte al sommo sacerdote, c’è una guardia che gli molla un ceffone per come ha risposto a Caifa, Gesù non porge affatto l’altra guancia, ma cerca di far ragionare la guardia, dicendogli: «se ho sbagliato dimostrami dove ho sbagliato, se non ho sbagliato perché questa violenza?» (Gv 18, 22-23). Cosa significa allora porgere l’altra guancia? Significa quello che già è detto nella Bibbia: «una parola gentile calma la collera, una risposta pungente eccita l’ira» (Prv 15, 1). Significa, come diceva anche Socrate, non replicare con la violenza alla violenza che ti viene esercitata, ma cercare di disinnescare questa violenza con una offerta pacifica, perché rispondendo con pari violenza si finisce solo in una spirale ascendente dove a violenza segue sempre maggior violenza, senza risolvere il problema.

[22] Mi piace anche ricordare quanto detto al §43 della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo - Gaudium et spes - del 7.12.1965: “sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno … La dissociazione, che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo... Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna … Spetta alla coscienza dei laici farsi carico delle loro scelte”. Mi sembra evidente che, alla luce di questo documento, l’aggressione di Putin faccia appello alla nostra coscienza, che arrendersi passivamente al male non faccia invece parte della non-violenza, perché un mero pacifismo concettuale non è conforme al Vangelo anche se pensa di esserlo.

[23] “Se non crederete, non comprenderete” (Is7,9). La versione greca dei Settanta della Bibbia traduceva così le parole del profeta Isaia al re Acaz. Nel testo ebraico, invece, si legge: «Se non crederete, non resterete saldi». C’è qui un gioco di parole con due forme del verbo ’amàn: “crederete” (ta’aminu), e “resterete saldi” (te’amenu) (Enciclica Lumen Fidei § 23 di Papa Francesco). Il profeta, allora, lo invita ad affidarsi soltanto alla vera roccia che non vacilla, il Dio di Israele. Poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costruire la propria sicurezza solo sulla sua Parola. È questo il Dio che Isaia più avanti chiamerà, per due volte, "il Dio-Amen" (Is65,16), fondamento incrollabile di fedeltà all’alleanza, tradotto con Dio veritiero nella Bibbia dei LXX.

[24] Infatti in 2Re 19, 35, c'è come un’azione dell’angelo del Signore che colpì ben 185.000 guerrieri di Sennacherib che assediavano Gerusalemme. Questo fatto aveva dato luogo alla certezza, che, nel momento di maggior pericolo per Gerusalemme, Dio sarebbe intervenuto. E veniva cantato nel salmo 46, 6, che “Dio è in mezzo ad essa, non potrà vacillare”: perciò, quando Gerusalemme si troverà nel momento di massimo pericolo, Dio interverrà di sicuro.

[25] Prv 21, 30-31: Non c’è sapienza, né prudenza, né consiglio di fronte a Yhwh. Il cavallo è pronto alla battaglia, ma a Yhwh appartiene la vittoria.