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Le dita nel naso

di Stefano Agnelli



Nel libro quarto, capitolo nono, di uno dei capolavori del Cinquecento francese, Gargantua e Pantagruele, François Rabelais fa giungere i suoi personaggi sull’isola immaginaria di Ennasin, ovvero l’isola degli “snasati”. Qui tutti sono parenti l’un l’altro, ma nessuno è parente nel senso comunemente inteso. Il capitolo, in realtà, è soltanto un espediente che permette all’autore di elencare una serie di epiteti per i due sessi:

Uno chiamava un’altra: mia lenza. E lei di rimando: mio pesciolino.

- Ecco un pesce, - disse Eustene, - che starà spesso attaccato a quella lenza.

Un’altra di queste parenti era salutata con le parole: - Buon dì, mia cunetta – e lei rispondeva: - Buon dì, manico mio

E così via. Rabelais descrive anche l’aspetto di questi abitanti dal “naso in forma di asso di fiori” (il disegno delle narici di chi manca della punta del naso), rassomiglianti “a quei rossacci del Poitou”. In questo breve capitolo però, a farla da padrone, è un artificio che proprio Rabelais consacra: l’elenco dissacrante. L’autore ne aveva già fornita prova autorevole nel libro primo, capitolo tredicesimo:

Quindi mi pulii con le lenzuola, con la coperta del letto, con le tendine, con un cuscino, con uno scendiletto, con un tappeto da tavola, una tovaglia, una salvietta, un moccichino, un accappatoio. E sempre vi trovai maggior piacere che non un rognoso quando gli grattan la schiena.

L’elenco dissacrante – qui sul materiale migliore con cui pulirsi dopo aver defecato – serve spesso a Rabelais per prendersi gioco delle dispute dotte, eredità medioevale, che erano in uso nelle Università del Cinquecento (si vedano anche i capitoli quattordici e diciannove del libro primo). È anche tipico della cultura popolare del periodo, che quelle stesse dispute canzonava (capitoli quinto e ventiduesimo del libro primo), aggiungendovi continui riferimenti smisurati a tutto ciò che riguarda il corpo – mangiare, bere, fare all’amore, orinare, defecare – con sommo divertimento di chi ascoltava.

Abbandoniamo ora Rabelais e facciamo un salto di circa due secoli. Tra il 1760 e il 1767, Laurence Sterne dava alle stampe il suo libro più famoso: The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman. Opera innovativa, che aprirà la strada ad autori come Joyce, lo Shandy è una digressione continua. La narrazione sinceppa ad ogni capitolo, ritardata da piccoli incidenti, scherzi (si veda la pagina completamente bianca o quella marmorizzata), aneddoti e riflessioni. L’umorismo vuole essere più alto, raffinato, rispetto a quello di Rabelais, eppure vi è più che una strizzata d’occhio all’autore francese. Nel capitolo ventisette del terzo libro – la divisione in libri e capitoli rimanda nuovamente a Rabelais, ma era del resto comune a molti autori – il protagonista dell’opera vede finalmente la luce. Durante il parto però il Dottor Slop: “Gli ha schiacciato il naso come una focaccia e lo ha appiattito a livello della faccia”. Questo incidente avrà come conseguenza la disperazione del padre poiché, come Sterne ci fa sapere, tutti, in famiglia, avevano avuto “nasi” di considerevoli dimensioni. Se ho usato le virgolette, è perché anche qui, come in Rabelais, il naso è un espediente per introdurre argomenti a carattere sessuale.

Lo stesso Sterne cita più volte l’autore francese e - a proposito del naso - si premura di rassicurare il lettore:

Solo implorando in anticipo, e supplicando i miei lettori (…) di non permettere che con alcuna astuzia o inganno il nemico del bene metta nella loro mente idea diversa da quella che metto io nella mia definizione. Con la parola Naso, in tutto questo lungo capitolo sui nasi e in ogni altra parte della mia opera in cui ricorra la parola Naso, dichiaro che intendo né più né meno che un Naso.

Come credergli, se dopo una lunga digressione sulle maggiori autorità che si sono occupate di “nasi”, di per sé molto divertente, l’autore ci racconta una novella, ad opera di un fantomatico “grande e dotto” Hans Slawkenbergius, dove campeggia l’equivoco irrisolto tra il naso e l’organo sessuale maschile? Eccone un estratto:

- Come è vero che sono un buon cattolico, è un naso come il mio – disse la sentinella – solo ch’è sei volte più grosso –

- L’ho udito scricchiolare – disse il tamburino –

- Perdinci, l’ho visto sanguinare – ribatté la sentinella – (…)

- Benedicite, che naso! gridò la moglie del trombettiere – è lungo quanto una tromba.

– È dello stesso metallo, - disse il trombettiere, - come puoi giudicare dal suono dello starnuto.

- È molle come un flauto, - disse la donna.

- È il timbro dell’ottone, - disse il trombettiere.

- Un corno! – ribatté sua moglie.

- Ti dico che è un naso di bronzo, - replicò il trombettiere.

- Vedrò bene cos’è che sta faccenda, - disse la moglie, - perché non andrò a letto questa sera se prima non avrò toccato quel naso con questo dito.

Come si vede, è qui riproposto il motivo rabelaisiano dell’elenco dissacrante.

A togliere ogni dubbio, sul mascheramento naso-organo sessuale, il passo in cui il forestiero indossa i calzoni di raso cremisi “con una sorta… di appendice”. Qui Sterne sostiene, con finto pudore, di non voler tradurre la parola scritta in greco, nella falsa versione di Slawkenbergius, che altro non significa se non “perizoma”, sostituendola con “appendice”. Vi è poi la strana inquietudine notturna che coglie “le penitenziarie del terzo ordine di San Francesco, le suore del Calvario, le Premostratensi, le Cluniacensi, le Certosine e tutti i più severi ordini di monache”, una volta saputo dello smisurato “naso”. A questi passi, fa seguito una lunga dissertazione fra i dotti delle due Università di Strasburgo – una luterana, l’altra papale – che, ancora una volta ad imitazione di Rabelais, mette in ridicolo la falsa erudizione adducendo, come argomento della disputa, l’enorme “naso” del forestiero che nessuno, tranne la sentinella, il trombettiere e sua moglie, ha mai visto. Se sia più comico dissertare, con tanto di citazioni autorevoli, di un “naso” non veduto o tenere un’arringa stramba e parodistica, ricolma del grossolano latino scolastico, come fa Rabelais (libro primo, capitolo diciannove), lascio giudicare al lettore.

Lasciamo ora l’Inghilterra di Sterne e torniamo in Francia: più di un secolo dopo, nel 1897, Edmond Rostand dà alle stampe l’opera teatrale in versi Cyrano de Bergerac. Inutile precisare che anche qui siamo alle prese con un naso, ma ogni allusione sessuale pare essere scomparsa, o quantomeno relegata nella fase di costruzione dei personaggi. A metà strada tra Victor Hugo e Victorien Sardou, Rostand è forse l’ultimo dei romantici, allusioni “basse” e triviali non gli si addicono, né tantomeno lo spirito raffinato di uno Sterne; il suo pubblico era la piccola borghesia perfettamente integrata. Eppure qualche legame con gli autori già citati esiste. Parlando del naso di Cyrano, anche Rostand adotta la forma dell’elenco, non più dissacratorio, quanto piuttosto atto a sfruttare le possibilità comiche dell’accumulazione:

Cyrano: Eh, no! È un po’ poco, ragazzo mio! Ce n’erano di cose da dire sul mio naso – diamine! – e di toni da sfoggiare! Per esempio, vediamo:

Aggressivo: Io, signore, se avessi un naso simile, me lo farei tagliare!

Amichevole: Certo che quando bevete vi si immerge nel bicchiere! Fatevene fabbricare uno su misura!

Descrittivo: È una montagna, un picco, un promontorio!... Ma che dico, un promontorio? È una penisola!

Curioso: A che vi serve questo affare smisurato? Da scrittoio, signore, o da scatola di lavoro?

Grazioso: Amate a tal punto gli uccelli che paternamente volete preoccuparvi di offrire un trespolo alle loro zampette?

E così via. L’elenco continua a lungo. Le affinità parrebbero rincorrersi, se consideriamo il celebre passo, in cui Cyrano finge di cadere dalla Luna per ostacolare de Guiche, ma quant’è lontano Rabelais con le sue descrizioni deformi e stranianti. Rostand pare qui far sfoggio proprio di quell’erudizione classica che, tanto Rabelais quanto Sterne, si divertivano a deridere.

Ci restano ancora da citare, per concludere il nostro breve excursus, le opere di Gogol e Pirandello, rispettivamente Il naso e Uno, nessuno e centomila. Nella prima, scritta a Roma tra il 1832 e il 1848, lo scrittore russo sembra più intenzionato a mettere in luce la perdita della rispettabilità, nonché i difetti e la bassa levatura della burocrazia zarista, che ad usare il naso – qui vero e proprio personaggio – come elemento dissacrante. Come in Pirandello, dove la scoperta fatta dal protagonista – Vitangelo Moscarda – di avere il naso che pende a destra, altro non è se non l’inizio di un percorso verso la perdita dell’identità. Certo, in Uno, nessuno e centomila il riferimento a Sterne è diretto (come rivela lo stesso Pirandello nel saggio L’Umorismo). Eppure anche nell’opera dell’autore siciliano il naso non è elemento dissacratorio, quanto piuttosto espressione di quelle concezione sterniana che “dall’infinitamente piccolo vede regolato tutto il mondo” (cfr. di nuovo L’Umorismo), concezione che Pirandello seppe sviluppare abilmente.

Con queste poche considerazioni sopra Gogol e Pirandello, che meriterebbero di essere approfondite, ma qui si è ricercato tutt’altro, si chiude il nostro breve viaggio tra i nasi celebri in letteratura. Ora non vi resta che leggere o rileggere gli autori citati, sempre che questo scritto vi abbia incuriosito, com’era nelle mie intenzioni.