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Filosofo con i suoi allievi, 1626, di Willem van der Vliet - Museo del Louvre - immagine di pubblico dominio

“Sposerò il mio Direttore Spirituale”

Pensieri su Pasolini e il 1° maggio




di Stefano Sodaro



Perché fu ucciso Pier Paolo Pasolini?

La memoria di quell’omicidio, sul litorale di Ostia, la sera avanzata del 2 novembre 1975, è ancora oltremodo scomoda e preferibilmente da accantonare, acquietare, alla fin fine rimuovere. Ma perché?

Come può uno scrittore, un poeta, un regista, mettere tanta paura e tanto disagio fino a volerlo morto?

Al riguardo sono state formulate quasi infinite ipotesi: se dunque se ne aggiungerà ancora una, la nostra, mia, qui, adesso, non sarà – è ragionevole pensarlo – una chissà quale novità, però, siccome ci crediamo, ci credo, proviamoci.

Pasolini ha indagato come nessun altro nell’Italia del dopoguerra l’intreccio tra sessualità e politica, tra sessualità e amore e tra amore e politica. Un intreccio che non può non deflagrare, lasciando intorno a sé morti e feriti.

Che ci fosse un nesso assai stretto con il pensiero di Michel Foucault è fuori discussione (merita rinviare al volume Paolini, Foucault e il “politico” – a cura di Raoul Kirchmayr, edito da Marsilio nel 2016 -, si veda anche http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/approfondimenti/per-un-confronto-tra-pasolini-e-foucault/), ma, per appunto, Pasolini non era francese. Sappiamo, è pura cronaca, che fu processato per corruzione di minorenni – vicenda nota come “i fatti di Ramuscello” (https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_a_Pier_Paolo_Pasolini_per_atti_osceni_e_corruzione_di_minore) – e che venne assolto in appello. La sua morte violenta sembrò a molti – persino ad Enzo Biagi (https://www.youtube.com/watch?v=mDK4xnBZ318) – la solenne ratifica di una vita diversa e “contro”, che può solo suscitare, come disse Biagi, “un sentimento di grande pietà”.

Oggi, anche chi si sforza – con ogni merito – di far venire alla luce, secondo uno sforzo d’indagine sanamente laico, le orrende storie di abusi sessuali, soprattutto dentro il perimetro ecclesiastico, evita, prestandovi molta attenzione, di soffermarsi sulla figura di Pasolini. Eppure la sua analisi del potere amalgamato al sacro, alla legge e al sesso potrebbe invece risultare di fondamentale contributo per proiettare fari di luce su dinamiche, spesso psicopatiche - ma non per questo non criminogene o minimamente tollerabili -, che restano invece confinate dentro la riprovazione dell’inaudito e l’individuazione del singolo colpevole, a prescindere dalle cause del crimine.

Perché, dunque, Pasolini fu ucciso? Risposta: perché era inascoltabile, semplicemente intollerabile. Non solo “scandaloso”, ma molto di più: inaccettabile. E da qualunque punto di vista politico, fosse anche quello del PCI del tempo o della sinistra extraparlamentare (si schierò dalla parte dei poliziotti durante la cosiddetta “battaglia di Villa Giulia”, del 1° marzo 1968, e condannò la campagna a favore dell’aborto).

Oggi è il 1° maggio e si tratta di capire se il poeta e la poetessa, la/il regista, l’artista – donna e uomo -, sia un lavoratore, una lavoratrice, oppure no.

Solo la poesia, solo l’arte, cinematografica, pittorica, letteraria poteva accogliere nel suo seno Pasolini, così come aveva fatto la madre anche al momento della sua morte per omicidio. Non si ricorda una sola parola di condanna di Susanna Colussi Pasolini verso il figlio Pierpaolo, benché – ad esempio - avesse auspicato un impossibile esito nuziale dell’amicizia tra lui e Maria Callas, protagonista del film Medea.

La nostra, mia, modestissima ipotesi parte da una domanda quasi puerile: si sarebbe mai sposato Pasolini? E se sì, con chi?

Oggi, per tanti, tantissimi – certamente per me -, la sua figura apparirebbe quella di un “direttore spirituale” contro corrente, una specie di contro-educatore, reprobo davanti agli occhi di ogni moralista, perché sarebbe capace di violare ogni convenzione e norma, quand’anche appartenenti ad un degnissimo, e necessario, codice deontologico. E come potrebbe, dunque, essere (meno che mai raccomandabile od auspicabile, ma anche solo) possibile un incontro innocente, puro, decontaminato, disinteressato, profondo, limpido con una simile figura di direttore spirituale del tutto sovversiva, con un simile “cattivo maestro”?

Potrebbe essere possibile a due condizioni: a condizione di “sposare”, realmente, benché fuori di ogni rito – anche civile –, la personalità autentica di una simile persona, e a condizione di considerare l’arte un vero e proprio lavoro, giungendo così – ci si permetta la provocazione, che forse è però qualcos’altro – a “sposare il proprio fornitore”, se, in ottica compiutamente neoborghese, anche la poesia è ormai divenuta un prodotto, tuttavia necessario come un farmaco salvavita.

“Sposare i propri cattivi maestri”, o “le proprie cattive maestre”. Sposarli e sposarle: non lasciarli e lasciarle ai margini, ghettizzati/e in periferie esistenziali – per ricorrere al linguaggio di Francesco papa –, dove la violazione diventa disperato valore fine a se stesso, irrinunciabile ma senza sbocco, senza prospettiva di futuro, senza progetto.

Tra l’andare contro corrente ed il compiacersi narcisisticamente di sé il passo è molto breve, quasi inavvertibile, ed è soltanto l’abbraccio di un amore “pubblico” - non vergognoso e segreto - a trarre fuori da quei confini. “Sposare”, dunque, secondo un’accezione di matrimonio (poiché non abbiamo altre parole a disposizione) quale manifestazione pubblica di una passione interpersonale che riconosce la centralità dell’Altra/Altro fonte vitale del nostro stare al mondo e che – proprio per questo – giunge persino a “retribuire”, senza imbarazzi, il/la partner proprio per la sua propria opera poetica, che quel mondo fa vivere e senza la quale quel mondo, il nostro mondo, invece muore.

Va da sé che c’è un enorme problema: questo “matrimonio”, al momento, non esiste in nessun Paese al mondo e nessuno manco se la sente di teorizzarlo. L’unica approssimazione possibile, in un contesto perfettamente neoborghese, per quanto possa sembrare indicibile, è il contratto di mercimonio, una realtà che conobbe anche Pasolini, ma che non è celebrazione dell’amore, bensì sua negazione, facendo cortocircuitare bisogno ed appagamento e calpestando l’arte, anche – con particolare strazio – proprio l’ars amatoria.

Questo Primo Maggio sarà festa del lavoro, non all’insegna della mera prestazione e controprestazione, produzione e compenso, bensì all’insegna dell’arte, dell’amore, della nostalgia per un Regno dei Cieli, anch’esso laicissimo, che Pasolini avvertì, ma di cui non riuscì a scrivere le pagine finali. Né Petrolio, né la realizzazione della sceneggiatura su San Paolo, videro la luce prima della sua morte (il film proprio mai) e forse perché, allora come oggi, non è ammesso sposare il proprio direttore spirituale. Vedremo fino a quando.

Però non rinunciamo a sognare e, finalmente, ad abbracciarci.

Buon Primo Maggio.

Buona domenica.