Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Immagine tratta da commons.wikimedia.org



“Sentinella, quanto resta della notte?”

Riflessioni di un ultra ottuagenario

seconda puntata




di Pietro Duosi

“La sentinella risponde:

«Viene il mattino, poi anche la notte;

se volete domandare, domandate,

convertitevi, venite!». (Isaia 21,11)

Proviamo ora a leggere una pagina di Leo Perutz:

DI NOTTE SOTTO IL PONTE DI PIETRA, ambientato nella favolosa e magica Praga

“Era uno strano corteo quello che si muoveva per le strade e le piazze di una Praga notturna. In testa avanzavano i portatori di fiaccole, poi venivano i musici col flauto, il violino e i tamburi, dietro a loro danzava il conte Collalto. I due servi con le terzette lo seguivano senza perderlo di vista e il barone Juranic faceva da guida, nonostante fosse l'ultimo, perché mostrava con la spada ai servi, che erano croati, con la fiaccola il cammino da seguire... e il conte Collalto, colpevole di aver ridicolizzato il barone Juranic durante un ballo nella bettola della città, era stato condannato a danzare per strade e vicoli di Praga, finché fosse piaciuto al Barone Juranic che l’avrebbe poi alla fine infilzato con la sua spada (una volta gli errori si pagavano con la vita.....)

Ma accadeva che ad ogni effige del Cristo o della Madonna, di cui Praga era piena, i croati si gettavano in ginocchio, facendosi il segno della croce, perché i croati, ancorché soldatacci, erano gente pia e devota a Cristo e alla Madonna.

E ad ogni genuflessione e preghiera il conte Collalto prendeva un poco di fiato e rinviava il momento della morte.

Il barone Juranic diede segno di nervosismo.

“Per la mia povera anima, a questo non avevo pensato” si disse e si fece anche lui il segno della croce. “Ma avrei dovuto saperlo che sarebbe andata così. I miei croati sono gente pia, sanno di essere debitori a Cristo e alla sua Santa Madre”.

C'erano – e ci sono ancora oggi – quattrocento crocifissi e statue di santi a Praga, sparsi ovunque. E ogni volta che i croati passavano davanti a una di queste statue, cadevano in ginocchio, mormoravano preghiere e litanie e Collalto aveva un breve riposo. Ma a un certo punto il barone Juranic cominciò a seccarsi e gli venne un’idea geniale che lo fece esplodere di riso. Collalto avrebbe dovuto ballare la sua sarabanda per le strade strette del ghetto, perché lì non c’erano né crocifissi né statue di santi. E così fece. I musicisti suonavano e Collalto ballava, sul suo cammino non c’era nessuna immagine sacra che potesse procurargli riposo. Finché quando giunsero dov'era la casa del sommo Rabbi Loew (ricordate? L’inventore del Golem), Collalto era giunto al limite delle forze e gridò aiuto con flebile voce.

Il sommo rabbino, che era seduto di sopra nella sua stanza e stava studiando i grandi libri sacri e magici, udì questa voce e sentì che proveniva dagli abissi della disperazione. Andò alla finestra e domandò chi gridasse e come lo si potesse aiutare.

“Un’immagine di Gesù, ansimò Collalto con l’ultimo respiro, altrimenti per me è finita.”

Il sommo Rabbi Loew capì subito il senso di quell’invocazione disperata: bisognava salvare un uomo dalla morte.

Di fronte, dall’altra parte della strada, c’era una casa distrutta dal fuoco, con un unico muro rimasto in piedi, annerito dal tempo e dal fumo. E quel muro indicò il rabbino con la mano. Su questo muro, con la sua forza magica, dalla luce lunare, e dalla muffa, dalla fuliggine e dalla pioggia, dal muschio e dalla malta, fece sorgere un’immagine.

Era un “Ecce Homo”. Ma non era il Salvatore, non il Figlio di Dio né il figlio del falegname giunto nella città santa dai monti della Galilea per insegnare alla gente e per patire la morte a causa del suo insegnamento. No, era un “Ecce Homo” di tipo diverso. Eppure c’era una tale grandezza nei suoi tratti, così commovente il dolore che spirava dal suo volto, che il barone col suo cuore di pietra ne fu colpito come da un fulmine e per primo s’inginocchiò. E di fronte a questo “Ecce Homo” accusò se stesso di essere stato, quella notte, senza pietà e senza timor di Dio.

“Non c’è più molto da dire” terminò chi mi stava raccontando questa storia della vecchia Praga.

Pare che il conte Collalto non abbia mai più ballato in vita sua e che il barone Juric abbia lasciato il servizio.

E l’ “Ecce Homo” del sommo Rabbi Loew non era Cristo. Era il popolo ebraico perseguitato e schernito per secoli, che ha manifestato il suo dolore in quella immagine. Non andare nel ghetto, lo cercheresti inutilmente. Gli anni, il vento, il tempo lo hanno distrutto e non ne sono rimaste tracce.

Ma va per le strade, dove vuoi, e quando vedi un vecchio venditore ambulante ebreo che trascina il suo fardello di casa in casa mentre i ragazzi di strada gli corrono dietro gridando “Ebreo! Ebreo!” e gli buttano addosso pietre ed egli si ferma e li guarda con uno sguardo che non è il suo, che proviene dai suoi avi e antenati, che, come lui, hanno portato la corona di spine del disprezzo e hanno sopportato i colpi di frusta della persecuzione, se vedi questo sguardo, allora, forse, avrai visto qualche cosa, pochissimo, dell’ “Ecce Homo” del sommo Rabbi Loew.”

Non è uno stupendo pezzo di scrittura laico-religiosa, questa?