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Viaggio in Italia


di Stefano Agnelli


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10. L’associazione “Calimero”



Difficile scrivere stasera.

Emozioni ancora vive, gioie e soddisfazioni profonde, d’un valore che non vuole proprio diminuire – non esiste l’inflazione nei sentimenti – si sommano sovrapponendosi e provocando in me un dolce languore, un’onda di risacca che va e viene, portando a galla l’immenso affetto che mi lega a molti dei volontari e dei “ragazzi”, come ci ostiniamo ancora a chiamarli, anche se alcuni hanno oramai quarant’anni.

L’unica speranza che ho è di procedere con ordine.

Nel 1998, al termine di un campo vocazionale della Parrocchia dell'Immacolata, in cui ero praticamente ospite ateo e confuso – per niente felice, alla faccia di Carmen Consoli - andai dall’amato e compianto Don Giovanni (anche se allora lo conoscevo appena), con la richiesta di fare volontariato, preferibilmente con i disabili, visto che mi ero appena licenziato da un Centro Educativo Riabilitativo (si veda a proposito Viaggio in Italia n. 4, https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-596/stefano-agnelli-viaggio-in-italia-il-centro-educativo-riabilitativo).

Con mio sommo stupore la Parrocchia aveva al suo interno un’associazione specifica che si occupava di disabilità: il “Calimero”.

Immaginate un gruppo di 30, 40 volontari, singoli o famiglie comunque giovani – o almeno lo eravamo allora - con i relativi figli, d’età variabile fra i 5 anni ed i 14, aggiungete l’assoluta mancanza di timore reverenziale, la capacità di affrontare situazioni difficilissime sdrammatizzando, la voglia di divertirsi e di divertire (i “ragazzi”). Aggiungete un pizzico di sana follia, una ventina di diversamente abili d’ogni tipo, shakerate il tutto e... Voilà, la vacanza “Calimero” è servita, bella fresca e spumeggiante, in un boccale di metallo e ceramica da Oktoberfest.

Anche se oramai brillo per la mia assenza, per anni ho partecipato alle vacanze di Capodanno, Pasqua ed a quelle estive, le più lunghe. È abitudine dell’associazione infatti - oltre a garantire pomeriggi in cui si svolgevano varie attività (musica, psicomotricità e attività ricreative), nonché le uscite del sabato per una pizza tutti assieme (ogni quindici giorni, chi poteva o voleva) - prendere in affitto case vacanze per gruppi o vecchi alberghi dismessi, quasi sempre in località di montagna o di collina, e gestire tutte le attività della giornata, dalla colazione, alle uscite, fino alla cena e al dopocena.

Durante quei giorni sono nate e si sono cementate negli anni, amicizie profonde e durature, nonostante tra di noi, non tutti si frequentino abitualmente gli uni con gli altri.

In quelle lunghe giornate, a volte difficili e lunghe, specie per i responsabili, ogni avvenimento, ogni problema, piccolo e grande, veniva affrontato e risolto, grazie alla forza immensa della condivisione. Eravamo veri e propri “compari” (cum panem), spezzavamo e dividevamo lo stesso pane, ogni giorno, e ne avanzava sempre, proprio come nell’episodio evangelico dei pani e dei pesci (Mc 6, 35-44), che precede e introduce l’istituzione dell’Eucarestia, ognuno di noi raccoglieva più di quanto donasse.

È la forza della gratuità e della letizia francescana, e non importava che molti di noi non fossero praticanti: eravamo tutti veri credenti, perché rispettavamo e seguivamo il “comandamento nuovo” (“Che vi amiate gli uni con gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni con gli altri”. Gv 13, 34-35). Seguendo e trascrivendo il flusso di coscienza dei ricordi, ecco allora un’intera camerata che esce a dormire in corridoio a fronte del mio russare (sic). Mi sveglio, non vedo più nessuno, dico a tutti di rientrare e passo la notte a leggere ed a fumare, alternando passeggiate semi – notturne con alcune volontarie ed una delle nostre “ospiti” che si era svegliata alle quattro del mattino urlando: ‘llazione!!! Colata!!! (colazione e cioccolata). Mentre ero su di una panchina, all’esterno, due volpi mi passano davanti in processione. Qualche ora dopo, verso le sei, prendo l’auto, vado in paese, trovo un forno aperto e compro trenta bomboloni per farmi perdonare.

Ecco ora un viaggio di ritorno interminabile, come la coda sulla Brennero – Modena, passato ad ascoltare M. che, nonostante le difficoltà fisiche e di parola – lievi a dire il vero – costruisce lì per lì, una sorta di poema immaginario sulle nuvole che vede dal finestrino dell'auto.

Un’altra vacanza a Gudon di Chiusa, con il mio amico Massimo che pulisce un tavolo da ping pong verde, in cemento, ma il prodotto usato inizia a decolorarlo e io, piegato in due dalle risate – e memore forse, chissà perché, di qualche partoriente nei vecchi film western – gli urlo: “buttaci dell’acqua calda!”. Lui – purtroppo – mi dà retta e lancia una pentolata d’acqua bollente sul cemento del tavolo che inizia letteralmente a colare vernice verde, mista ad acqua fumante, da tutte le parti.

Ricordi. Preziosi frammenti di vita incisi nella memoria in modo indelebile da essere qui, ora, mentre scrivo. Grazie amici, con o senza l’ ”H” davanti, è soprattutto grazie a voi se oggi posso dire di aver avuto una vita piena e felice. Intanto, quei bambini di allora sono cresciuti, diventando ragazzi straordinari, anche grazie alle uscite ed alle vacanze comunitarie.

Sono già adesso il futuro del “Calimero”, tanto che pensando a loro, capaci di raccogliere un’eredità così importante, ad ai miei tanti alunni di questi vent’anni di insegnamento, a volte non mi pesa affatto il non aver avuto figli.