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Il ricovero e la citazione



di Stefano Sodaro


Per quanto debba considerarsi “programmato da tempo” il ricovero del Papa questo pomeriggio al Policlinico “Gemelli” suscita ragionevole preoccupazione, avvenendo (oltre che ad 84 anni) il giorno successivo alla notizia del decreto di citazione in giudizio di dieci persone (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/07/03/0437/00970.html), tra cui il Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto emerito della Congregazione per le Cause dei Santi, in precedenza Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato ed attualmente cardinale senza prerogative e diritti derivanti dal suo status, a seguito delle dimissioni presentate il 24 settembre 2020 ed accolte prontamente da Francesco.

Colpisce molto l’imbarazzo dei commentatori che vorrebbero spingersi al di là dei dati fattuali di cronaca ma non vi riescono. È evidente, in effetti, una volontà di conclusioni sommarie il più veloci possibili, ad esito di analisi semplificatorie di vicende, invece, estremamente complesse, sulle quali un giudice – sì, vaticano –, e non un devoto di questa o quella aggregazione ecclesiale, è chiamato a pronunciare accertamenti e comminare pene se reati sono stati commessi. Affermare che “reati sono stati commessi di sicuro” o che, all’opposto, “si tratta di ipotesi prive di fondamento” è atteggiamento denotante scarsissima – se non nulla - sensibilità verso il ruolo del diritto ed i suoi ambiti propri.

Da un lato si nota uno spasmodico agitarsi anti-Vaticano che però esita a solidarizzare con i citati in giudizio, ed in particolare con il primo Cardinale della storia ad essere processato, non foss’altro che per la sua asserita vicinanza ad uno dei movimenti ecclesiali più significativi del dopo Concilio. Dall’altro schierarsi dalla parte dei poteri costituiti giudiziali non della Santa Sede – perché non è qui questione di diritto canonico - ma addirittura dello Stato Città del Vaticano smorza subito e reprime (con riluttanza) ogni opposizione al Cardinale, ogni fronte favorevole al Papa sempre e comunque, a prescindere da qualunque approfondimento critico, e che, pur estraneo ai fatti di causa, vorrebbe accreditarsi come interprete autentico della volontà divina sulla Chiesa contemporanea, magari in sostituzione del Pontefice degente o tirandolo per la talare appena deposta per il ricovero.

La bravissima Maria Elisabetta Gandolfi, in una sintesi di grande efficacia (https://re-blog.it/2021/06/19/vaticanisti-al-lavoro/), invitava, due settimane fa, i vaticanisti a mettersi al lavoro. Due settimane dopo la densità del “reale ecclesiale”, proviamo a chiamarlo così, si è già di molto ispessita.

Resta un interrogativo: ma la Chiesa, la Chiesa soggetto ed oggetto di fede, ha a che fare qualcosa con tali notizie e tale processo penale? Brilla un po’ il silenzio della teologia, dell’ecclesiologia, ed anche della filosofia al riguardo. Siamo schiacciati, e schiacciate, davanti ai faldoni processuali e basta. Qui, forse, un’avvertenza è opportuna: pensare di scandagliare le profondità dell’assetto istituzionale ecclesiale – ed ecclesiastico – rimanendo completamente, ed anche sdegnosamente, al di fuori di quei mondi permette di conoscere aspetti assai parziali e forse addirittura residuali di una “realtà”, appunto, che ha genesi storiche e autocomprensioni estremamente articolate non ignorabili, salvo non ammettere di dover ad un certo punto ritirarsi e riconoscere di non avere capito niente.