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La Chiesa tedesca


di Dario Culot

Qualche tempo fa abbiamo visto come la Chiesa tedesca sembra andare in direzione diametralmente opposta alla Chiesa americana. Va detto che il cardinal Bergoglio, non appena diventato papa, ha da subito ritenuto di dover valorizzare i sinodi, ma il rischio – com’è ovvio - è la spaccatura dell’unità. Lo stesso papa, evidentemente preoccupato della linea intrapresa dal sinodo tedesco che sta affrontando temi di assoluta attualità ma altamente scottanti (“Potere e separazione dei poteri nella Chiesa - partecipazione congiunta e progettazione missionaria”, “Vivere in relazioni di successo – Amore che vive nella sessualità e nella cooperazione”, “Vita sacerdotale oggi”, “Donne nei servizi e nei ministeri della Chiesa”),[1] era intervenuto con una lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, in data 29.6.2019, richiamando l’esigenza di mantenere vivo, in questi tempi «di forte tendenza alla frammentazione e alla polarizzazione», il sensus ecclesiae e ricordando che ogni Chiesa particolare vive e fiorisce solo se resta unita alla Chiesa universale. Per bocca del cardinale Marx, i vescovi tedeschi avevano risposto dicendo che «Un percorso sinodale senza riforma non è pensabile»[2]. In seguito, forse per le troppe pressioni frenanti subite, il cardinale Marx ha rassegnato le proprie dimissioni, non accettate dal papa.

Ora, anche a causa del coronavirus, il percorso sinodale tedesco si è allungato (si prevedevano circa due anni di discussione) e sarà già molto se verso la fine dell’anno comincerà a uscire qualche documento ufficiale. Non si è scelto di fare un semplice sinodo perché il sinodo è bloccato da precise norme canoniche, compreso un controllo più pressante del Vaticano, ma si è preferito un ‘cammino sinodale’. Punto interessante di questo cammino è sapere che, tramite moduli di contatto, anche il popolo e non solo la gerarchia è stata in grado di intervenire, tanto che sono state inoltrati oltre 5.300 contributi, tutti incorporati e poi nei lavori dell’assemblea sinodale.

Ma la vera domanda è: cosa succederà se dalla Chiesa tedesca verranno fuori decisioni che ribaltano completamente la dottrina tradizionale[3] della Chiesa di Roma, ad es, riconoscendo che le coppie gay devono poter ricevere la benedizione, che i preti possono anche sposarsi restando il celibato facoltativo[4] e che anche le donne possono accedere all’ordine sacerdotale?

Personalmente credo che, o prima o dopo, tutta la Chiesa finirà con l’accettare queste modifiche che oggi urgono:

1. Quanto all’omosessualità, il n. 2357 del Catechismo, avendo nel frattempo sentito cosa dice da tempo la scienza, riconosce che l’origine dell’omosessualità non è spiegabile con certezza; il successivo n. 2358 riconosce che l’omosessualità non è scelta liberamente: cioè uno non sceglie di essere omosessuale, come non sceglie di essere eterosessuale. Ciò significa che, a volte, nel regno degli uomini e degli animali, nasce qualcuno che esce dalla regola comune, e nessuno sa dire il perché. In pratica, questo qualcuno nasce diverso dai suoi simili, e proprio per questo viene maltrattato, isolato, discriminato. I normali lo giudicano un’offesa alla natura, alle regole del Creato, e soprattutto a Dio e a loro stessi; e sono offesi se l’intero mondo non soffre con loro per questa offesa, per cui infieriscono come se fossero soltanto loro i depositari di come si deve o non si deve essere;[5] essi ritengono che sia loro dovere quello di rivelare agli altri i disegni che Dio aveva fatto su tutti gli altri, dal fondo dell’eternità[6].

Ma se Dio è amore, se l’amore è dono di Dio (1Gv 4, 7-21), giustamente padre Alberto Maggi pone la seguente domanda: “Perché la Chiesa non dovrebbe benedire le coppie omosessuali? Se due persone vivono assieme, fanno del bene, vivono con generosità e si vogliono bene perché non dovrebbero trovare chi li benedice? Si benedicono le case, gli animali, perfino gli oggetti, ma due persone che si vogliono bene no. Si nega così che dove c’è amore c’è Dio,[7] che invece è il fondamento della nostra religione. La Chiesa ci ha messo secoli per dire che nel matrimonio non è importante solo la procreazione ma anche la sessualità[8]. Se le risposte che la Chiesa oggi dà sono già superate dalla società, queste risposte non valgono più”. Quando della propria vita si fa un dono d’amore per gli altri, lì c’è l’incontro con il Signore che si è fatto pane per noi, e in quel modo lo si può sentire presente anche oggi.

Il diritto naturale sottintende che esiste qualcosa conforme alla natura, e qualcosa che va contro la natura. Ma la Chiesa dovrebbe spiegare bene cosa intende con i termini ‘contro natura’ e ‘secondo natura’. Per san Paolo, ad esempio, era contro natura che l’uomo si lasciasse crescere i capelli[9]. Ora, se in natura si trovano animali che si accoppiano all’interno dello stesso sesso, può dirsi che la natura va ‘contro natura’? Smaccatamente fuorviante, allora, è prendere dalla natura gli esempi che ci fanno comodo, e non far ricorso alla legge naturale per le cose non ci fanno comodo. E non appare altrettanto contro natura fare del bene a chi ci ha fatto del male?[10] E il sollevare e prendere la propria croce non è contro la cultura insegnataci che ci fa avvertire un senso di avversione davanti a qualsiasi difficoltà? Ma allora lo stesso vangelo insegna cose ‘contro natura’.

Le parole nuove di Papa Francesco («se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla»[11]), nella loro disarmante semplicità, sconcertano i fondamentalisti, ma sembrano vicine al vangelo.

2. Quanto al celibato dei preti, nel riassumere la lunga e tortuosa vexata quaestio (problema tormentato), si nota che inizialmente non esisteva il celibato come legge e, se esisteva, era poco osservato. Se Pietro era sposato (Mc 1, 30), anche i papi Adriano II (867-872) e Sergio III (904-911) erano sposati. Gli storici dicono che tra il X ed il XIII secolo era normale per il prete convivere con una compagna. Del resto, nella 1a Lettera a Timoteo si dice che “l’episcopo sia marito di una sola moglie… deve sapere governare bene la propria famiglia e tenere con grande dignità i figli in sudditanza” (1Tm 3, 2-4). Lo stesso si dice nella Lettera a Tito, 1,6.

Nel tempo si sono evidenziate due tendenze: una che permetteva i preti sposati e una che preferiva i preti celibi. Chiaro allora a tutti che il celibato non era un dogma di fede, ma solo una disciplina ecclesiastica, propria della Chiesa occidentale[12]. Tutte le altre Chiese cattoliche (siriaca, melchita, etiope, ecc.) e le altre Chiese cristiane non conoscono questa disciplina. E in quanto disciplina può perciò essere sempre abolita, dipendendo in ultima analisi dalla decisione del papa.

Anche in questo campo si possono utilizzare i termini ‘contro natura’ e ‘secondo natura’, e questa volta contro la pretesa ecclesiale. Se il senso naturale della sessualità è assicurare all’umanità progenie,[13] e quindi è secondo natura che la vita si sviluppi sempre attraverso l’unione maschio-femmina, cosa è più contro natura che il celibato imposto ai preti,[14] che allora può essere sospettosamente visto come una regola umana per risolvere questioni ereditarie e di potere? Non è un caso se, sotto l’aspetto economico, la Chiesa eredita di preferenza i beni dei propri preti; sotto un altro aspetto, «un uomo celibe che può essere comandato dai vescovi, è al servizio dei superiori»,[15] e non necessariamente al servizio di Dio; né si può dire che dove i preti sono sposati il risultato sia stato più deludente rispetto all’organizzazione con preti celibi,[16] anche perché, se è difficile il rapporto marito-moglie, altrettanto difficile è vivere in comunità. È evidente che non esiste alcuna legge naturale che impone il celibato alle creature di Dio.

3. Il sacerdozio riservato ai maschi è una delle verità non negoziabili della Chiesa cattolica del XX secolo. Eppure oggi, più che mai, siamo consapevoli che tante “verità” non negoziabili ed eterne del passato tali poi non erano.

La dottrina ufficiale sostiene che Gesù ha costituito il sacerdozio della nuova alleanza e ha conferito esclusivamente ai 12 apostoli (maschi) l’ordinazione sacerdotale quanto meno nell’ultima cena (Lc 22, 14). Ma omette di dire che in altri due vangeli (Mc 14, 12-25; Gv 13, 1-5; Gv 18, 1) nell’ultima cena si parla genericamente di discepoli, il che comprende anche le femmine, perché molte erano le donne che seguivano Gesù (Lc 8, 2s.). Matteo è più ambiguo (Mt 26, 17-20) perché sono i discepoli a preparare la cena, ma poi si dice che alla sera Gesù si mise a tavola con i dodici. Dunque, in questo, come in altri casi (ad es. «chi ascolta voi ascolta me» di Lc 10, 16; o «a chi perdonerete i peccati saranno perdonati» di Gv 20, 23), le parole rivolte a tutti i discepoli sono state interpretate dalla gerarchia in senso restrittivo, come parole valide solo per i sacerdoti, unici successori dei 12 apostoli. Il § 32 della Lumen Gentium precisa che la distinzione tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio è stata posta dal Signore. Analogamente il can.207 § 1 del codice di diritto canonico mantiene la consolidata struttura piramidale che suddivide la chiesa in due stati: chierici e laici, i quali ultimi restano dei semplici aiutanti della gerarchia, perché è sempre e solo la gerarchia che stabilisce quali sono le funzioni dei laici[17]. Neanche tutta l’opposizione manifestata da Gesù al sacerdozio del Tempio è stata presa seriamente in considerazione dalla Chiesa

Il problema è che – dopo il concilio Vaticano II - non c’è più sacerdozio perché siamo tutti sacerdoti[18]. Se infatti sacerdoti erano solo coloro che potevano rivolgersi a Dio, questa possibilità è stata data da Gesù a tutti. Quindi siamo tutti sacerdoti perché non esiste più una casta particolare di persone, più vicine a Dio, che possono fare da intermediari fra la gente e Dio.

Ma, a questo punto, dovremmo anche meditare sulla totale autonomia di Paolo, autonominatosi apostolo e ministro di Gesù Cristo (Rm 15, 16), perché anche questo fatto ha ulteriori conseguenze in punto sacerdozio. Che Paolo abbia presieduto all’eucarestia nelle comunità da lui fondate è scontato: se era lui solo a evangelizzare i pagani non c’erano altri che, all’inizio, potessero presiedere allo spezzare del pane. Ma allora la domanda è: chi gli ha dato l’autorità? da chi ha ricevuto l’autorizzazione? Non certo da Pietro, né da nessun altro apostolo. Quindi traballa non poco la tesi che solo il religioso consacrato in base alla successione apostolica (vescovi e preti da loro delegati),[19] che trova origine esclusiva nei 12 apostoli, sia legittimato alla celebrazione eucaristica.

Di più: lo stesso Paolo chiama apostoli uomini che sicuramente non facevano parte del ristretto gruppo dei dodici, e – udite! udite! - perfino delle donne. Ad esempio nella lettera ai Romani (Rm 16, 7) si legge: “Salutate Andronìco e Giunia (chiaramente una donna), miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me”. Perciò, se la Chiesa-istituzione prendesse in considerazione anche le donne come apostoli, dovrebbe rivoluzionare la sua struttura maschilista.

Le Chiese protestanti già da tempo ammettono le donne al sacerdozio. È noto che la questione del ministero è una delle ragioni principali per cui, secondo la visione cattolica, queste Chiese non sono propriamente chiese, ma semplici comunità ecclesiali: i ministri protestanti non sono ordinati da un vescovo ritenuto nella successione apostolica, quindi la loro liturgia eucaristica non sarebbe valida[20]. I protestanti replicano che i loro ministri non saranno successori storici degli apostoli, ma sono successori nel messaggio apostolico (“Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli”: Gv 6, 63). Ma soprattutto non basta la successione storica, perché – ben più arduo – è succedere nella vita apostolica, che è parte integrante della successione apostolica. In altre parole, una successione apostolica non accompagnata da una vita apostolica non è vera successione apostolica, e quest’affermazione mi sembra inoppugnabile. In quest’ottica, forse nessuna Chiesa, oggi, sta veramente nella successione apostolica,[21] per cui tutte perdono credibilità e fedeli.

Se infine si sostenesse che l’autorizzazione deve essere implicitamente collegata all’apparizione del risorto, peggio che andar di notte: anche Maria di Magdala, allora, che ha avuto per prima l’apparizione, avrebbe dovuto essere la prima sacerdotessa.

Sono proprio curioso di vedere con quali decisioni terminerà il cammino sinodale in Germania, e quali contraccolpi subirà la Chiesa cattolica se i tedeschi daranno una martellata alla tradizionale ortodossia romana, esercitando un vero e proprio contropotere rispetto al potere di Roma. Non resta che attendere ancora un poco.

NOTE


[1] Anche l’Australia si accinge ad aprire un concilio plenario da ottobre 2021 a luglio 2022, ma i temi sul tappeto sono sicuramente meno esplosivi di quelli trattati in Germania (Una Chiesa missionaria ed evangelizzatrice, Una Chiesa inclusiva, partecipata e sinodale, Una Chiesa pregante ed eucaristica, Una Chiesa umile, guaritrice e misericordiosa, Una Chiesa gioiosa, piena di speranze e serva, Una Chiesa aperta alla conversione, al rinnovamento e alla riforma).

[2] Scaramuzzi I., “I vescovi tedeschi: avanti con il percorso sinodale, non senza Roma”, in Vaticaninsider, 28 settembre 2019.

Tutte le informazioni si possono trovare, ma ovviamente solo in tedesco, al sito: ww.synodalerweg.de. Per chi fosse interessato, molto materiale in italiano è reperibile nel sito https://www.viandanti.org/website/sinodo-della-chiesa-tedesca/

[3] Dire che non si cambia perché questa è la nostra tradizione è irragionevole: anche la lapidazione delle donne adultere è una tradizione in alcuni Paesi; anche l’infibulazione è una tradizione in alcuni Paesi. Dovremmo per questo sostenere che è giusto che la tradizione continui per sempre e che non si debba cambiare mai?

[4] Grande rumore ha sollevato in Spagna – non in Italia,- la vicenda del vescovo ultraconservatore di Solsona Xavier Novell, nominato da papa Benedetto XVI quando aveva solo 41 anni, che ha dovuto lasciare l’incarico perché si è innamorato di una donna che scrive romanzi erotici. Ora, poco è trapelato ufficialmente, perché nella Chiesa normalmente ci si preoccupa più di “nascondere” che di “essere trasparenti”. Invece i vangeli, quando evidenziano la codardia o l’incoerenza degli apostoli (es. Mc 9, 30ss: i discepoli litigano su chi di loro è il più importante, quando Gesù cercava di far capire loro che stava per essere ucciso) fanno intendere che l’importante non è far fare bella figura ai vertici del magistero, ma appunto la ‘trasparenza’ di come uno vive la sequela di Gesù.

[5] Corona M., Torneranno le quattro stagioni, ed. Mondadori, Milano, 2010, 139.

[6] Mauriac F., La farisea, ed. Oscar Mondadori, Milano, 1970, 74.

[7] Intervista di Paolo Rodari ad Alberto Maggi, “La Repubblica” 16.3.2021.

[8] È solo da pochissimo tempo che la Chiesa vede il sesso non più come peccaminosa concupiscenza. Dopo una minima apertura di Papa Benedetto XVI che ha parlato di gioia del sesso, della sessualità come dono (Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 151), si è arrivati con Papa Francesco all'affermazione rivoluzionaria che «Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature, che abbellisce l’incontro tra gli sposi». Nella stessa Esortazione si riconosce che San Paolo raccomandava l'astinenza perché attendeva un imminente ritorno di Gesù e voleva che tutti si concentrassero unicamente sull’evangelizzazione (1Cor 7,29), tuttavia si afferma che questa era una sua opinione personale (cfr. 1Cor 7,6-8), e non una richiesta di Cristo (1Cor 7,25) (Papa Francesco, Esortazione Apostolica Amoris Laetitia del 19.3.2016, §150-159). Ma evidentemente ancora una volta san Paolo ha inciso tanto profondamente nella dottrina della Chiesa, che ancora oggi è difficile da scalzare.

[9] "Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo" (1Cor 11, 14-15).

[10] L’egocentrismo proprio dell’uomo non è radicato nella nostra moralità, ma nella nostra biologia: il nostro desiderio di sopravvivenza ci rende egocentrici. Ad es. rifiutiamo l’immigrato che è diverso da noi perché lo riteniamo una minaccia alla nostra sopravvivenza (Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020,107). Quindi, se l’egocentrismo è di origine biologica non è contro natura; è contro natura l’invito di Gesù a spendersi per gli altri.

[11] Al rientro dalla giornata della gioventù in Rio de Janeiro (“Corriere della Sera”, 30.7.2013, 1; “Il Piccolo” 30.7.2013, 1; Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n.3918/2013, 463).

[12] A questo proposito il magistero dovrebbe anche spiegarci in maniera logica perché in Italia, nelle diocesi di rito latino i preti sono obbligati a restare celibi, mentre nelle diocesi di rito bizantino – come Piana degli Albanesi in Sicilia, Lungro in Calabria – i preti sposati sono la norma (basta digitare su motore di ricerca il nome del giornalista Galeazzi Giacomo, Il papa commissaria la diocesi dei preti sposati; oppure vedere “Il Venerdì di Repubblica”, n.1312/2013, 43). Quindi anche in Italia ci sono preti cattolici sposati, e non solo quelli provenienti da altre Chiese, come gli anglicani passati al cattolicesimo.

[13] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 212.

[14] Solo col concilio di Elvira del 306 d.C. si impone la disciplina del celibato sacerdotale, ma per secoli continuò anche la prassi del sacerdote coniugato (Ravasi G., Eunuchi per il Regno, “Famiglia Cristiana,” n.27/2012, 121), e ancora oggi ci sono preti di altre religioni (anglicani, ortodossi) passati al cattolicesimo che sono rimasti sposati. Vedi precedente nota 9.

[15] Intervista a Hans Küng del 17.12.2012, in www.dongiorgio.it del 12.1.2013.

[16] Che nella Chiesa cattolica vi sia qualche migliaio di preti sposati, vuoi di rito latino provenienti dal protestantesimo, vuoi di rito orientale, è pacifico. Per il celibato dei preti, vedasi Bonivento C., Il celibato sacerdotale, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2007; Cochini C., Origini apostoliche del celibato sacerdotale, ed. Nova Millenium, Roma, 2011.

[17] Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 260: la Chiesa non è la somma dei credenti in Cristo; in più nella Chiesa c’è il sacerdozio sacramentale gerarchico, includente sempre il papa, per cui non si può essere credenti se non si è inseriti nella comunità sotto il sacerdozio. Con l’Enciclica Mediator Dei del 20.11.47 di Papa Pio XII (in www.vatican.va/Sommi pontefici) venne stabilito che: “Ricordiamo solamente che il sacerdote fa le veci del popolo perché rappresenta la persona di Nostro Signore Gesù Cristo in quanto Egli è Capo di tutte le membra ed offrì se stesso per esse: perciò va all'altare come ministro di Cristo, a Lui inferiore, ma superiore al popolo. Il popolo invece, non rappresentando per nessun motivo la persona del Divin Redentore, né essendo mediatore tra sé e Dio, non può in nessun modo godere di poteri sacerdotali”. Da ciò si dedusse che l’individuo deve inserirsi nella comunità-Chiesa solo sotto la gerarchia, non potendo altrimenti partecipare alla vita divina (Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 268s.). Pio XII è stato smentito dal Concilio Vaticano II il quale ha dichiarato che siamo tutti sacerdoti (Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen Gentium § 10 - del 21.11.1964).

[18] Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen Gentium § 10 - del 21.11.1964.

[19] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 210.

[20] Ma evita accuratamente di richiamare Paolo, che – come visto sopra - rappresenta una contraddizione al principio della successione apostolica storica solo dai 12.

[21] Ricca P., L’ultima Cena, anzi la Prima, ed. Claudiana, Torino, 2013, 271s.