Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Foto di Gianni Passante, Le belle bandiere, Trieste, 2 ottobre 2022

Foto di Stefano Sodaro, Le belle bandiere, Castello di Calgrande Alto, 7 luglio 2022

Buon compleanno all’Adriana Zarri dell’Ebraismo

di 

Stefano Sodaro


Gli anni di una signora, lo insegnano il bon ton e la buona educazione, non vanno né richiesti né rivelati. Faremmo mai i maleducati, proprio noi, rodafiane e rodafiani?

Però, ammettiamolo, dipende dal senso, dal significato profondo – ma che non tiri a fondo –, di una ricorrenza di particolare rilievo, di un compleanno che porta luce e gioia in mezzo alla tristezza di ben diverso anniversario, ad un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina.

Vediamo.

Digitando su Google il nome e cognome “Miriam Camerini”, che tiene su questo nostro settimanale la sua rubrica, così apprezzata, The Rabbi is in, tra le “Informazioni” che subito compaiono si legge: «Miriam Camerini nasce a Gerusalemme la sera di Purim del 1983.»

Se poi si va a cercare a quale data corrispondesse Purim nel 1983, si scopre che era il 27 febbraio. Dunque, caspita, Signore e Signori, vènghino, vènghino e sentano bene: domani compleanno davvero importante per la nostra “Rabbi-who-is-in”!

I calcoli, tuttavia, non li facciamo (anche se il numero, “tondo”, viene da sé) oltre che per rispetto di costumatezza, perché vorremmo provare a fare un altro tipo di considerazioni.

Da qualche tempo abbiamo noi tutti, e tutte, contratto un debito di gratitudine, di riconoscenza, verso Miriam Camerini, perché – forza, riconosciamolo! – senza di lei, in Italia, apprenderemmo ancor oggi, anno di grazia 2023, poco e male della cultura ebraica. Forse pure meno di ieri. 

Certo, ci mancherebbe: specialisti e specialiste ci sono sempre stati e state, competenti e fonti sicure di conoscenza. E non certo provenienti dal solo Ebraismo. 

Pensiamo a Erri De Luca, a Claudia Milani, a Massimo Giuliani, a Brunetto Salvarani, a Daniele Garrone, a Maria Teresa Milano, a Claudia Rosenzweig, a Asher Salah, a Raniero Fontana. E pensiamo al nostro indimenticabile Paolo De Benedetti.

Festeggiamo, tuttavia, adesso, Miriam Camerini per le sue proprie capacità, contemporaneamente, artistiche e divulgative, scientifiche e di evidente prossima cordialità verso chiunque labbia incontrata, anche solo una volta, anche solo una prima e seconda volta.

Ulteriore passetto in avanti nel nostro odierno festeggiamento rodafiano per lei. Miriam non ha paura di addentrarsi nell’intrico della Legge, con la maiuscola, ma anche del diritto, con la minuscola, il diritto del nostro vivere, quel diritto che – ecco ci siamo – struttura e costruisce patti e contratti. 

Chi abbia partecipato ad uno dei suoi “Shabbat di tutti”, si accorge immediatamente di dover “ricordare”, “fare memoria”, di ciò che possiamo e non possiamo fare, di ciò che dobbiamo e non dobbiamo fare. E ne rimane come estasiato. A quanto mi costa, sarebbe il primo caso assoluto di una vera e propria estasi giuridica!

A certo utopismo, o pseudo-romanticismo, il contratto, la legge con la minuscola – non di certo Quella con la maiuscola, almeno lo speriamo – può sembrare quanto di più lontano dalla poesia e dalla grazia, dalla sapienza e dalla stessa intelligenza critica. 

Invece è esattamente il contrario.

Come facciamo a dirlo? Rivolgendoci, per un attimo od anche più di un attimo, ad una figura che ha singolari punti di contatto, persino di coincidenza, con Miriam, come abbiamo – ho – provato a dire all’interno del volume, edito da Claudiana lo scorso anno, Guardare alla teologia del futuro. Dalle spalle dei nostri giganti, a cura di Brunetto Salvarani (ecco, vedete?…) e Marinella Perroni. Cfr. https://www.claudiana.it/scheda-libro/marinella-perroni-brunetto-salvarani/guardare-alla-teologia-del-futuro-9788868983499-2250.html. Il riferimento esplicito è ad Adriana Zarri, l’eremita del Canavese (per la cronaca, a pochissimi chilometri da Bose).

Nel numero 688 di questo nostro settimanale, il 20 novembre scorso, ci siamo permessi di avanzare una proposta, piuttosto audace – ne siamo coscienti -, forse anche troppo, nell’editoriale intitolato Miriamcamerinimania pro veritate adversa diligit (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-688-20-novembre-2022/stefano-sodaro-miriamcamerinimania-contra-adversa), all’interno del quale ci figuravamo di poter guardare a Miriam – chiedendole anticipatamente scusa per l’indebita stramberia – come ad un “Istituto Secolare unipersonale”, tramite un arditissimo parallelismo con Giorgio La Pira, che forse però, adesso, 14 numeri dopo, possiamo tracciare piuttosto con Adriana Zarri, appunto, con la sua testimonianza e la sua vita. 

Prendiamo fiato.

Si diceva di contratti, norme, leggi, al plurale (non sono i Precetti, che compaiono nel favoloso volume, proprio a firma di Miriam Camerini, e con la prefazione del nostro Paolo Rumiz, per i tipi di Giuntina, Ricette e Precettihttps://www.giuntina.it/catalogo/fuori-collana/ricette-e-precetti-749.html; sono le nostre leggi quotidiane, spesso assai poco festive e da celebrare). A tal proposito merita ricordare che Adriana Zarri, analogatum princeps di questa nostra simmetria cameriniana, dovette ben contrattare per poter avere la disponibilità degli eremi dove visse – lei, da sola, senza ordini, congregazioni, comunità, o partner di qualsivoglia natura, ad eccezione di gatti, cani, oche, conigli, galline. Dovette anche uscire, per estrema, strenua, fedeltà alla propria coscienza ad alla propria vocazione, esattamente da un Istituto Secolare cattolico (si raccomanda la lettura del volume di Mariangela Maraviglia Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri, per il Mulino https://www.mulino.it/isbn/9788815287724) e reinventarsi un modo di essere e di stare nella propria vita, finalmente frutto di scelte non più in obbedienza ad autorità umane, costasse quel che costasse.

Ora: per non tirarla tanto lunga, che cosa ci viene in mente come regalo a Miriam, oggi, domenica 26 febbraio 2023, per domani, lunedì 27 febbraio, giorno del suo compleanno?

Nient’altro che l’unica cosa, ahimè, che sappiamo – so – fare. Eccola qui.


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Studio per una possibile configurazione interreligiosa dei rapporti di consulenza spirituale tra candidata al rabbinato e fedele/i laico/aI cattolico/a/i

 

Il canone 725 del codice di diritto canonico (“latino”, cioè “non orientale”) contiene la seguente previsione: Institutum sibi associare potest, aliquo vinculo in constitutionibus determinato, alios christifideles, qui ad evangelicam perfectionem secundum spiritum instituti contendant eiusdemque missionem participent

In italiano: L’istituto può associare a sé, con qualche vincolo determinato dalle costituzioni, altri fedeli che si impegnino a tendere alla perfezione evangelica secondo lo spirito dell'istituto e a partecipare della sua stessa missione.

La disposizione riguarda la particolare configurazione dei cosiddetti “Istituti Secolari”, cioè insiemi di persone che, similmente agli Ordini ed alle Congregazioni, si consacrano – con i tre voti di castità, povertà ed obbedienza – a Dio, ma, diversamente dagli Ordini e dalle Congregazioni, non si distinguono dalla vita normale ed ordinaria di qualunque persona, abitando in normali appartamenti, svolgendo un normale lavoro, non indossando alcun abito diverso, non facendo necessariamente vita di comunità. Tali “Istituti Secolari” possono associare a sé, come si esprime il canone sopra, altri fedeli, che però non variano la propria condizione, pur associandosi appunto a questi Istituti. Simile possibilità di “associazione” è, in ambito cattolico, propria soltanto di tali “Istituti” e non di altre istituzioni.

Ovviamente la norma riguarda solo ed esclusivamente chi, battezzato/a, appartenga alla Chiesa Cattolica e dunque sia soggetto/a all’ordinamento canonico.

Tuttavia appare possibile declinare il testo della stessa norma variando alcune parole.

Per esempio, si potrebbe scrivere: Quilibet homo alterius religionis sibi associare potest, aliquo vinculo in contractu determinato, alios christifideles, qui ad religiosam perfectionem secundum spiritum personae illius contendant eiusdemque munus participent.

In italiano diverrebbe: Qualunque persona di diversa religione può associare a sé, con qualche vincolo determinato in un contratto, cristiani che si impegnino a tendere alla perfezione religiosa secondo lo spirito di quella persona e a partecipare del suo stesso incarico.

Da tempo alcuni autori cristiani – anzi, proprio cattolici, quantunque “sui generis”, tra cui, ad esempio, Antonietta Potente, od anche Raimon Panikkar – hanno elaborato una accezione di “vita religiosa” che si smarchi della necessaria presenza dei tre voti tradizionali e che invece metta al centro della propria specificità un’attitudine al sacro ed alla condivisione, alla solidarietà umana, del tutto a prescindere da strutture di riferimento e/o da scelte strettamente personali, intime, quasi private (come la povertà ed il celibato), che non sarebbero più, in tali elaborazioni, contenuto qualificante della “vita religiosa”, la quale, dunque, potrebbe presumibilmente estendersi alle diverse esperienze religiose di altre fedi.

In base alla ricostruzione proposta sopra, un/a candidato/a al rabbinato, tale secondo l’appartenenza confessionale all’Ebraismo e le relative norme e discipline, potrebbe dunque – a norma di legge canonica cattolica e stabilendo specifiche previsioni contenute in un apposito contratto – divenire punto di riferimento spirituale (con la correlata necessità di capire, peraltro, cosa sia “spirituale” e cosa “materiale”, ammesso e non concesso che una tale distinzione sia possibile, indistinzione che appare invero acquisita ormai anche dalla teologia cattolica…) per un/a cattolico/a che lo desideri, con una intensità nondimeno tutta peculiare, in quanto propria, per analogia, del possibile legame tra un/a laico/a cattolico/a ed un membro di Istituti Secolari.

Esistono ulteriori possibilità a norma di diritto canonico latino.

Ad esempio, il primo paragrafo del canone 603 [1] riporta: Praeter vitae consecratae instituta, Ecclesia agnoscit vitam eremiticam seu anachoreticam, qua christifideles arctiore a mundo secessu, solitudinis silentio, assidua prece et paenitentia, suam in laudem Dei et mundi salutem vitam devovent. Tradotto in italiano: Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.

Si tratta del riconoscimento dell’eremitismo, che costituisce una novità assoluta per il codice (come costituirono novità assoluta i sopra menzionati “Istituti Secolari”, che Pio XII riconobbe solo nel 1947 - mentre il codice previgente era del 1917, e quello attuale è del 1983 -).

Anche nel caso del primo paragrafo del canone 603 basterebbe sostituire la parola “christifideles” con “homines” e probabilmente la norma apparirebbe adatta anche ad altre esperienze religiose, trattandosi poi “solo” di capire come vada interpretata quella “più rigorosa separazione dal mondo” e quella “penitenza”, termini che compaiono nella formulazione letterale della norma e che abbisognano senz’altro di spiegazioni.

Ad esempio, potrebbe accadere che un eremita, come precisamente definito dalla stessa norma (paragrafo 1), divenga candidato al presbiterato cattolico ed un (o una) “eremita”, in senso invece analogico rispetto al testo di quel paragrafo e dunque non in senso cattolico, sia candidato/a al rabbinato. Anche in tal caso si creerebbe un singolare raccordo tra i due percorsi e le due esperienze, senza interferire nelle diverse discipline ed appartenenze. Vale a dire che l’eremita cattolico/a riconoscerebbe nel percorso del/la candidato/a al rabbinato un’esperienza di grande significato per la sua stessa scelta di vita.

 

Nota

[1] Il secondo paragrafo del canone 603 riporta invece la professione dei tre voti – o delle tre promesse, di castità, povertà ed obbedienza - nelle mani del vescovo diocesano, con ciò configurando l’eremita come vero/a e proprio/a consacrato/a a norma di diritto. Il secondo paragrafo, proprio per la sua peculiarità confessionale, non appare invece riscrivibile in senso ecumenico o “interreligioso”.

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Il regalo di Rodafà a Miriam Camerini per il suo importante compleanno si ferma qui, è tutto qua. Poca roba. Magari anche assai poco attraente. Forse anche piuttosto bruttina. 

Le chiediamo ancora scusa.

Ha scritto di lei Concita De Gregorio nel 2019: Ho seguito la musica, come nella favola del Pifferaio, e mi sono trovata di fronte a una ragazza magica piena di capelli, di occhi, di sorrisi e di mani che, vestita di verde, cantava in ebraico melodie a me ignote con voce potente e antica. Sono rimasta fino alla fine, incantata. (cfr. https://donfrancobarbero.blogspot.com/2019/11/concita-de-gregorio-ho-conosciuto-il.html).

Eppure Miriam è sideralmente aliena da qualsiasi leaderismo carismatico. E noi cerchiamo significato, senso, capacità di far domande dentro le nostre storie e gli eventi che viviamo, senza stancarci mai, come ci insegna lei.

Dunque cosa accadrebbe se – in questi tempi, di arrivo di nuovi vescovi, di caduta degli dei dallempireo di presunti maestri spirituali e di moniti papali proprio – manco lo avesse fatto apposta per noi, tu guarda – sulla natura delle contrattazioni patrimoniali della Santa Sede (https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20230220-il-diritto-nativo.html), cosa accadrebbe, di questi tempi, se per davvero un contratto come quello ipotizzato sopra venisse stipulato? 

Siamo al delirio fanta-canonistico? Probabile. Non lo escludiamo. Ma il futuro è di coloro che son sempre stati additati come “matti”. A Trieste ne sappiamo qualcosa.

Fermiamoci, abbiamo sproloquiato a sufficienza.

Che dire?

Tantissimi auguri, Miriam, Buon Compleanno! 

E grazie di esserci.