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Dettaglio della vetrata della Cattedrale di Chichester, Marc Chagall - immagine tratta da commons.wikimedia.org





Pasqua di Risurrezione


di Dario Culot


Sapete innanzitutto perché la data della Pasqua cambia ogni anno mentre il giorno di Natale resta fisso al 25 dicembre? Perché, per la Chiesa di Roma, la Pasqua cade la prima domenica dopo il primo plenilunio successivo al 21 marzo,[1] che segna l’inizio della primavera, e visto che un ciclo lunare dura 28 giorni, Pasqua può spostarsi di quasi un mese nel calendario (fra marzo e aprile). Poi, se aggiungiamo altri 39 giorni dopo Pasqua avremo l’Ascensione, se ne aggiungiamo 49 da Pasqua avremo la Pentecoste.

Cominciamo col dire che la resurrezione non è una novità cristiana: il dio egiziano Osiride era stato assassinato da Seth, ma poi era risorto[2]. Analogamente il greco Dionisio, dio del vino, era stato assassinato dai Titani ma poi anche lui era rinato.

Si narra che anche Apollonio di Tiara, oltre a fare esorcismi e guarigioni, fece una resurrezione[3]. L’abbinamento morte-resurrezione è talmente compenetrato nella cultura popolare, che spesso ci viene presentato sotto varie forme, e noi le ripetiamo senza neanche accorgercene: si pensi solo alle favole di Cappuccetto Rosso o di Biancaneve, che terminano entrambe con la morte della protagonista e la sua pronta risurrezione. Per non dire poi che la stessa primavera è il momento in cui risorge una natura che sembrava morta. L’idea di risurrezione dunque è ben radicata nella nostra cultura.

Ora, il giorno di Pasqua, sia in oriente che in occidente, si celebra la risurrezione di Gesù, e l’idea più comune, ma anche più banalmente rozza, dice che Gesù, ormai cadavere, sarebbe ritornato alla vita terrena, per ascendere in cielo col suo corpo fisico dopo altri 40 giorni.

Il n. 643 del Catechismo dice che «è impossibile interpretare la risurrezione di Cristo al di fuori dell’ordine fisico», cioè materiale. Questo vuol dire che il suo corpo ha ripreso a funzionare come prima della crocifissione.

Oggi però sappiamo che quando cervello, cuore, e altri organi fondamentali sono deteriorati, farli tornare perfettamente funzionanti implicherebbe una sovversione delle leggi di natura[4]. Perciò è difficile credere a questa immagine della tomba che dopo tre giorni si scoperchia e Gesù, da perfetto morto che era, si alza in piena forma, esce e riprende tutto pimpante il suo ritmo precedente di vita. La nostra esperienza c’insegna che nessun uomo ha mai assistito al ritorno in vita sulla terra di persone defunte,[5] e che neanche Dio, che pur la Chiesa definisce onnipotente, neanche Lui può fare in modo che le cose fatte su questa terra non siano mai state fatte. Se mi scontro con un’altra auto, non è che Dio riavvolge il nastro della mia vita, mi riporta a un attimo prima dello scontro sì che questa seconda volta posso evitarlo. Se muoio nello scontro, resto morto.

In effetti, lo stesso Catechismo, dopo aver esposto vari indizi per confermare la risurrezione fisica di Gesù, al n.648 deve ammettere che la risurrezione trascende la nostra condizione terrena; ma questo significa che se la storia di ciascuno di noi finisce con la morte, la risurrezione non può essere un ritorno alla storia, che fa parte dell’immanenza. Dunque l’eventuale risurrezione può anche essere un evento reale, ma è post-storico, fa parte della trascendenza, ambito per noi sconosciuto e non dimostrabile. Perciò, ci si può credere solo per fede,[6] non fornendo un ragionamento convincente e risolutivo. Ciò solo implica che non è possibile parlare di risurrezione senza essere presi da vari dubbi. Appartenendo all’ambito trascendente la risurrezione non è una questione da risolvere a livello storico,[7] né si dimostra come un problema di geometria o di matematica col ragionamento, ma è qualcosa cui si può credere solo attraverso la fede della comunità. Ma allora, di fronte alla perentorietà di certe affermazioni magisteriali, verrebbe da rispondere come il giornalista Henry Mencken: “La fede si può succintamente definire come una credenza assurda nell’eventualità dell’improbabile”[8].

Ora, se Gesù fosse uscito dalla tomba all’insaputa di tutti sarebbe stato un ritorno alla vita, e la prova storica di un cadavere redivivo che torna fra i suoi discepoli avrebbe dovuto far esplodere una gioia incontenibile. Pensiamo a tutti i casi in cui, in guerra, uno viene dato per morto e poi improvvisamente riappare vivo e vegeto. Tutti fanno festa. E tutti coloro che lo davano per morto possono vederlo vivo e vegeto. In altre parole, la crocifissione è stata pubblica, l’asserita risurrezione, no. Ovvio, quindi, che sorgano dubbi.

Allora, la prima cosa che mi viene da dire – a conferma delle frequenti incongruenze nell’insegnamento magisteriale - è che, se il giorno di Pasqua si sente proclamare in chiesa: “Fratelli, noi oggi siamo nella gioia del Signore, perché Cristo è risorto!”[9] troppo spesso, dicendo e sentendo queste parole, sia il celebrante che gli astanti hanno delle facce così tristi, ma così tristi, che fanno pensare a tutto, tranne che a un’incontenibile gioia. Chi va in chiesa in questi giorni vede un susseguirsi di funzioni liturgiche nei diversi giorni della Settimana Santa, un succedersi di riti, di preghiere, ma gioia, assai poca, anche nel giorno di Pasqua.

La gioia implica saltare di entusiasmo, come quando la nostra squadra del cuore ha segnato il goal decisivo. Quando si passa per strada e la nazionale italiana segna, si sente un boato arrivare da tutte le case.

Nulla di questo succede a Pasqua, che spesso viene ridotta a un mero rito.

Ora, i riti sono necessari perché cadenzano la nostra vita. Ma la ripetizione rituale facilmente crea assuefazione, abitudine, stanca routine, col che il rito stesso si svuota sempre di più di valore e, benché fedelmente celebrato, perde lentamente di significato: è ripetuto, ma non è vissuto[10]. Questo si vede spesso nella nostra Pasqua. E forse per questo, assai pochi credono veramente a quanto insegna il magistero (“oggi siamo nella gioia del Signore, perché Cristo è risorto!"). D’altra parte, come scrive san Paolo (1Cor 15), la risurrezione è centrale nel cristianesimo, altrimenti tutto è vano. Perché è essenziale credere? Perché Gesù è venuto a liberarci dalla morte. Cristo ci ha dato il senso definitivo alla vita, chiarendoci che il destino dell’uomo è partecipare alla vita di Dio, diventare dèi (Gv 10, 34). I cristiani devono volere questa vita salvata nel regno di Dio, non un’altra vita. La cosa più grande che abbiamo come esseri umani è proprio la nostra condizione umana, quando è vera umanità liberata dalle inumanità che ci accompagnano per tutta la vita. Ed è nella risurrezione che tale umanità, liberata dalle schiavitù, raggiunge la sua pienezza[11]. Ci viene prospettata una speranza non dappoco.

È anche vero, però, che l’unico dato certo di partenza è che l’avvenimento non è stato visto da nessuno, sì che nessuno ha potuto descrivere in maniera convincente le sue modalità. Quindi non esiste alcun resoconto storico, di cronaca. Pertanto, più verosimile e appropriato mi sembra il finale originale del vangelo di Marco (in seguito integrato[12] perché il vangelo non poteva finire in un modo così poco trionfale): «Esse (cioè le donne recatesi alla tomba di Gesù) uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16,8). La constatazione del sepolcro vuoto è apparsa alle donne come una nuova disgrazia, non come un dato significativo della risurrezione (Lc 24, 3s.)[13]. Ecco, davanti a un fatto che sfugge al nostro controllo, questa mi sembra la reazione più umana, confusione e paura; e poi anche il silenzio (pur unito a un filo di speranza, quando ci si ferma a meditare sul punto) sembra effettivamente anche la cosa più logica da opporre quando ci prospettano con tanta sicumera l’avvenuta risurrezione in anima e corpo come fosse un dato accertato. Mi torna in mente la testimonianza dell’abbé Pierre[14] quando diceva che il vero “credente non fa mostra del suo credere, se non richiesto esplicitamente e sempre con umiltà; e non punta sull’ostentazione della fede che invece, se è vera, si sottopone al vaglio del dubbio o del confronto scomodo con le molteplici diversità”.

Va comunque ricordato che non siamo tenuti a credere almeno a una delle varie modalità della risurrezione che abbiamo sentito raccontare, perché alla fine della vita saremo giudicati sull’amore (cfr. il giudizio finale di Mt 25, 31ss.) e non se abbiamo creduto che il sepolcro di Gesù era vuoto il terzo giorno. Questo non è un dogma di fede. Quindi potremmo finire già qui il discorso. Chi crede, crede; chi non crede, non crede: entrambi hanno buone ragioni. Ma siccome siamo a Pasqua cerchiamo di capire qualcosina in più.

Ci è stato insegnato che la risurrezione è avvenuta il terzo giorno. Nella cultura ebraica, in effetti, la morte avveniva al terzo giorno, quando s’incominciava a perdere i tratti fisionomici e a puzzare[15]. Inoltre il terzo giorno aveva una valenza teologica in quanto indicava gli interventi di Dio a favore del suo popolo: ad esempio, in Osea è il giorno dell’azione definitiva di Dio (Os 6, 2); in Es 19, 11-16 è il giorno della manifestazione della gloria di Dio. Quindi anche la morte di Gesù per Pasqua non è un’indicazione cronologica, ma teologica, come risulta ben chiaro dal passo di Marco 14, 9 (che vedremo subito). Anzi, cronologicamente se Gesù è morto il venerdì pomeriggio (Gv 19, 31), e Maria Maddalena trova la tomba vuota domenica mattina (Gv 20, 1), non sono affatto passati tre giorni: contateli pure come volete, ma neanche se li stirate vengono fuori questi tre giorni, perché 3 giorni significano 72 ore, mentre qui non arriviamo a 48.

Per l’appunto in Mc 14, 9 (l’unzione di Gesù da parte di una discepola anonima, nella casa del lebbroso Simone, con gran quantità di costosissimo nardo) si legge: «In verità io vi dico, dovunque sarà proclamato il vangelo per il mondo intero in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto». C’è un solo gesto, cioè, in tutto il vangelo che Gesù chiede venga ricordato a beneficio di tutti i posteri. L’unico gesto che Gesù vuole venga ricordato è questo di una donna anonima. Perché? Perché questo gesto indica la sua risurrezione. Come sarebbe a dire? Come può la comunità rendere presente Gesù nella storia? Proprio come se fosse un profumo che si espande nella casa e che tutti possono percepire, e questo avverrà più facilmente quando la comunità intera sarà pronta a spendere la vita per gli altri, in piena imitazione di Gesù. Da notare che Marco afferma che quella donna è entrata nella casa di Simone, il che sottintende che non apparteneva al gruppo dei discepoli più stretti che già erano con Gesù in quella casa e che s’indignano per lo spreco (come Giuda, in Gv 12, 4-5); quella donna anonima[16] sta seguendo Gesù, e non si identifica affatto con la comunità rappresentata da Pietro e gli altri apostoli. Quindi Marco ci sta dicendo che questa donna sta rappresentando un gruppetto di discepoli che ha capito quello che Gesù sta per fare (sta per morire), è pronto a condividere la sua stessa sorte perché sono ormai in grado di vivere il messaggio radicale che Gesù ha trasmesso con la sua vita, cosa che Pietro e gli altri apostoli non hanno ancora capito.

In Palestina, mentre i sadducei non credevano alla risurrezione, i farisei ci credevano,[17] ma credevano anche che sarebbe avvenuta alla fine dei giorni, e quest’idea è giunta fino a noi, nel senso che molti credenti pensano che la resurrezione ci sarà, ma solo alla fine dei tempi. Nel frattempo aspetteremo tutti in… non si sa dove, né in che modo: spero non da svegli, perché immaginate altrimenti che noia mortale per chi aspetta il paradiso per millenni, e quale angoscia per chi si aspetta la condanna definitiva all’inferno. In realtà, che nessuno possa dire qualcosa con certezza è ovvio, appunto perché si tratta di un ambito trascendente. Ma razionalmente non si capisce per quale motivo Gesù avrebbe dovuto restare morto per tre giorni prima di risorgere: o è risorto o non è risorto. Del resto Gesù, quando parla di resurrezione, non ne parla mai come ce ne ha parlato la religione, come un premio al futuro, non dice: “chi crede in me avrà la vita eterna”, ma “chi crede ha già una vita di una qualità tale che è indistruttibile”, cioè noi non ci accorgeremo dell'esperienza della morte biologica (Gv 11, 25s.). Insomma, viene il dubbio che se Maria Maddalena fosse andata la mattina dopo alla tomba di Gesù (cioè di sabato mattina, e non ci è andata per rispettare il riposo del sabato ebraico) l’avrebbe già trovata vuota. Da notare che neanche la Maddalena crede che Gesù è risorto perché trova un sepolcro vuoto;[18] crederà soltanto quando riuscirà ad incontralo vivo e vivificante nella propria vita (Gv 20, 16). Nessuno può credere alla presenza di Gesù resuscitato se non lo si incontra vivente, vivificante.

E allora, a questo punto, è sufficientemente chiaro che i tre giorni non devono essere intesi in senso cronologico, ma in senso teologico per far capire che la morte – che dopo tre giorni doveva essere certa e incontestabile,- non ha minimamente sfiorato Gesù, per cui egli ha superato indenne la soglia della morte biologica, e questa è stata l’azione definitiva salvifica di Dio. La risurrezione è, in altri termini, la trasformazione creativa della vita: si nasce una seconda volta in una forma che prima non esisteva; non siamo davanti alla rianimazione di un cadavere che torna alla vita precedente, per cui Gesù ha, sì, continuato a vivere, ma in una nuova forma, trascendente, e quindi fuori della storia, del tempo e dello spazio. È diventato un essere nuovo, anche se non sappiamo in cosa consista questa nuova situazione. Cancelliamo quindi l’idea del cadavere redivivo. Lo stesso Papa Benedetto XVI ha riconosciuto che la resurrezione di Cristo non è da intendersi in senso biologico[19].

Sappiamo dai vangeli che la morte terrena di Gesù ha lascato i discepoli delusi e scoraggiati; evidente che con la morte del loro maestro erano convinti che tutto fosse finito e che non ci fosse più alcuna speranza tanto che hanno iniziato a disperdersi[20]. Poco dopo, però, li troviamo completamente trasformati, e capaci perfino di affrontare la morte senza paura. Anche per loro è cominciato un processo di trasformazione, anche loro sono diventati esseri nuovi. Cosa è veramente successo non si sa, soprattutto perché al primo incontro col risuscitato erano anche loro pieni di dubbi (cfr. la reazione al primo annuncio di Maria Maddalena: Gv 20, 2ss.; o la reazione di Tommaso: Gv 20, 25). Tutto quello che possiamo dire è che qualcosa deve essere accaduto per convincerli che Gesù continuava a vivere. Sappiamo solo che, dopo Pasqua, gli apostoli hanno cominciato a vedere Gesù in maniera nuova e inattesa, e la libertà – che aveva mostrato da vivo su questa terra,- è diventata “contagiosa” tanto che i discepoli hanno cominciato a raccontare la storia di un uomo libero che li ha resi liberi e fiduciosi.

Già agli inizi del cristianesimo il pagano Celso aveva logicamente obiettato che questa storia della risurrezione è un favola adatta a imbrogliare i creduloni: quando l’han messo in croce l’hanno visto tutti; se fosse veramente risorto avrebbe dovuto essere visto da quelli che l’avevano condannato; invece è apparso solo a una donna indemoniata[21] e a pochi altri della propria congregazione[22]. Questa è indubbiamente un’argomentazione razionale di peso. Ma va osservato che gli apostoli sono stati quasi tutti martirizzati. Ora è impossibile giocare la propria vita su un inganno ideato in mala fede, che poi non avrebbe portato agli apostoli neanche uno di quei vantaggi di potere personale cui aspiravano quando avevano seguito Gesù in vita: non sono diventati ricchi, non sono diventati potenti; eppure, il messaggio di amore servizievole, che non avevano accolto quando Gesù era in vita, l’hanno accolto dopo che era morto.

Ora, è anche vero che se uno è fanatico è disposto anche a morire per le sue idee (come gli odierni kamikaze che si fanno esplodere in giro per il mondo), e per noi il suo sacro zelo non è affatto prova della veridicità delle sue convinzioni[23]. Qui, però, al momento notturno dell’arresto del loro maestro, erano tutti scappati a gambe levate, nessuno di essi aveva osato seguirlo sotto la croce,[24] e tutti impauriti e con la coda fra le gambe erano rimasti rintanati nel cenacolo per più giorni. Non c’era nessun fanatico fra i discepoli. Insomma, neanche Celso sa spiegare come la comunità cristiana è riuscita a ripartire in così poco tempo dopo la catastrofe del venerdì santo. Chi o cosa le ha dato la convinzione e l’energia? Ricordiamo che in tutti gli altri casi in cui dei patrioti si erano spacciati per l’atteso Messia, la violenta reazione dell’autorità costituita aveva portato alla morte del ‘messia’ rivoltoso e alla dispersione sempre definitiva del suo gruppo di seguaci (At 5, 36-37).

Come detto, cosa è veramente successo non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Alla ricerca di prove storiche, il magistero batte molto sulle testimonianze, e fa bene perché non ha in mano molte altre carte. Le narrazioni pasquali, comprese le narrazioni di apparizioni, sono espressioni di fede profonda dei discepoli in Gesù. Esprimono la convinzione profonda che lui continua a vivere. Ma è perfettamente chiaro che la fede nella risurrezione comporta, in definitiva, un’«interpretazione» che i discepoli hanno dato a sé stessi nel ripensare alle esperienze delle proprie visioni del Risorto. Perché, se parlando del Risorto, stiamo parlando del Cristo che già ci trascende, e pertanto non sta alla nostra portata (n.648 del Catechismo), per ciò stesso il Risorto dipende inevitabilmente dall’«interpretazione» che noi stessi diamo alle nostre esperienze di fede. Non dico che il fatto che Gesù continui ad essere il Vivente senza fine non sia reale. Però si tratta di una realtà che noi interpretiamo come tale mediante la fede[25]. È chiaro allora che i racconti dei testimoni della risurrezione sono interpretazioni di esperienze terrene vissute dai discepoli,[26] dove le parole non bastano per spiegare compiutamente l’accaduto nella sua materialità fisica. E oggi noi, a nostra volta, dipendiamo dalla testimonianza di quei testimoni lontani che hanno percepito il Signore risorto: dando credito alla serietà di quelle testimonianze anche noi crediamo a tale risurrezione[27].

Quindi, è storica l’esperienza o il vissuto della risurrezione, ma non la risurrezione in sé stessa[28]. Ciò vuol dire che la comunità originaria la quale ha cominciato a radunarsi per celebrare l’uomo crocifisso che Dio ha risuscitato, ha lasciato una discendenza. E a chi sostiene che è assurdo riporre la certezza in testimonianze di uomini, si può ribadire che lo facciamo in continuazione: nessuno è certo di essere figlio dei propri genitori, o che quello con cui abbiamo giocato fin da piccoli è nostro fratello (e qualche volta oggi – essendo possibile l’esame del DNA, - si scopre che quanto ci è stato detto non era vero); ma nella maggior parte dei casi ci crediamo senza prove scientifiche. Crediamo per fede.

Come aveva scritto il cardinal Martini (Ilsole24ore dell’11.4.2009), con gli occhi della fede crediamo che lo Spirito Santo è sceso con tutta la sua potenza divina sul cadavere di Gesù. Lo ha reso «spirito vivificante» (cfr. Rm 1,4). È stato come uno scoppio di luce, di gioia, di vita. Là dove c'era un corpo morto e una tomba senza speranza è iniziata un'illuminazione del mondo che dura ancora oggi. La risurrezione è poi necessariamente legata alla salvezza definitiva che procede da Dio e che solo Dio concede. Credendo nella risurrezione è possibile pensare che l’idea dell’Uomo, che già era presente nel progetto iniziale di Dio (Gv 1, 1), è tale che Dio ci ha pensati e ci penserà sempre[29]. L’uomo viene da Dio ed è chiamato ad andare a Dio. Se Dio ci avesse creato per poi farci scomparire per sempre, l’uomo sarebbe stato solo il suo giocattolino nuovo,[30] di cui si è presto stancato. Non siamo destinati a scomparire, come noi pensiamo siano definitivamente scomparsi i dinosauri. Quindi noi rafforziamo la testimonianza di persone che hanno dimostrato di credere in maniera credibile prima di noi, perché sul punto hanno giocato la propria vita, con in più quella speranza trascendentale nella risurrezione, accesa dallo Spirito. La nostra aspirazione è che la vita abbia un senso[31]. E cosa possiamo immaginare speranzosamente? Che l’amore prevale sulla morte; che la creazione di bellezza non perirà, nel senso che ciò che di buono c’è stato nella nostra vita verrà trasfigurato. L’impropria frase che parla della risurrezione della carne forse vuol dire che tutta la nostra persona, compresa la nostra debolezza, sarà trasfigurata. Anche avere amato nel peccato, verrà purificato nel regno di Dio.

Piuttosto significativa, nei racconti evangelici, è questa continuità fra vita terrena immanente e vita trascendente, in quanto essa si manifesta in entrambi i casi con un’esperienza di convivialità. Gli evangelisti ci stanno dicendo che è nella convivialità umana che Dio (il Dio di Gesù) si fa sempre presente: ciò è avvenuto col Gesù terreno e si ripete col Gesù risorto. E allora i pranzi del Risorto con i suoi discepoli (Lc 24, 41; Gv 21, 12s.), sembrano suggerirci, per prima cosa, che i discepoli sono convinti che quel Gesù risorto che essi hanno percepito (visto? sentito?) è la stessa persona di prima e la sua vita continua anche se Gesù è entrato in una nuova vita senza poter veramente tornare al proprio passato terreno, nella storia immanente. È vero che se interpretiamo i nostri ricordi un estraneo potrebbe dirci che stiamo creando dei fantasmi: quindi sarebbero gli apostoli ad aver fatto tornare Gesù vivo nel loro pensiero. Ma proprio per cercar di dimostrare di non aver visto un fantasma, una mera illusione del pensiero, gli apostoli testimoniano che Gesù mangia con loro del pesce (Lc 24, 42s.): questo vuol dire, fra l’altro, che la mera apparizione iniziale non era bastata per convincerli della risurrezione: probabilmente all’inizio anch’essi pensavano a un’allucinazione, a un fantasma[32].

Avevano appunto dei dubbi come noi. Con il pranzo condiviso vogliono invece farci intendere che, a un certo punto, erano sicuri di non essere davanti a un’allucinazione, di non aver visto un fantasma. Questi pranzi non si devono però interpretare alla lettera. Parlando di pranzi, l’evangelista ci vuol semplicemente dire che i discepoli hanno avuto un'esperienza in base alla quale si convincono che il Gesù che si presenta davanti a loro è lo stesso Gesù che era stato crocifisso, solo che adesso è vivo. I discepoli hanno avuto un'esperienza reale, ma le parole per descriverla erano completamenti inadeguate. Si tratta di un'esperienza interiore che i discepoli considerarono altrettanto vera e anche più reale di quando egli mangiava e beveva fisicamente con loro[33].

In secondo luogo, i vangeli mettono in chiaro che si fa esperienza del Risorto solo attraverso un’esperienza umana, terrena: non c’è altra maniera per stabilire una relazione con il Risorto trascendente[34]. Non c’è alcun contatto extrasensoriale, non c’è alcun medium che invoca lo spirito del defunto, non c’è alcun sogno notturno. Per rimarcare questa concretezza terrena gli evangelisti si richiamano ai sensi: vedere, udire, toccare. Quello che possiamo razionalmente pensare è che, se Gesù sta in Dio, necessariamente continua a vivere, perché Dio è vita, a prescindere dal fatto che Gesù sia lui stesso Dio o solo uomo. Ma è anche evidente che questa presenza, che – come ho già detto – trascende la nostra condizione storica, non è percepibile se non attraverso la fede. Ecco perché correttamente si può e si deve tranquillamente dire che Gesù risorge nella fede dei discepoli. La fede nella risurrezione comporta, cioè, l’«interpretazione» che i discepoli hanno dato a sé stessi nel ripensare alle esperienze da loro fatte non solo del vivo, ma anche del risorto. Perché, se parlando del Risorto, stiamo parlando del Cristo che già ci trascende e, pertanto non sta alla nostra portata, per ciò stesso il Risorto dipende inevitabilmente dall’«interpretazione» che i discepoli - ma anche noi stessi,- diamo alle nostre esperienze di fede.

Nei racconti evangelici risulta realisticamente anche una frammentazione, cioè una varietà del modo con cui tanti sono giunti alla loro interpretazione della risurrezione. Non tutti hanno creduto nello stesso tempo e nello stesso modo. I discepoli di Emmaus,[35] Tommaso[36] e Maria Maddalena[37] vedono Gesù prima di credere alla risurrezione[38]. Altri, invece, già credevano quando hanno visto il risorto. Altri ancora credono senza vedere mai nulla. Giovanni in effetti dice: “beati quelli che crederanno anche senza vedere” (Gv 20, 29). Sembra che per lui le apparizioni del Risorto siano per gli increduli, i testardi e i duri di testa. Ad esempio Maria, che ha seguito il figlio fin sotto la croce, «che ha sperato contro ogni speranza» (Rm 4, 18), non ha bisogno di “prove” per credere che il figlio è più vivo che mai; non ha bisogno di conferme. Lo sa. Lo sente[39]. Maria non ha bisogno di un ulteriore segno tangibile per poter credere (Gv 6, 30); lei, ormai grande nella fede, crede e diventa così segno per gli altri[40]. Perciò, stando alle Scritture, a lei Gesù non appare mai.

In Giovanni, Gesù risorto appare nel cenacolo, mentre in Matteo appare su un monte in Galilea: ora se Gesù risorto poteva avere il dono dell’ubiquità, i discepoli no. Inoltre nei vangeli ci sono tantissime altre contraddizioni fattuali: quante persone (o angeli) erano presenti alla tomba scoperchiata? si trovavano dentro o fuori del sepolcro? In piedi o sedute? Ogni vangelo dà indicazioni diverse. È chiaro quindi che gli evangelisti, intrisi di una cultura dove mitologia e realtà erano entrambe attendibili, sicuramente ritenevano che a Dio tutto è possibile. Però dobbiamo anche tener presente che i vangeli non vogliono trasmetterci delle accurate cronache storiche, quanto delle verità teologiche valide per i lettori di tutti i tempi. Perciò i dettagli diversi che oggi ci mettono in sospetto sulla veridicità di un racconto, non avevano importanza per gli evangelisti. E cosa, allora, possiamo trarre oggi dai racconti frammentari e anche discordanti?

Forse, a differenza del n.643 del Catechismo, si può dare anche un’altra spiegazione della risurrezione. Dal racconto dei diversi modi di credere si può trarre la conclusione che non è necessariamente vero e degno di fede solo ciò che si tocca e si vede. Se Gesù fosse uscito con le sue gambe dalla tomba, saremmo davanti a un cadavere redivivo, ma non a una risurrezione. Invece quand’anche il suo corpo fosse rimasto nella tomba, non per questo, Gesù, sarebbe meno risuscitato. È cioè risuscitato per quello che egli rappresenta e suscita[41]. La risurrezione può cioè essere intesa come reale non per la sua materialità tangibile, ma nella misura in cui è riuscita ad agire sulla nostra realtà terrena modificandola, instaurando nel nostro mondo una nuova creazione, un nuovo modo di vivere; perciò non si tratta di credere a posteriori in base a una severa ricostruzione cronologica e storica dei fatti, ma di credere a priori guardando ai frutti lasciati da Gesù[42]. Il granello di frumento deve cadere a terra, marcire (cioè morire) e solo allora rinasce in altra forma producendo molto frutto (Gv 12, 24). Anche il seme, a modo suo, risorge in una nuova forma.

Visto poi che la parola greca usata per risuscitare significa risvegliarsi, ma anche rialzarsi, possiamo dire che Gesù è risuscitato molto prima di Pasqua, già all’inizio della sua missione, perché ‘risuscita’ quando comincia a predicare, a proclamare la Buona Novella, a guarire. Facendo così si è risvegliato alla verità e si è rialzato per divulgare questa verità e per permettere ad altri di accedervi. La Pasqua, perciò, sintetizza in un unico momento finale ciò che ha caratterizzato tutta la vita missionaria di Gesù. Anche noi risuscitiamo quando ci risvegliamo alla verità e ci rialziamo per condurre una vita migliore, più umana, togliendo pian piano l’in-umano che c’è in noi. E questo avviene sempre per un intervento di Dio perché è Dio che ci risveglia come ha risvegliato e fatto rialzare anche Gesù[43]. Ecco allora che si può dire che da morti che eravamo siamo stati già risuscitati (Ef 2, 6: «ci ha risuscitati»). Senza essere ancora defunti, coloro che danno adesione a Cristo sono già risuscitati (Col 2, 12: «Siete stati sepolti con lui nel battesimo, nel quale anche siete risuscitati»). E Giovanni scrive di Gesù: «Se uno osserva la mia parola non morirà mai» (Gv 8, 51), e «sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3, 14). Tradotto in altre parole, Gesù ha operato la salvezza mostrandoci che vivendo il suo stesso stile di vita viviamo da viventi, cioè da risorti[44].

Ebbene, viste le cose in quest’ottica, si può forse capire anche il senso dell’affermazione, ripetuta nel Nuovo Testamento, secondo la quale Gesù, con la forza della Spirito e mediante la risurrezione dei morti, «fu costituito Figlio di Dio e Signore» (Rm 1, 4; Eb 1, 5 e 5, 5; At 13, 33). Non si tratta del fatto che, passando attraverso la morte-risurrezione, Gesù ha realizzato un cambiamento ontologico del suo essere, trasformandosi da «essere umano» terreno in un «essere divino» in cielo. Forse con umiltà intellettuale e realismo possiamo dire che, mediante la risurrezione, Gesù è la pienezza dell’umano per sempre, il Vivente definitivo nel quale la condizione umana raggiunge la sua stabilità per sempre e senza limitazione alcuna. E inoltre, grazie alla sua risurrezione sappiamo pure che questa stessa condizione è alla nostra portata. Questo è forse un modo più ragionevole per rendere intellegibile ciò che la teologia ha da sempre formulato con termini più complicati e difficili da intendere, quali la «divinizzazione» o la «glorificazione»[45].

Se Gesù ha raggiunto la piena umanità e cancellato ogni accenno di in-umanità (con cui noi conviviamo), lo ha fatto spendendosi fino alla fine per gli altri, con l’amore verso tutti e con la condivisione. Non si può produrre vita senza dare la nostra. La nostra fede è povera, e viene spesso rappresentata come una piccola candela. Nella notte del sabato pasquale si usava appunto portare la propria piccola candela per accenderla col grande cero pasquale. Ecco che la candela è simbolo di risurrezione perché mentre si consuma a morte, dà luce.

È chiaro anche che, quanti non sono capaci di condividere il pane con l’affamato, non riusciranno mai a credere nel Gesù risorto, che è riconoscibile soltanto – come scriverà Luca nell’episodio di Emmaus (Lc 24, 30) – nello spezzare il pane. Quindi la risurrezione è un monito molto severo contro l’indifferenza, e contro la ricchezza usata solo per sé stessi.

In effetti c’è quest’altra cosa strana da sottolineare: agli apostoli si cercava d’impedire di parlare di Gesù risorto sotto minaccia di sanzioni (At 4, 2-21; 5, 17-42). È facile che oggi chi parla di questo argomento non ottenga un grande ascolto;[46] ma venir perseguito? Non se ne capisce la ragione. Ma come è stato ben spiegato, affermare che Gesù vive e che è il Vivente per eccellenza, in definitiva, è lo stesso che dire alla gente che Dio ha dato (e continua a dare) ragione a Gesù, e torto a coloro che lo ammazzarono. Quando i primi cristiani affermavano: «Dio lo resuscitò» (At 2, 24-32; 3, 15-26; 4, 10; 5, 30; 10, 40; 13, 30.34-37), questo equivaleva a dire che Dio si era messo dalla parte di Gesù e gli dava ragione, approvando così la sua vita e il suo modo di comportarsi. Allo stesso tempo, però, dava torto a tutti quelli che in questo mondo si erano resi responsabili della morte di Gesù. In altre parole, affermare che Gesù è il Risorto e il Vivente, equivale a dire che Dio non sta dalla parte, né è d’accordo con coloro che lo avevano deriso e infine ucciso. Quindi, la risurrezione di Gesù, così come di essa ne hanno parlato i primi testimoni della fede, è stata al tempo stesso un’affermazione ma anche una denuncia. Entrambe le cose sono inseparabilmente unite. Perché nella società di allora, come nella società di adesso, dire che Gesù continua ad essere il Vivente non significa solo dire che è resuscitato dalla morte e si trova in cielo. Ben più di questo, si sta affermando che il suo ricordo continua ad essere vivo, che la sua memoria continua ad essere viva e, soprattutto, che il suo messaggio continua ad essere vivo. E allora, dire che il suo messaggio continua ad essere vivo significa affermare che Dio ha risuscitato un uomo crocifisso e che il Gesù crocifisso continua ad essere crocifisso ogni giorno in tutti coloro che sono crocifissi nella storia,[47] e attendono di essere risuscitati. Perciò, affermare la risurrezione di Cristo dovrebbe disturbare enormemente coloro che detengono il potere e vogliono mantenerlo a tutti i costi, senza pensare agli altri, come disturbava i detentori del potere ai tempi degli apostoli. Credere nella risurrezione non è solo credere che la vita non termina con la morte. Implica il coraggio attuale di lottare e di sconfessare gli ambiziosi di ogni potere, compreso quello religioso da cui poi vengono i mandanti dell’omicidio di Gesù: i dominatori che, nel nome di Dio e della religione, sottomettono la gente sotto il pesante giogo della Legge divina[48].

Se veramente la morte comincia quando più nessuno pensa a noi, si può senz’altro dire che Gesù non è morto. Fra cento- centocinquanta anni nessuno, io credo, penserà a noi, cioè a me che scrivo e a voi che state leggendo: non resterà niente di noi su questa terra. Ma dopo duemila anni non è stato lo stesso per Gesù. Risulta così comprensibile quanto ha scritto Manuel Fraijó: la predicazione della risurrezione, che dalle sue origini ha fatto la Chiesa, significa che «la storia di Gesù continua»[49]. Vale a dire, il messaggio di Gesù, la sua umanità, la sua tolleranza, il suo rispetto, la sua instancabile lotta contro tutto ciò che d’inumano esiste in questo mondo, contro tutte le nostre schiavitù, le nostre oscurità davanti a un futuro di morte al quale siamo inevitabilmente destinati, tutto questo trova nella risurrezione la ferma convinzione di chi sa che l’inumano dell’umanità e il negativo della vita sono superati. In definitiva, con la risurrezione sappiamo che questa vita, nonostante tutti i suoi apparenti nonsensi, continua ad avere un senso, per cui non dovremmo limitarci a dire “Oh! Com’era bravo quel Gesù,” ma dovremmo essere spinti a seguire la sua strada, e attivarci per portare concretamente avanti il suo messaggio disturbante. Per amore della vita Gesù ha lottato contro quello che non è vita. Noi dovremmo cercare di fare lo stesso.

Visto invece che qui da noi i credenti non creano alcun disturbo alla società, visto che i credenti nell’insieme non riescono assolutamente a trasmettere questo messaggio di speranza ma anche di lotta contro l’ingiustizia, significa che abbiamo perso il senso più profondo di cos’era la Chiesa all’inizio. Anche se ci auguriamo “Buona Pasqua!”[50] non siamo realmente cristiani.


NOTE

[1] Per gli Ortodossi, invece, la Pasqua cade la prima domenica dopo l’equinozio di primavera. Quindi i cristiani non sono riusciti a mettersi d’accordo neanche su questa data.

[2] Carruesco J., L’Egitto e le radici della Grecia, “Storica – National Geographic n.77/2015, 30.

[3] Penna R., Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo, ed. EDB, Bologna, 2012, 144s.

[4] Ma anche senza le nostre conoscenze, la questione della resurrezione dei morti venne contestata in ambiente greco già dai primi cristiani (cfr. 1Cor 15, 12), i quali non l'accettavano come realtà fisica.

Se poi ci raccontano di una divinità che atterra su questo pianeta in virtù del miracolo della nascita verginale, muore come uomo ma non come Dio (perché Dio non può morire), e l’uomo morto viene risuscitato con un altro miracolo, e infine lascia il pianeta attraverso il miracolo dell’ascensione cosmica, saremmo davanti a miracoli che non toccano nessuno di noi, visto che noi abbiamo solo natura umana. Dove sta la buona novella per chi non ha natura divina, ma solo una misera natura umana, se Dio interviene su chi ha già una natura divina?

[5] Sicuramente su di noi non fa più presa l’idea di Tertulliano secondo cui “Cristo è certamente risorto, il fatto è certo perché è impossibile” (Tertulliano, De carne Christi, V, 25, in: www.documentacatholicaomnia.eu, versione latina).

[6] Fede è parola che si collega a fiducia, fidarsi, ma anche a credere. Mi fido perché credo a quello che mi hai detto. Sred, di orgine indoeuropea, è la ‘nonna’ della parola credere e in origine indicava una potenza superiore sì che mettersi nella mani di quella potenza significava crederle, aver fede in lei.

[7] Il papa emerito, invece, afferma che la resurrezione ha fondamento storico (Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 11), senza particolari spiegazioni ulteriori. Mi piacerebbe che ci spiegasse come, visto che anche il Catechismo ci dice che siamo davanti a un fatto trascendente, mentre la storia fa parte dell’immanenza.

[8] In https://www.frasicelebri.it/frasi-di/henry-louis-mencken/

[9] Già Tertulliano rammentava che i 50 giorni fra Pasqua e Pentecoste era il tempo della gioia per la presenza del Risorto in mezzo ai suoi (Il battesimo, XIX, 1s.)

[10] Ricca P., Ego te absolvo, Claudiana, Torino, 2019, 125s.

[11] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 398.

[12] Si tratta di una tesi unanimemente accettata; anche dallo stesso papa Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II parte, ed. Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2011, 290s.

[13] Daniélou J., La risurrezione, ed. Borla, Torino, 1970, 19.

[14] Settimanale diocesano di Trieste “Vita Nuova” 16.2.2007, 2. Il settimanale ha ormai cessato le pubblicazioni.

[15] Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 87.

[16] Nel Vangelo di Giovanni non è anonima, ma è Maria.

[17] Gesù non ha insegnato una nuova fede in una resurrezione di tutti: già da 150 anni (dal tempo dei Maccabei) questa fede si era imposta nella maggioranza del popolo, contro il pensiero dei sadducei (Rahner K., Corso fondamentale sulla fede, ed. Paoline, Alba, 1977, 359). Il primo a parlare della risurrezione è Ez 37, 1ss., il quale parla di ossa aride (le ossa sono la struttura portante dell’uomo) che risorgono per intervento di Dio, nel senso che è il popolo a risorgere.

[18] Invece anche questo è – secondo il n.640 del Catechismo,- un segno importante della risurrezione.

Tutto fa pensare che non sia stato il sepolcro vuoto a generare la fede in Cristo risorto, bensì l’incontro vissuto dai seguaci che dopo la morte lo sperimentarono colmo di vita. È facile pensare che il racconto del sepolcro vuoto sia invece nato in ambienti popolari in cui la risurrezione corporea di Gesù veniva intesa in maniera materiale e fisica, come continuità del suo corpo terreno (Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 486).

[19] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 297. Ma come la mettiamo col Catechismo che invece parla di risurrezione fisica?

[20] Cfr. i due che, lasciata Gerusalemme, vanno a Emmaus. Emmaus non è un nome messo lì a caso, perché niente è messo a caso nei vangeli; è il luogo che storicamente ricorda la “grande liberazione di Israele” (1Macc 4,4-25). Ma se invece Gesù è risuscitato per davvero, questo significa che non c’è da aspettarsi un altro messia, e allora tutti quei loro sogni di gloria del popolo di Israele, di dominio sugli altri popoli, di ricchezza, dove vanno a finire? Finiscono letteralmente in fumo, perché Gesù ha parlato di servizio volontario: «ecco io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27). Non è che la risurrezione ha reso felici tutti i discepoli.

[21] Maria di Magdala è la prima testimone della gioia pasquale (Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 109s.).

[22] Celso, Contro i cristiani, II 54, III, 22, ed. Rizzoli, Milano, 2008, 111 s. e 125.

[23] Anche il terrorista crede che la sua vita continuerà. Però, in qualsiasi modo si voglia interpretare questo fenomeno, sembra chiaro che quando la fede nel Risorto viene necessariamente associata alla fede nel Crocifisso, questo solo priva di argomenti il credente fanatico o fondamentalista che a causa delle sue convinzioni nel cielo si sente autorizzato a uccidere in terra (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB. Bologna, 2019, 404).

[24] Neanche Giovanni, perché il discepolo amato non è Giovanni, ma il prototipo del vero discepolo.

[25] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 397.

[26] Anche la nostra fede nella risurrezione si fonda allora sul fatto che vediamo Gesù vivo. Sorge un’esperienza interiore che dà un senso di pienezza (Lenaers R., Gesù di Nazaret, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR),2017, 125).

[27] Rahner K., Corso fondamentale sulla fede, ed. Paoline, Alba, 1977, 355

[28] Salas L., Una fede incredibile nel secolo XXI, Massari, Bolsena (VT) 2008, 179. Contra Ratzinger: vedi nota 14.

[29] Mancuso V., L’anima e il suo destino, Raffaello Cortina, Milano, 2007, 186.

[30] Ma attenzione! Noi spesso immaginiamo un Dio che curi le nostre malattie a forza di miracoli, che risolva i nostri problemi esistenziali, che mandi la pioggia dietro nostra richiesta. Siamo spesso noi che abbiamo bisogno di un Dio che sia il giocattolo dell’uomo (Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 81s.)

[31] Più di milleottocento anni fa l’imperatore pagano romano Marco Aurelio (I ricordi, 6, 10) aveva scritto a proposito del mondo e del senso della vita: “Siamo di fronte o a un groviglio caotico e alla dispersione, ovvero a un’unità ordinata e alla provvidenza. Se è vera la prima ipotesi, per quale ragione mai io desidero rimanere in simile accozzaglia casuale e confusa? Che altro dovrebbe interessarmi se non il modo di spassarmela? E perché dovrei preoccuparmene? Qualunque cosa io faccia, giungerà anche per me la dissoluzione. Ma se è vera la seconda ipotesi, io mi prostro e saldamente mi affido a Chi tutto governa.”.

[32] Già in passato gli apostoli avevano pensato a Gesù (ancora vivo e vegeto) come un fantasma, quando si trovano nella barca e il lago era in tempesta. Ovviamente il racconto è simbolico. Gesù si mostra Signore delle acque (caratteristica che spetta a Dio, non agli uomini), e tende a oltrepassarli: devono capire cioè che remando da soli faticano per nulla, devono mettersi dietro al maestro (Mc 6, 48). Eppure non riescono ancora a staccarsi dalla loro cultura religiosa, e vedono Gesù come un fantasma, perché si rivela altro, rispetto all’immagine che essi si sono costruiti. Il loro cuore indurito (Mc 6, 52) produce immagini distorte di Dio. Non capiscono ancora il significato della moltiplicazione dei pani cui hanno appena partecipato, e tornano a Gennesaret, il luogo della loro sicurezza religiosa. Non capiscono neanche le guarigioni, che non sono miracoli perché il miracolo impedisce qualsiasi libertà, t’inchioda. Le guarigioni sono segni che interpellano: “Come ti poni, come reagisci di fronte a questo fatto?” Le guarigioni di chi non parla propriamente (Mc 7, 31ss.) e di chi non riesce mettere a fuoco (Mc 8, 22ss.) ribadiscono che chi vuol fare da solo, contando sulle sue sole forze, fallisce: ci vuole un intervento esterno, una guarigione, una grazia. Nel successivo cap.7 di Marco Gesù parlerà di stoltezza, e sicuramente si riferisce anche ai suoi apostoli. Gesù impiegherà molto tempo per smontare l’immagine di Dio che gli apostoli si sono costruiti, e non gli basterà una vita. Il loro cambiamento avverrà solo dopo che è morto.

[33] Rius-Camps J., Diario di Teofilo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2016, 130s.

[34] I pranzi del Risorto con i suoi discepoli testimoniano un dato che la Chiesa non dovrebbe mai dimenticare: se Gesù, a partire dalla sua resurrezione si situa nell’ambito della trascendenza, ancora una volta noi troviamo il dato fondamentale secondo il quale il Trascendente lo si trova nell’esperienza umana. Non c’è altra forma né possibilità di trovarlo e di stabilire con lui una debita relazione (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 272).

[35] Lc 24, 21: i discepoli di Emmaus dicono che siamo ormai al terzo giorno, per cui non c’è speranza, Gesù è sicuramente morto. Ma nell’incontro Gesù non è riconoscibile e dimostra che la nostra fede non è basata sulle apparizioni, ma su manifestazioni. La fede nasce da un incontro, si collega a un incontro terreno: solo quando Gesù ricorda l’AT e le sue ultime parole (cena + morte) ecco l’esperienza che fa credere.

[36] Tommaso non tocca le ferite, anche se prima aveva detto che non crede se non tocca con mano; ma dai segni visibili della passione passa a credere a Gesù come il vivente (Gv 20, 19-28).

[37] Le donne vanno al sepolcro, guardano ma non vedono il risorto. Giovanni fa uscire la fede dall’amore (Maddalena si sente chiamare - Gv 20, 16). Qui c’è un impatto uditivo, non visivo come per Tommaso.

[38] Daniélou J., La risurrezione, ed. Borla, Torino, 1970, 51.

[39] Maggi A., Nostra signora degli eretici, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 167.

[40] Idem, 168 s.

[41] Il pastore protestante canadese Phipps dice che quand’anche la risurrezione del Cristo non sia di ordine fisico, Gesù è diventato un potere vivente, che ha operato una trasformazione nella vita dei suoi discepoli e continua a esserlo oggi (richiamato da Gounelle A., Parlare di Cristo, Claudiana, Torino, 2008, 78).

[42] Così Bouttier M. richiamato da Gounelle A., Parlare di Cristo, Claudiana, Torino, 2008, 80.

[43] Gounelle A., Parlare di Cristo, Claudiana, Torino, 2008, 75ss.

[44] Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 55.

[45] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 398s.

[46] Anche Paolo, ad Atene, quando all’Areòpago aveva cominciato a parlare di risurrezione non aveva ottenuto il minimo ascolto: “Su questo ti ascolteremo un’altra volta” (At 17,32).

[47] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 401.

[48] Idem, 402.

[49] Fraijó M., «La resurrección de Jesús desde la filosofía de la religión», in Dios, el mal y otros ensayos, Trotta, Madrid, 2006, 79.

[50] Gli ortodossi si scambiano questo saluto di Pasqua: “Cristo è risorto”, al che si risponde “Cristo è veramente risorto”. Ma non credo che gli ortodossi siano poi molto diversi dai cattolici nella loro vita quotidiana.