Rosso, giallo e nero


di Paola Franchina

Forse tra i miei venticinque lettori vi è qualche fortunato che ha potuto trovarsi dinnanzi alla straordinaria tela Blue Poles: l’opera, realizzata da Jackson Pollock, si estende per 4,86m in larghezza e 2,1m in altezza, ed è attualmente conservata alla National Gallery of Australia.

In questa fusione di colori, l’oggetto è indecifrabile: l’effetto è quello di un dedalo scomposto, realizzato mediante il Dripping, da to drip “sgocciolare”: tecnica pittorica che consiste nel far colare sulla tela il colore direttamente dal barattolo o dal pennello.

Il metodo del Dripping trae ispirazione nell’ambito della scrittura automatica, che consiste in una trascrizione dei sogni su carta, realizzata con una certa celerità per permettere al subconscio di esprimersi, senza la mediazione e la cesura della coerenza logica. Il confine tra conscio e inconscio, così, si allenta: le forme definite e nette lasciano il posto a grovigli indistinti.

All’interno di queste macchie inconsce, si stagliano otto segmenti neri, che danno nome al quadro. Essi rappresentano icasticamente l’anelito umano verso una definizione, chiara e distinta. Quante volte nella nostra esistenza ci siamo confrontati con lati opposti del nostro carattere, talvolta accogliendoli all’interno del dinamismo personale, altre volte, invece, sprecando tempo ed energie per cercare di soffocarli, censurando la complessità. Gli psicologi presentano due tipi di polarità: quelle ego-aliene e quelle ego-sintoniche. Le prime sono rappresentate dagli aspetti del nostro carattere che tentiamo di soffocare in quanto percepiti dal soggetto come inaccettabili; le polarità ego-aliene, invece, sono quelle che un individuo può accogliere ed integrare con maggiore serenità.

La psicologia junghiana ci sollecita ad un ripensamento dell’Io come Totalità: l’individuo viene concepito come una multipolarità che non richiede sintesi. Anche nella scuola della Gestalt, Fritz Pers ritiene che maggiori sono le tensioni polari che il soggetto include nella sua personalità, più vi è progressione. Le personalità complesse sono, così, in grado di esprimere e integrare le potenzialità latenti o atrofizzate presenti nel proprio repertorio caratteriale. La terapia deve, infatti, accompagnare il soggetto a ricercare una maggior fluidità nel modo di percepirsi, integrando stabilmente le tensioni. La complessità del vivente, dunque, sollecita una cura olistica che consenta di superare ogni falsa dicotomia e di giungere ad una sintesi che non annulla, ma mantenga polarità sempre più differenziate.

Questa postura filosofica nei confronti di sé stessi e della propria complessità consente un nuovo sguardo sul mondo, favorendo un’apertura «all’enorme ricchezza della realtà». Affinché questo accada, occorre una disposizione contemplativa che esca «dalla parzialità della visione in molti modi praticata, ossia proprio da ciò che in essa viene percepito come astratto, per arrivare così alla “filosofia del concreto-vivente”»[1]. Come mette in evidenza R. Guardini, nel testo L’opposizione polare, l’opposizione non è una caratteristica accessoria di ciò che è reale o vivo, ma è lo stesso vivente. La tensione diviene il principio strutturante la realtà: l’abilità del soggetto sta nel «cogliere con la maggior chiarezza possibile ciò che si è trovato», affinché l’opposizione non sfoci nella contraddizione che porterebbe «a una dilacerazione delle forze». Mentre il contraddittorio vede due polarità escludersi in senso incondizionato, nell’opposizione si assiste a «due cose a un tempo: relativa esclusione e relativo collegamento di forze in una sola e medesima res»[2]. Mentre la contraddizione vede l’impossibilità di coordinare polarità differenti, l’opposizione mantiene la meravigliosa tensione tra i pali neri contorti che cercano di definire e le gocce di colore dalle tonalità rosse e gialle che sfuggono alla precisione come nel quadro di Pollock.



[1] Gerl-Falkovitz, Romano Guardini, la vita e l’opera, 309.

[2] Ivi, 311.