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Sinodo e primavera in sospeso

di Dario Culot



Nel n. 716 di quest’anno (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-716-4-giugno-2023/dario-culot-i-dieci-anni-di-papa-francesco), avevo descritto i dieci anni di pontificato di papa Francesco come di una primavera in sospeso. Mi è stato fatto notare che i problemi  che deve affrontare questo papa sono enormi, sia perché in Europa, terra antica di cristianità, c’è una costante emorragia di fedeli e di chierici, sia perché c’è un cristianesimo ormai chiaramente pluralista e diviso nel mondo: ad esempio la visuale sull’omosessualità è abissalmente diversa in Africa (dove è considerate abominio) e in Germania (dove si benedicono le coppie omosessuali), sì che prendere netta posizione in un senso o nell’altro potrebbe portare a un nuovo scisma, e papa Francesco – che ha sempre cercato di unire e non di dividere - non vuole essere ricordato come il papa dello scisma.

È vero, e sono perfettamente d’accordo con queste osservazioni. Il cristianesimo vive un momento assai delicato, ma credo anche che i problemi debbano essere affrontati e non nascosti sotto il tappeto di casa. Accantonare i problemi rischia di far morire la Chiesa, sì che condivido pienamente anche quanto aveva affermato il vescovo americano Spong, della Chiesa Episcopale, recentemente scomparso:

- chi oggi reagisce con rabbia a tutte le interpretazioni che mettono in discussione le sue verità, le sue comprensioni dottrinali, dimostra solo che viene disturbato nella sua sicurezza, non certo nella verità di fede[1] che sono altra cosa.

- cambiare potrebbe anche uccidere il cristianesimo, ma non cambiare ucciderà di sicuro il cristianesimo[2].

Fin dal suo inizio la Chiesa, quando sorgevano gravi contrasti al suo interno, è ricorsa ai sinodi o concili, cioè si cercava una soluzione collegiale. I due termini sono equivalenti: la parola synodos (syn = insieme + odos = via) e quindi ‘camminare insieme,’ è greca; mentre in latino si usava la parola concilium, tradotta normalmente ‘concilio,’ che significa più propriamente ‘adunanza’. Dunque, entrambi i termini fanno riferimento a una collegialità.

Come sempre, per capire cosa succede oggi, è bene richiamarsi alla storia della Chiesa, perché solo così ci si rende conto che la dottrina, spacciata come se fin dal primo momento fosse stata uguale a quella che s’insegna oggi, non è stata affatto univoca e costante nei secoli. Sicuramente, l’aver preso a un certo punto un direzione ben precisa oggi ritenuta probabilmente errata ha incancrenito i problemi, e oggi più che mai è difficile districarsi e cambiare, anche volendolo.

I concili, da sempre, potevano essere locali, regionali o universali. Originariamente i concili ecumenici (cioè universali) sono la realizzazione storica della volontà dello Stato/Impero romano (e dal 476 d.C. romano/bizantino) di regolamentare i propri rapporti con i reggitori delle comunità cristiane sparse nell'impero[3]. Sono nient’altro che la continuazione storica dei Concilia provinciae, le assemblee pagane del culto alla dea Roma e per celebrare il genio dell'imperatore (estesi fin dai tempi di Vespasiano in tutte le comunità dell'impero), in cui si approfittava per discutere anche delle questioni più gravi della provincia, riferendo poi a Roma. Attraverso i concili ecumenici ogni imperatore, a cominciare da Costantino (organizzatore del concilio di Nicea nel 325, quando aveva da poco liberalizzato il cristianesimo), aveva cercato di controllare i vescovi; ma a questo controllo secolare si opposero sempre di più, nel tempo, i vescovi di Roma, grazie soprattutto alla distanza fra Roma e Costantinopoli (unica sede dell’imperatore dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, nel 476).

Vediamo qualche esempio dei tentativi dei vescovi romani di porsi al di sopra degli altri: quando papa Callisto,[4] cercò d’imporre nel cristianesimo la sua supremazia richiamandosi al potere delle chiavi date a Pietro, le sue affermazioni scatenarono le ire di Tertulliano, che accusò il papa di presunzione visto che le chiavi erano state date personalmente a Pietro, ma da lui erano passate alla Chiesa, e non al successore di Pietro, perché in ogni chiesa agisce lo Spirito Santo[5]. La questione si chiuse alla morte di questo papa romano. Non molto più tardi, nel 255, anche papa Stefano I cercò di imporre l’autorità della sede di Roma decidendo di far riammettere senza nuovo battesimo per immersione, ma solo con l’imposizione delle mani, coloro che già erano stati battezzati in una setta eretica o scismatica, e – secondo l’autorevole cardinal Dulles – egli riuscì a far valere la sua autorità pretendendo di parlare come successore di Pietro[6]. Non credo sia proprio così, visto che il cardinale americano dimentica di aggiungere che immediatamente si levò la fiera opposizione di un folto gruppo di vescovi capitanati da Cipriano,[7] poi anche santo, il quale sostenne che ogni vescovo deriva la propria autorità direttamente dal Signore e solo al Signore deve rispondere. Di fronte alla minaccia di scomunica[8] del battagliero papa Stefano, Cipriano[9] (210-258) convocò un sinodo di 84 vescovi africani i quali conclusero nel senso che nessuno era autorizzato ad insignirsi della qualità di vescovo dei vescovi,[10] nessuno poteva permettersi di fare ricorso a minacce intollerabili per costringere i propri colleghi all’obbedienza, e all’unanimità venne dichiarata la nullità del battesimo degli eretici con necessità di sua completa reiterazione. Netto rifiuto, dunque, della decisione papale romana. Non si sa con certezza se papa Stefano, dando seguito alle sue minacce, scomunicò i fautori della reiterazione del battesimo;[11] sta di fatto che anche in questo caso la rottura venne conciliata dopo la sua morte dal nuovo papa Sisto II.

Indubbio che nel cristianesimo delle origini, vissuto dai padri della Chiesa - come Ignazio, Cipriano e Tertulliano,- non c’era affatto la “cefalizzazione” (un solo Dio in cielo, un solo Papa in terra), come oggi ci vogliono far credere. La cefalizzazione non esisteva neanche nella Chiesa di Gerusalemme, la prima di tutte le Chiese, inizialmente retta da ben tre persone in contemporanea: Pietro, Giacomo (apostolo) e Giovanni. Fra l’altro, il cristianesimo prevede la Trinità, il che significa che Dio non è la solitudine dell’Uno, ma la comunione del Padre, Figlio e Spirito Santo, in piena parità, il che rende più coerente la concezione della collegialità delle chiese orientali. In effetti, di fronte all’obiezione secondo cui, anche se gli apostoli erano 12 deve esserci un solo capo perché non ci possono essere 12 teste, è agevole replicare che, proprio per la dottrina ufficiale, anche nella Trinità non c’è uno che comanda sugli altri due.

Si vede dunque chiaramente che, nei primi secoli del cristianesimo, vari papi cercarono di imporre il primato supremo di Roma, ma questa linea non ebbe affatto il riconoscimento sperato,[12] e anzi si frantumò più volte contro la fiera opposizione dell’allora potente Chiesa africana e delle Chiese orientali, che avevano facile gioco nel richiamarsi al vangelo: nessuno fra voi si faccia chiamare maestro, padre o capo” (Mt 23, 8).

Ancora al concilio di Calcedonia del 451 papa Leone I fece pressioni per farsi riconoscere vescovo dei vescovi[13]. Che di quel concilio si ricordi il fatto che i padri conciliari gridarono che “Pietro ha parlato attraverso Leone” (quando si decise di riconosce le due nature di Cristo) non è decisivo; infatti i padri possono aver semplicemente confermato che Leone, sul punto delle due nature, era in linea con la tradizione delle altre chiese[14] per cui i più condividevano la tesi da lui brillantemente esposta sul punto. Sta di fatto, che il canone 28 di quel concilio ecumenico aveva equiparato le posizioni dei vescovi di Costantinopoli e Roma, pur lasciando a Roma il primo posto d’onore, ma riconoscendo a Costantinopoli il diritto di ordinare - senza l’intervento di Roma - i vescovi del Ponto, Asia e Tracia. I legati romani, per protesta, abbandonarono il concilio, e papa Leone I approvò la formula cristologica di Calcedonia (Gesù è una persona con due nature), ma respinse il ventottesimo canone giustificando che nel testo si parlava di importanza politica delle città, mentre si doveva guardare alla fondazione diretta o indiretta da parte di Pietro (che aveva guidato le chiese di Antiochia e Roma, e indirettamente Alessandria tramite il suo segretario Marco, indicato come autore del vangelo)[15]. L’abbandono dei delegati romani e il rigetto del canone 28 da parte di Roma dimostrano  di nuovo e inequivocabilmente come l’asserito primato petrino collegato a Roma non fosse affatto universalmente accettato.

È però interessante anche notare che, se da un lato il vescovo di Roma cercava di imporre la sua supremazia su tutti gli altri vescovi, dall’altra l’imperatore bizantino cercava di imporre la propria supremazia anche sul vescovo di Roma. Ad esempio, l’imperatore Giustiniano inserì nel suo codex il pari primato del patriarca di Costantinopoli e, nonostante il disappunto di papa Leone I, questo rimase un pericoloso precedente al quale la Chiesa di Costantinopoli si è sempre richiamata per legittimare la sua completa indipendenza di fronte a Roma. Ed è anche giusto ricordare che, quando questo stesso imperatore convocò il concilio Costantinopolitano II, papa Vigilio cercò di boicottarlo, ma essendo praticamente prigioniero dell'imperatore fu costretto ad accettarne i decreti e solo a quel punto fu libero di tornare a Roma[16].

Fra il 575 e l’800 d.C. - anni più bui per il vescovado di Roma – l’ingerenza bizantina fu pressante e costante. Fu soltanto con l’incoronazione del re dei Franchi e la sostanziale perdita dei possedimenti bizantini in Italia che papa Leone III proclamò di non riconoscere più a Bisanzio alcuna autorità sul vescovo di Roma:[17] a quel punto poteva ben farlo perché Costantinopoli non aveva più la forza di reagire; ma fino a quel momento l’imperatore bizantino aveva visto nel vescovo di Roma un'autorità che poteva ostacolare i propri interventi nella gestione del divino e fin che poté cercò di impedirlo[18].

Alla fine di questo breve excursus storico (in realtà molto più complesso e ricco) merita ancora rilevare che nella stessa Roma il grande san Gregorio Magno (papa dal 590 al 604 d.C.) non credeva alla trasmissione della supremazia da Pietro al solo vescovo di Roma. Scrivendo a san Giovanni patriarca di Costantinopoli, papa Gregorio afferma che Pietro, Paolo, Andrea, Giovanni erano tutti ugualmente capi delle rispettive comunità, e tutti membra del Corpo di Cristo, e ugualmente sottoposti a lui. Poi aggiungeva che nessuno di essi aveva voluto essere chiamato universale (cioè cattolico) ancorché il concilio di Calcedonia avesse offerto a tutti (compreso il vescovo di Roma) l’onore di essere chiamati universali: “Eppure nessuno di essi si è mai fatto chiamare con tale titolo, perché, se qualcuno in virtù del rango pontificale avesse assunto su di sé stesso la gloria della unicità, sarebbe sembrato che la negasse a tutti i suoi confratelli...” Questa sua memorabile affermazione era diretta contro il vescovo di Costantinopoli, il quale invece aveva assunto sconvenientemente il titolo di Vescovo Universale, e fa da pendant alla sua totale rinuncia ad ogni proprio diritto ad assumere siffatto titolo[19]. Sempre papa Gregorio riteneva che la successione sul “trono di Pietro” fosse indubbiamente un onore di cui mostrarsi degni, ma che questo non conferisse alcun potere particolare, tant’è che questo privilegio lo vedeva condiviso tra il papa di Roma, il papa di Alessandria[20] e il patriarca di Antiochia. Alessandria perché fondata da san Marco mandato da Pietro; Antiochia perché retta direttamente da Pietro[21]. Leggiamo infatti cosa egli scrive a Eulogio, papa appunto di Alessandria: “Vostra soavissima Santità: mi avete parlato molto nella vostra lettera della Cattedra di san Pietro, il primo degli Apostoli, e infatti colui che mi parla della Cattedra di san Pietro, altri non è che colui che occupa la Cattedra di san Pietro... infatti il suo seggio è in tre luoghi. Egli ha esaltato il seggio in cui si è degnato di fermarsi e di finire la sua vita (cioè Roma) Egli stesso ha adornato il seggio dove mandò il suo discepolo ed evangelista (cioè Alessandria dove Pietro avrebbe mandato Marco). Egli stesso ha stabilito il seggio in cui, prima di lasciarlo, sedette per sette anni (cioè Antiochia). Pertanto il seggio è uno, su cui per autorità divina tre vescovi ora presiedono: tutto ciò di buono che sento di voi, io lo assumo per me, e se voi pensate qualche cosa di buono di me, assumetelo a vostro merito, perché noi siamo una sola cosa in Lui che dice: come Tu, padre, sei in me, e io in Te, così essi siano una sola cosa in noi”.[22]

Mi sembra inconfutabile che, con questa lettera, anche papa Gregorio Magno rifiuti e smentisca chiaramente l’idea che il vescovo romano sia unico successore di Pietro, idea su cui in seguito si è voluto invece fondare il primato papale romano.

Anzi, questi punti sopravvisti mi sembrano sufficienti per confermare:

a) che il primato romano è venuto a formarsi solo nel corso dei secoli e all’inizio non era affatto pacifico come oggi si vuol far credere;

b) che ancora all’inizio del sesto secolo d.C. questo primato non era pacifico neanche nella stessa Roma;

c) che comunque Costantinopoli, sede non apostolica, ma come nuova Roma divenuta sede patriarcale col Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., le chiese orientali e quelle africane tutte non hanno mai riconosciuto nel vescovo di Roma[23] un vescovo con potestà suprema, unica e universale. La supremazia di Roma è un frutto del solo pensiero occidentale.

A un certo punto, invece di continuare a reagire alle pressioni romane, le chiese d’occidente nord europee e d’oriente finirono per separarsi (quelle africane erano ormai state sostanzialmente cancellate dall’islam). Lo scisma fra occidente e oriente – avvenuto un migliaio di anni fa - è avvenuto in buona parte proprio perché le chiese di oriente non vollero assolutamente riconoscere questo primato che il vescovo di Roma continuava a invocare,[24] mentre l’idea del primato petrino si è invece ulteriormente rafforzata e consolidata in occidente proprio dopo lo scisma,[25] tanto da raggiungere l’apice nel 1800 col dogma dell’infallibilità[26].

Tornando al sinodo, il percorso di ogni concilio si è sempre articolato in tre fasi: ascolto reciproco, discussione e confronto (spesso anche scontro) e deliberazione finale.

In punto governo della Chiesa, c’è da aggiungere una differenza fondamentale fra la Chiesa cattolica occidentale e le Chiese ortodosse orientali. In Occidente, il papa di Roma è andato strutturandosi sempre più in senso di unica autorità, al vertice della piramide, e ancora oggi è l’unica autorità al mondo che unisce in sé il potere legislativo (fa le leggi), esecutivo (applica le leggi) e giudiziario (decide in caso di controversia sull’applicazione delle leggi). In Oriente, invece, nessun patriarca esercita l’autorità completamente da solo, perché l’autorità è sempre stata condivisa da un consiglio permanente che viene eletto dai vescovi e non dal patriarca. Quindi, si può dire che in Oriente c’è da sempre un sinodo permanente (seppur ristretto), mentre in Occidente il sinodo è solo occasionalmente convocato. Comunque, in occidente, la decisione finale spetta sempre e solo al papa.

Il concilio Vaticano II, correggendo il concilio Vaticano I, ha cercato di introdurre anche in Occidente il principio di collegialità. Lo stesso papa Benedetto XVI ha riconosciuto che il concilio Vaticano II ci ha insegnato che per la struttura della Chiesa è costitutiva la collegialità; che il papa può essere soltanto un primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé[27]: dunque anche nella Chiesa cattolica ci si rende conto che il papato così com’è adesso avrebbe bisogno di urgenti modifiche. Ci riuscirà questo sinodo in corso a rendere definitivo il cambiamento, o anche qui continueremo sempre ad avere una primavera in sospeso?

Va infatti ricordato che, subito dopo il concilio Vaticano II, la fraternità di San Pio X di Lefebvre,[28] ha sostenuto, fra le tante cose – contro le indicazioni del concilio - che l’idea della collegialità nella Chiesa distruggerebbe il primato di Pietro e che la libertà religiosa distrugge la verità. Chiaro che papa Benedetto, ricucendo lo scisma lefrebviano, ha annacquato l’idea della collegialità, ed ha cercato di sminuire, facendo apparire la ribellione lefebvriana una piccola questione, mentre ha invece grossi significati: chiaro però che riassorbendo i lefebvriani la direzione in cui ha inteso andare la curia romana non è stata conforme a quella suggerita dal concilio[29].

E poi un dato pacifico che molti prelati non vedono il sinodo di buon occhio: basta pensare a quanti prelati hanno cercato di non parlare finora di sinodo, ma solo di preparazione al sinodo. Se però ogni sinodo comincia con l’ascolto, perché non si parla di inizio vero e proprio del sinodo se non per boicottarlo? E non è stata già boicottata da tanti prelati anche la fase dell’ascolto? Lo stesso papa Francesco aveva chiesto che fossero sentite anche le persone che non frequentano le chiese. Vi risulta che qualche diocesi italiana l’abbia fatto? Anzi quante sono state le parrocchie italiane che non hanno ascoltato neanche i propri fedeli?

Tanto per farci un’idea, l’Instrumentum Laboris per la prima sessione di quest’autunno del Sinodo, è già uscito in ritardo, nella scheda di lavoro B 3.3 leggiamo così: “Senza sminuire l’importanza del rinnovamento delle relazioni all’interno del Popolo di Dio, l’intervento sulle strutture è indispensabile per consolidare i cambiamenti nel tempo”. Si farà qualcosa?

Ma oltre alla questione fondamentale del governo della Chiesa cattolica, ormai altre questioni urgono con pari urgenza e dovrebbero essere sciolte dal sinodo: la questione delle donne nella Chiesa,[30] la questione dell’assottigliamento del clero,[31] la questione della morale, in particolare quella sessuale[32]. Mentre vengono sempre più chiaramente alla luce le nette divisioni anche guardando alla sola Europa[33] è piuttosto chiaro che sarà assai difficile arrivare a una soluzione condivisa.

La domanda finale è: di fronte alle inconciliabili contrapposizioni che si vedono nelle chiese cristiane, saprà o potrà papa Francesco prendere qualche decisione fondamentale, o tutto finirà gattopardescamente evitando di decidere nella sostanza? Non lo so, e non vorrei essere al posto del papa. È vero che papa Francesco ha sempre detto di voler quanto meno aprire processi senza la pretesa di risolvere i problemi, ma non vedo come possa anche solo aprire discussioni su temi così controversi pacificando e non dividendo ulteriormente. L’Intrumentum laboris citato si limita a porre la domanda se alle donne è accessibile il diaconato,[34] ma non parla assolutamente del presbiterato. Nella scheda di lavoro B1.2 sta poi scritto: “I Documenti finali delle Assemblee continentali menzionano spesso coloro che non si sentono accettati nella Chiesa, come i divorziati e risposati, le persone in matrimonio poligamico o le persone Lgbtq”. Che ci sia un grosso problema lo sanno tutti, ma come lo si vuol risolvere? E si può cambiare qualcosa senza cambiare prima il Catechismo della Chiesa cattolica del 1994, che spesso appare in contrasto con i documenti del concilio?

Auguro al papa tanta fortuna, e non saprei cosa altro fare se non pregare per lui.

 

 



NOTE

[1] Spong J.S., Il quarto Vangelo, Massari, Bolsena, 2013, 93. Non è perciò condivisibile la domanda di un lettore del settimanale “Famiglia cristiana” n.17/2021, 86, il quale suggerisce che sarebbe meglio non pubblicare certe domande che suscitano dubbi nelle persone semplici.

[2] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, Massari, Bolsena, (VT), 2010, 180.

[3] Come ricordato nekl’articolo I concili imperiali al n.448/2018 di questo giornale [al momento non consultabile sul sito].

[4]Per un’ampia documentazione sull’intera vicenda vedasi Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 33ss.

[5] Tertulliano, De Pudicitia XXI, www.documentacatholicaomnia.eu.

[6] Cardinal Dulles A., Magisterium,  ed. Sapientia Press, Naples (Florida USA), 2007, 27. Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 583: in mancanza di una vera tradizione, Papa Stefano vedeva il problema nella speciale luce dell’autorità della chiesa di Roma; Cipriano riteneva che ogni vescovo riceve l’ispirazione direttamente dallo Spirito Santo.

[7] Pontificia Amministrazione della Patriarcale Basilica di San Paolo, I Papi – Venti secoli di storia, ed. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002, 12. Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 53ss. Schaff P. e Wace H., A selected Library of  Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian  Church, Vol.XII, ed T&T Clark Edinbugh (Scozia) 1969, XI Prolegomena alle lettere di Papa Gregorio.

[8] Bihlmeyer K. e Tüchle H., Church History, ed. Newman Press, Westminster (Maryland USA), 1958, Vol. 1, 120.

[9] Richiamo inoltre un altro scontro – riguardante una questione di vescovi spagnoli,-  fra Cipriano di Cartagine e Roma, risolto da un sinodo cartaginense contro Roma, già riportato nell’articolo Se le fonti storiche sul primato pertrino romano sono traballanti, al n. 519/2019 di questo giornale (https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-519-25-agosto-2019/se-le-fonti-storiche-sul-primato-petrino-romano-sono-traballanti). E richiamo pure lo scontro fra sant’Agostino e Pelagio, risolto dal primo appellandosi all’imperatore e by-passando il papa romano che gli era contrario, sempre nello stesso articolo.

[10] Atti del sinodo di Cartagine del 257 d.C., in www.documentacatholicaomnia.eu, (sotto anno 253, Concilia Cartaginensis-Documenta omnia, raccolta Schaff  P.). Schaff precisa che quest’allusione feroce contro chi vuol essere vescovo dei vescovi viene fatta appunto di fronte al decreto di papa Stefano I, il quale pretendeva di essere chiamato vescovo dei vescovi, e minacciava di scomunica chiunque non si fosse adeguato. Vedasi anche nello stesso sito,  Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiae, VII, 2-5.

[11]New Catholic Encyclopedia, ed. McGraw-Hill Book Company, New York e al., 1993, Vol. 13, Stefano I, 695. Secondo Bihlmeyer K. e Tüchle H., Church History, ed. Newman Press, Westminster (Maryland USA), 1958, Vol. 1, 121, papa Stefano semplicemente troncò le relazioni con i riottosi africani, e solo il suo successore riparò lo strappo.

[12] Küng H., Infallibile? Una domanda, ed. Queriniana, Brescia, 1970, 128 s., e non venne suffragato nemmeno da S. Ambrogio e S. Agostino.

[13] Binns J., Le Chiese ortodosse, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2005, 237.

[14] Denzler G., Il papato, ed. Claudiana, Torino, 2000, 25.

[15] AA.VV.,  Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 476 s.

[16] O'Malley J., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 30.

[17] Fu sempre con i franchi che vennero cambiate in Occidente molte forme esteriori del rito proprio per distinguersi dai greci di Costantinopoli. Ad esempio,

- il pane eucaristico venne sostituito con l’ostia;

- i chierici si tagliarono i capelli e si rasarono la barba;

- il battesimo si fece per aspersione e non per immersione

(Yannaras C., Contro la religione, ed. Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI), 2012, 225).

[18] Bucci O. e Piatti P., Storia dei concili ecumenici, ed. Città Nuova, Roma, 2014, 41s, 45s.

[19] Schaff P. e Wace H., A selected Library of Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian Church, Vol. XII, ed T&T Clark Edinbugh (Scozia) 1969, XII Prolegomena  alle lettere di Papa Gregorio. Denzler G., Il papato, ed. Claudiana, Torino, 2000, 27s.

[20] Sottolineo che anche il vescovo di Alessandria veniva chiamato papa.

[21] Schaff P. e Wace H., A selected Library of Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian Church, Vol. XII, ed T&T Clark Edinbugh (scozia) 1969, XIIs.  Prolegomena alle lettere di Papa Gregorio.

[22] Cum ergo uniius atque una  sit sedes, cui ex auctoritate divina tres nunc episcopi praesident, quicquid ergo de vobis boni audio, hoc mihi imputo. Si quid de me boni creditis, hoc vestris meritis imputate, quia in illo unum sumus qui ait, ut omnes unum sint, sicut et tu Pater in me, et ego in te, et ipsi in nobis unum sint - lettera XL; Libro VII.

Visto che a pensar male non si fa peccato, forse si è voluto evitare di rendere facilmente accessibili al lettore italiano diverse lettere che testimoniano il netto rifiuto di papa Gregorio Magno per il primato petrino. Forse non è un caso che, ancora oggi, non si trovi tradotto in italiano un epistolario completo delle sue lettere, almeno per quanto mi risulta. L’Epistolario di san Gregorio Magno è però pur sempre reperibile nella versione latina nella Patrologia Latina del Migne e in diversi testi stranieri.

[23] Concetto ribadito più volte anche in Schaff P. e Wace H., A selected Library of Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian  Church, Vol.XII, ed T&T Clark Edinbugh (scozia) 1969, XIII Prolegomena  alle lettere di Papa Gregorio.

[24] E questo aspetto resta ancora oggi il principale ostacolo alla riunione fra cattolici e ortodossi: Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 132.

[25] Ratzinger J., Dio e il mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo ( MI), 2001,  348.

[26] Definito dagli ortodossi “una mostruosità”, tanto più che alcuni papi furono dichiarati eretici proprio dai Concili Ecumenici: per esempio Papa Onorio I (638); o Papa Liberio, il quale sottoscrisse nel 358 le formule ereticali del semiarianesimo, scomunicando il grande e santo Atanasio difensore dell'Ortodossia, e finendo per essere colpito a sua volta dall'anatema (scomunica) di Sant'Ilario di Poitiers.

[27] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 107.

[28] Con Decreto del 21.1.2009, papa Benedetto XVI affermava che i vescovi della Fraternità S. Pio X non sono né scismatici né scomunicati, perché hanno riconosciuto l’autorità del papa. Con lettera 10.3.2009 in www.vatican.va/Sommi Pontefici/Benedetto XVI/Lettere/2009, da papa, ha infatti rimesso la scomunica.

[29] Inquietante in proposito il volume dello storiografo Miccoli G., I tradizionalisti alla riconquista di Roma, ed. Laterza, Roma, 2011.

[30] Perché non permettere alle donne almeno di predicare e di attribuire loro vari posti di governo nella Chiesa? Perché se in una comunità di suore c’è una valida teologa, la predica deve essere fatta da un prete maschio, magari meno preparato della suora? Perché a capo della Caritas non potrebbe esserci una donna?

[31] Perché non ordinare presbiteri anche uomini sposati che hanno dato prova di affidabilità, per assicurare almeno l’eucaristia a tutti i fedeli, cosa che il permanere della legge (umana) del celibato nella Chiesa occidentale rischia di negare?

[32] Qui si stanno delineando due blocchi contrapposti: mentre l’Europa occidentale – soprattutto del nord (Germania, Belgio, Olanda, Spagna - già procede alla benedizione delle coppie omosessuali, resto dell’Europa  

[33] Abissale la differenza fra la Chiesa tedesca e quella polacca: la prima spinge per l’innovazione, la seconda per tornare al passato. La seconda vede la prima come eretica. Anche la Chiesa anglicana si è divisa: quella africana non ha accettato la nomina da parte inglese di vescovi omosessuali o vescovi donne. La Chiesa italiana, evidentemente paurosa, non ha voluto prendere netta posizione sulle donne e sulla morale sessuale. Ha preso posizione sull’immigrazione, ma questo è un problema nostro, non un problema universale.

[34] Punto 4) degli Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria.