La brezza leggera

di Paola Franchina

L’epoca contemporanea è segnata dal tramonto del cielo di stelle fisse che orientano l’esistenza: lo sbigottimento che assale l’uomo, tuttavia, non deve essere letto in chiave unicamente negativa; ad ogni tempo, infatti, pertiene un’ambivalenza: la contemporaneità, con il suo sguardo critico e sconfessante, sbugiarda le presunte verità che si ergono a tiranno, sovrastando l’uomo.

La teologia è chiamata a porsi in ascolto dei tempi, rinunciando a risposte anacronistiche nutrite di paura. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato, inopportuno è il tentativo di sigillarlo, rifugiandosi in una mitica età dell’oro. Attraverso il vaglio del postmoderno, la riflessione viene purificata dalle millanterie che hanno permeato la religiosità per secoli.

Un interessante stimolo di riflessione è offerto dalla tradizione psicoanalitica. Nello scritto L’uomo Mosè e la religione monoteistica, Freud propone una rilettura sconfessante del rapporto con il paterno divino; la religione confina l’uomo in una condizione di minorità, in cui il soggetto, anziché provvedere in modo personale ai propri bisogni, delega ad altri la responsabilità del vivere. Solo sciogliendo la terra dalla catena del suo sole[1], attraverso l’omicidio del Padre, l’uomo potrebbe riscattare la forma del suo desiderio.

L’individuo che non riesce ad emanciparsi dall’idea del divino cade in una nevrosi, dominata da conflitti psichici associati a stati d’ansia. L’uomo religioso è come un infante che si rifugia nella credenza illusoria di un iperuranio a motivo dell’asprezza del vero. Questo atteggiamento, tuttavia, non solo causa la regressione del soggetto, ma altresì della collettività intera, relegata in uno stadio di minorità.

Sulla scia di Freud si colloca la disamina lacaniana che riprende la tradizione psicoanalitica, corrodendola dall’interno. Se Freud distingueva il complesso edipico tra il bambino e il padre da quello di Elettra tra la figlia e la madre, Lacan, invece, preferisce parlare di complesso di svezzamento che vede implicato l’infante, indifferentemente dal genere, e la madre.

La speculazione lacaniana avverte circa il rischio di una ricerca nostalgica della vita vissuta prima dello svezzamento, in cui la mamma costituisce un rifugio dalle avversità; la nostalgia del nido materno, generata dall’idealizzazione della madre, provoca il soffocamento del desiderio. Dunque, il bambino e la bambina, senza differenza di sesso, sono entrambi chiamati a superare l’immagine idealizzata della madre attraverso l’ausilio del padre.

Il padre, attraverso la negazione, aiuta ad uscire dallo stadio del godimento totale della poppata, invitando il desiderio a sopravanzare: conduce, così, l’uomo non solo alla maturità sessuale, ma anche alla maturità etica. Il padre indica un’oltranza e redime lo spazio della trascendenza che era prima occupato da un’immagine sproporzionata della madre.

La prospettiva lacaniana deve, dunque, dissuadere da tutte quelle prospettive religiose che presentano un assoluto dispotico chiamato ad invadere lo iato che si insinua tra l’oggetto dell’aspirazione e la sua realizzazione effettiva. Un’estetica alterata dell’Altro religioso, in cui esso si offre come unica forma deputata a riempire il vuoto, sottrae l’uomo alla responsabilità della libertà, ottundendo il desiderio.

Un’immagine non deformata del divino, invece, apre alle risorse del simbolico, adornando la sproporzione. Il simbolo incoraggia l’uomo ad accostarsi alla voragine dell’eccesso, senza essere atterriti dal senso di vertigine. La teologia assume la responsabilità di aiutare il soggetto ad affacciarsi ad una distanza residuale irriducibile, aprendo al mistero della trascendenza.

Dio, infatti, non si manifesta in un vento impetuoso e gagliardo o in un terremoto, neppure in un fuoco: la chiamata non si rivela in una forza sovrumana che sovrasta la libertà umana, ma assume la consistenza discreta di una brezza leggera che sollecita la libertà individuale:

Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia? [2]

L’appello di Dio, dunque, puntella il desiderio umano, sollecitando ad un itinerario che liberi dalla minorità. Una religiosità autentica, dunque, non crea un grembo, ma offre uno spazio d’oltranza che emancipa l’uomo dalla paura della propria libertà.


NOTE


[1] Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza, Einaudi, Torino 1979, aforisma 125.

[2] 1Re 19,11-13.