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Il nuovo Vescovo di Trieste



di Stefano Sodaro

Sono trascorsi quasi esattamente quattro mesi dalla presentazione della rinuncia per raggiunti limiti di età di mons. Giampaolo Crepaldi quale Vescovo di Trieste e questa mattina alle 12 - congiuntamente presso la Curia Vescovile di Trieste, quella di Cremona e tramite pubblicazione sul Bollettino quotidiano della Santa Sede -, è stata annunciata la nomina da parte del Papa di mons. Enrico Trevisi a nuovo Vescovo di Trieste. Mons. Trevisi è un parroco della Diocesi di Cremona.

Alcune modestissime considerazioni – come dicono i canonisti – “extra-vaganti”.

Intanto è stata scongiurata l’ipotesi, data sino ad oggi come piuttosto accreditata e degna di fede, dell’accorpamento tra diocesi (che non ci ha mai entusiasmato, in tutta franchezza). Trieste continua ad essere sede vescovile con un proprio presule, suffraganea della sede metropolitana di Gorizia, in forza dell’antica presenza del Patriarcato di Aquileia dentro gli attuali confini di quell’arcidiocesi.

Poi, diventa vescovo di Trieste un presbitero. 

L’ordinazione episcopale di mons. Enrico Trevisi avverrà pertanto solo, diciamo così, “in funzione” della sua destinazione triestina. Non è poco. La storia recente della Chiesa Cattolica del capoluogo giuliano attesta l’importanza di una ordinazione episcopale “direttamente triestina”, se si pensa alla vicenda del tutto analoga di mons. Lorenzo Bellomi, che fu ordinato Vescovo di Trieste nella Cattedrale di Verona, al cui clero diocesano apparteneva. In altre parole: non si tratta di un “già vescovo” che provenga a Trieste da altre sedi od altri incarichi.

Terzo. Altro è provenire da una parrocchia, altro dalla Curia Romana. Altro è essere stato vicino alle ACLI, altro vicino all’Opus Dei. Altro avere un incarico pastorale subito prima della nomina episcopale, altro avere frequentato prima soltanto uffici e ambienti ecclesiastici.

Il nuovo Vescovo eletto di Trieste afferma, con sincerità e immediatezza: «Non sono mai stato a Trieste!». E dunque entrerà in una realtà del tutto sconosciuta, dovendo in qualche modo “ricominciare a vivere” qui.

Questo carattere primigenio della sua venuta episcopale a Trieste lo immunizza da tante possibili - non sappiamo se addirittura prevedibili - schermaglie e strategie particolaristiche di potere, tipiche di ogni contesto fortemente localizzato e magari agite anche in perfetta buona fede, ma che possono bloccare un Eletto, già a conoscenza della concreta situazione, dentro un assetto che gli appaia graniticamente definito ed immutabile. Mentre la storia della Chiesa di Trieste non è affatto già definita ed immutabile, ma anzi alla ricerca di intercettare evangelicamente bisogni, urgenze, voci soffocate, lamenti inespressi, drammi invisibili, di una città che, lo sappiamo, “ha una scontrosa grazia”.

Ad ogni Vescovo neo-ordinato viene consegnato, all’interno della stessa liturgia di ordinazione, dopo l’imposizione delle mani, un anello con le parole rituali: “Ricevi l’anello, segno di fedeltà, e nell’integrità della fede, e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo.”

Anche a Trieste – ricorrendo alla medesima immagine di grande impatto simbolico e mistico (vigilando tuttavia sui rivoli sempre possibili di eccedenze pericolose al riguardo, come dimostra il report su Jean Venier pubblicato non più tardi di due giorni fa) -, anche a Trieste, si diceva, “Cristo ha una sposa”. Di rara bellezza, sol a non lasciarsi intimidire dal fatto che si tratta di un “ragazzaccio aspro e vorace, con occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore”.

Dunque: benvenuto, don Enrico!