Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Immagine tratta da commons.wikimedia.org










Viaggio in Italia


di Stefano Agnelli


***


19. La Sapienza, Uniroma1

Per chi non lo sapesse, La Sapienza è una delle quattro Università statali di Roma, nonché il campus più grande d'Europa. Qualche anno fa, prima della pandemia, ho avuto occasione di frequentarla per tre lunghi anni, grazie ad un Dottorato di ricerca in Storia, Antropologia e Religioni (SAR).

Entrando da piazzale Aldo Moro attraverso l’imponente porta d’ingresso, si ha come la sensazione di varcare una soglia. Una volta dentro, non si è più nella città, ma piuttosto in una dimensione irreale e concreta allo stesso tempo, che il viavai pressoché continuo di studenti nei viali contribuisce a creare. Già a pochi metri dal cancello d’entrata, ai lati del viale principale, iniziano gli edifici dei vari istituti: Chimica, Biologia, Medicina, ecc. Sono tutti di forma simile e ricordano i tempietti che le città greche avevano edificato lungo la salita al santuario di Delfi, dove la Pizia rilasciava oscuri vaticini nel nome di Apollo. Quelli contenevano il tesoretto che ogni città offriva al dio per averne le grazie, questi contengono docenti e discenti, omaggiando così la dea del Sapere: la Pallade Atena. Proseguendo lungo il viale l’occhio scorge, nello spazio tra due edifici, sulla sinistra, una grande chiesa dal tetto a cupola. Si tratta della Cappella universitaria, dove risiede una comunità di Padri Gesuiti, un “luogo di ricerca spirituale all’interno dell’Università” - recita il sito de La Sapienza - e aggiunge: “tutti sono benvenuti”. Pochi passi più avanti, a destra del viale, si apre un lungo pergolato a corridoio dalla volta circolare, ombroso e fresco, che conviene sempre imboccare nelle giornate più calde, e conduce direttamente a lato della piazza principale. Qui sorge, bronzea e scura, la statua della già nominata Atena, o – per i romani antichi – Minerva, dea della sapienza, della saggezza e dell’arte della guerra regolata (mentre Marte o Ares, era il dio dello scontro cruento e sanguinario, dell’impeto violento). Davanti alla dea, rigorosamente armata di lancia e scudo circolare, una fontana d’acqua cristallina. Dietro ad entrambe, a riempire completamente lo sguardo, il marmoreo e massiccio corpo centrale dell’Università, con al centro il rettorato ed ai lati le facoltà di Scienze Politiche e Lettere.

Dietro il corpo centrale, altre facoltà e soprattutto un grande bar, con tavolini all’aperto, dove si mescolano studenti di ogni genere: dallo studente di Lettere a quello di Chimica o di altre facoltà scientifiche. Indistinguibili, nel loro abbigliamento vario e multicolore, nel susseguirsi di maschile e femminile, di volti, di acconciature dal diverso taglio e colore. Un fondersi di provenienze geografiche più disparate, che si traduce in una molteplicità di dialetti, pur con una netta prevalenza del romanesco, distinguibile nella parlata, dai termini coloriti e fantasiosi, o soltanto dall’accento, più o meno marcato. Gli studenti sono la vera ricchezza di questo gigantesco campus universitario, voluto da Mussolini per asservire la cultura al potere, ma oramai sorgente di pensiero libero, luogo di scambi multietnici, di rapporti interpersonali utili e fecondi nel prosieguo del reale, nel suo sviluppo proteso verso una difficile, quasi utopica ma anche concreta e futura, indispensabile uguaglianza fra gli uomini.

Purtroppo non mi è stato possibile, a causa di gravi problemi familiari, concludere il Dottorato, ma in quei tre anni sabbatici, oltre a riposarmi dall’impegno quasi ventennale con la scuola, ho imparato molto, e soprattutto mi sono sempre sentito a mio agio, circondato com’ero da dottorandi e da studenti con cui avevo in comune l’entusiasmo per la ricerca e non l’età.

Impiegando una felice metafora, posso affermare che La Sapienza è un’isola viva e popolata di accoglienti e variopinti indigeni non stanziali, a pochi passi dalla stazione Termini, una ricca isola tropicale, in cui quest’ultimi si recano per omaggiare – quasi inconsapevolmente – il Sapere, un’isola dove anche un naufrago come me, ha trovato per un po’ approdo e motivo d’esistenza.