Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Vagliate tutto / Ritenete il buono)







Rubrica quindicinale a cura di Guido Dotti, monaco di Bose


n° 21


SERVIRE DIO NELL’UMANITÀ


Badshah Khan (Abdul Ghaffar Khan)






di Guido Dotti

Badshah Khan (Abdul Ghaffar Khan), fotografia di pubblico dominio

Poiché Dio non ha bisogno di essere servito, ma servire la sua creazione è servire lui, prometto di servire l’umanità nel nome di Dio. Prometto di astenermi dalla violenza e dal cercare vendetta. Prometto di perdonare coloro che mi opprimono o mi trattano con crudeltà. Prometto di astenermi dal prendere parte a litigi e risse e dal crearmi nemici. Prometto di trattare tutti i pashtun come fratelli e amici. Prometto di astenermi da usi e costumi antisociali. Prometto di vivere una vita semplice, di praticare la virtù e di astenermi dal male. Prometto di avere modi gentili e una buona condotta, e di non condurre una vita pigra. Prometto di dedicare almeno due ore al giorno all’impegno sociale.

Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano, Edizioni Sonda, Torino 1990, p. 132.

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Un esercito professionale nonviolento può apparire un ossimoro, ma se leggiamo il testo del giuramento delle “reclute” di quell’esercito realmente esistito (fondato nel 1929 nella zona pashtun dell’allora India britannica) ci rendiamo conto che davvero la “forza della nonviolenza” è stata, almeno in certi luoghi e periodi, un autentico motore della storia. Protagonista fu Badshah Khan, nobile pashtun che intraprese, caso rarissimo tra i musulmani, il cammino della nonviolenza in piena sintonia con Gandhi per conquistare l’indipendenza del suo popolo.

Gli impegni del giuramento hanno sia la solennità delle decisioni fermamente abbracciate per tutta la vita che l’afflato spirituale di chi sa di mettersi al servizio di ideali più alti. Non a caso uno degli inviti rivolto da Badshah Khan ai suoi seguaci ricorda il sogno avuto da Francesco d’Assisi per “riparare la Chiesa in rovina”, quella di San Damiano e quella di Cristo: “O pashtun, la tua casa è andata in rovina. Levati e ricostruiscila e ricorda a quale stirpe appartieni!”.

Astenersi dalla violenza e dalla vendetta è impresa ardua per chiunque, ma in modo particolare per chi è nato e cresciuto in una cultura che considera normale abbinare il coraggio e la fierezza alla forza fisica. Ma d’altro canto, se quella stessa cultura considera sacro e inviolabile il giuramento, ecco che impegnarsi a servire l’umanità nel nome di Dio, a rifiutare l’antisocialità e la creazione di nemici diventa uno strumento potente per perseguire il bene comune. E questo in nome della propria fede islamica: “Ho un solo metro di misura, ed è la misura del proprio abbandonarsi a Dio … Non c’è niente di sorprendente nel fatto che un musulmano o un pashtun come me aderisca alla fede della nonviolenza … Musulmano è chi non ferisce mai nessuno, né con parole né con azioni, e lavora invece per il benessere e la felicità delle creature di Dio”.

Certo, come per il suo amico Gandhi, questo tipo di lotta comporta quasi inevitabilmente prigione e sofferenze, ma da esse si può uscire con ancora maggior forza spirituale: “Mi chiedo cosa sarebbe stato di me – scrive ancora Badshah Khan – se avessi avuto una vita facile, e non avessi avuto il privilegio di gustare le gioie della prigione e tutto ciò che essa significa”. La prigione come privilegio e fonte di gioia: un paradosso forse ancora più grande di quello di un esercito nonviolento. Eppure un paradosso capace di imprimere una svolta al corso della storia.



Badshah Khan (Abdul Ghaffar Khan) (Utmanzai, 6 febbraio 1890 – Peshawar, 20 gennaio 1988), educatore e leader politico pashtun. Imprigionato a più riprese, sia durante il dominio britannico che dopo l’indipendenza del Pakistan, seppe trasmettere un messaggio di fiera nonviolenza, resistendo alla tirannia per oltre sessant’anni e affermando con i fatti che la libertà di un popolo inizia dalla libertà interiore di ogni persona.


Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org