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Don Primo Mazzolari, foto di pubblico dominio tratta dalla rivista «Adesso», salva diversa evidenza, e mons. Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, foto per cortese concessione della Diocesi di Trieste



Il Vescovo di Trieste, che ha don Mazzolari nel cuore

di Stefano Sodaro



I cicli liturgici delle Chiese d’Oriente prevedono celebrazioni – come quella della Trasfigurazione del 6 agosto e quella della “Dormizione di Maria” del successivo 15 – che insieme compongono la solenne “Pasqua dell’Estate”. Vissuta - ad esempio - nel Monastero di Bose con la professione solenne di due nuovi fratelli la notte della Vigilia.

Ma solennizzata, se si può dir così, pure dal compleanno del nuovo Vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, che il giorno precedente al 6 agosto, sabato 5, compie 60 anni e che si trova oggi a Lisbona con i giovani della Diocesi.

Sono poco più di tre mesi che Trieste vede nella Cattedrale di San Giusto l’Eucarestia presieduta da questo nuovo Pastore della Chiesa locale, eppure è come se una primavera, lungamente attesa, avvolgesse dal 23 aprile scorso – data di ingresso a Trieste di mons. Trevisi – l’attualità, la vita e le speranze delle comunità, ecclesiali e non, presenti nel capoluogo giuliano.

Un vescovo che compie 60 anni significa un episcopato che può estendersi linearmente almeno per i prossimi 15 anni, potendo così incidere in modo profondo nella storia di una Chiesa e di una Città.

Ad un osservatore disincantato, per quanto attento, non sfuggono i tratti intensamente mazzolariani di mons. Trevisi, fin – peraltro – dalle sue prime parole nella Cattedrale di Cremona il 25 marzo scorso, giorno della sua ordinazione episcopale, e poi a San Giusto, a Trieste, durante l’omelia del suo primo Pontificale il 23 aprile, appunto, in cui la profezia di don Primo Mazzolari ha riempito di senso le prime indicazioni pastorali del nuovo Vescovo.

Il primo giorno di sua presenza a Trieste, mons. Trevisi ha voluto subito incontrare il Rabbino per una lettura assieme di un passo biblico ed ancor prima dell’ordinazione ha voluto ricordare la figura di Franco Rotelli, artefice con Franco Basaglia di quella rivoluzione psichiatrica che segna un punto di non ritorno nella storia della cultura sociale e della consapevolezza politica di cosa significhi, per tutte e tutti, la cosiddetta, stra-esorcizzata, vituperata e bandita, “follia”.

Mettiamo però assieme qualche elemento di ulteriore augurio, se è concesso, per gli anni a venire.

Il sottoscritto ricorda, personalmente, la presenza del fondatore di Bose, Enzo Bianchi, tre volte a Trieste, anche se non è in grado di assegnarvi precise collocazioni temporali: una prima volta su invito di p. Mario Vit SJ al Centro “Veritas”, una seconda alla Stazione Marittima su invito dell’allora Vescovo di Trieste mons. Eugenio Ravignani ed una terza, nel 2011 (di questa ricordo anche l’anno in effetti), in occasione della Settimana Liturgica Nazionale, ma dunque non per diretto invito della Diocesi.

Di acqua sotto i ponti – come si dice – ne è passata. Bose ha avuto due successivi priori, fr. Luciano Manicardi e l’attuale fr. Sabino Chialà, e nel 2011 sedeva sulla cattedrale episcopale di Roma un Papa che si sarebbe dimesso due anni dopo. Un’altra era, insomma, un altro evo.

Viene da chiedersi se dunque i tempi non siano maturi per avviare una conoscenza strutturata ed organica tra Diocesi di Trieste e Monastero di Bose non per chissà quali motivi, magari di equilibri cattolici interni, ma per il semplice desiderio di tenere viva ecclesialmente la memoria di don Primo Mazzolari in una forma diversa dalla memorialistica e dall’indagine storiografica, per quanto entrambe necessarie.

Don Mazzolari muore il 12 aprile 1959, dopo nemmeno tre mesi dall’annuncio del Vaticano II il 25 gennaio 1959, di cui tuttavia riesce a comprendere lucidamente importanza e portata.

Trieste non è Bozzolo, certo, ma non è neppure Milano, Roma o Torino. Le dimensioni urbane tutto sommato contenute del microcosmo cittadino situato al confine con la Slovenia ne fanno un angolo d’Italia “simil-monastico”, per quanto laico fin nelle midolla. Da Trieste la psicoanalisi introdotta da Edoardo Weiss – secondo cugino di don Milani – si è lentamente diffusa in tutto il Paese. La mamma di don Milani, Alice Weiss, qui è nata e qui sono sepolti - nel Cimitero Israelitico - i suoi genitori, nonni materni del Priore di Barbiana.

Ce lo dice la cronaca storica: neppure tra il fondatore di Bose e don Milani le cose funzionarono benissimo in termini di reciproca conoscenza. Ha affermato Enzo Bianchi qualche anno fa al Salone del Libro di Torino: «(…) la grandezza di don Milani, come è stata, non era, come posso dire, accoglibile in quel mondo spirituale cattolico che veniva fuori dal Concilio in poi. Per don Milani, leggete, il Concilio è una cosa estranea, è una dimensione che non lo tocca. E se penso che ero più giovane di lui di un po’ di anni, e a come invece mi aveva toccato e aveva mutato completamente la mia vita, lui certamente non è uno che è toccato dal Concilio. Non è toccato nemmeno dalla parola di Dio; per lui la parola è soprattutto lo strumento umano con cui uno trova la libertà, la soggettività, attua quella che nel ’68 sarà chiamata la prise de parole e lui voleva dare questa parola ai poveri e ai semplici. Ma certo non c’è in lui una teologia della Parola di Dio: anche quando qualche volta la scrive con la maiuscola, non c’è dentro una concezione della Parola di Dio.».

Parole assai problematiche (e per quanto ci riguarda non condivisibili), che al tempo generarono sorpresa. In tal senso si può forse affermare che don Milani ha bisogno di tornare anche a Bose o che, viceversa, Bose abbisogna di andare a Barbiana, come del resto è avvenuto con il recente Convegno, tenutosi proprio a Bose, che ha visto gli interventi di Stefania Di Pasquale e Gianni Criveller

Ma per compiere simile itinerario non si può ignorare la matrice ebraico-triestina di don Lorenzo e non si può ignorare quella intensissima corrispondenza tra lui e don Primo Mazzolari, su cui ha acutamente indagato la storica Mariangela Maraviglia.

In occasione, dunque, dei 60 anni di mons. Enrico Trevisi – cui rivolgiamo i più cordiali e sinceri auguri – potrebbe cominciare a comporsi una singolare geografia di rinnovamento ecclesiale che, con la celebrazione del prossimo Sinodo ad ottobre, sarebbe in grado di sviluppare a livello ecclesiologico, e non più soltanto di “buoni sentimenti”, le linee disegnate da don Primo Mazzolari alla ricerca, in particolare, di una dislocazione negli ambiti più diversi, non escluso quello strettamente politico, della testimonianza cristiana. Il 23 aprile a San Giusto mons. Trevisi ha ricordato questo passaggio di don Mazzolari, da Tempo di credere: “Nessuno è mai così fuori dalla chiesa da non potervi un giorno tornare come operaio inconfondibile: nessuno è mai così nemico della chiesa da non lavorare inconsapevolmente per essa”. 

Del resto, proprio a Trieste Ignazio Silone venne arrestato dai fascisti. E nessuno lo ricorda.

Buona domenica.


Particolare - Monastero di Bose - foto del direttore

Panorama dal Castello di Albiano - foto del direttore