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Credo in Spiritum Sanctum, Sanctam Ecclesiam Catholicam - Borsum, St. Martinus, Decke, Particolare - foto di Rabano Flavo, tratta da commons.wikimedia.org


Credo la Chiesa, una, cattolica

di Dario Culot

Gesù ha parlato del Regno di Dio, di cui il Credo non parla, mentre parla della Chiesa di cui Gesù non ha parlato nei termini riportati dal Credo: cioè Gesù non ha mai parlato di una Chiesa una, santa, cattolica e apostolica[1]. Per Chiesa (dal greco ekklesia) s’intende i convocati o chiamati dall'iniziativa di Dio attraverso l'annuncio del vangelo. Anche il Regno di Dio è fatto di persone, di comunità, ma è sicuramente una realtà più ampia della Chiesa, e quindi anche i membri di altre religioni possono avervi accesso[2] (Redemptoris Missio, § 20 del 7.12.1990). Nella sua vita Gesù ha fatto quello che era in suo potere fare: l’ha perfino persa per instaurare il Regno di Dio, ma questo regno non è ancora arrivato forse perché i suoi seguaci, invece di rimboccarsi le maniche per portare avanti l'opera da lui avviata continuano a pensare che essa è già stata realizzata in modo perfetto da chi ha iniziato il percorso. Tant’è vero che la Chiesa ha abituato i suoi fedeli più a celebrare che a operare, più a ricordare, ad offrire al Padre i meriti del Figlio che i propri, così l’apatia, l'ignavia ha rubato il posto all'impegno caritativo[3]. Come diceva don Augusto Fontana, a Parma, “Più di qualcuno pensa che si possa perdere la fede come si perde un portafoglio, ma può capitare qualcosa di peggio, ed è quando la fede non scuote più le nostre scelte,” e si finisce nell’apatia.

Nel Credo non lo si dice, ma al magistero piace dire che la Chiesa è anche Madre. È facile obiettare che, se la Chiesa è Madre, com’è che la sua gerarchia è composta solo da maschi? Com’è che un sinodo fatto di soli maschi pensa di poter parlare della questione femminile? Ormai si riconosce che la struttura maschilista della Chiesa non deriva da un comando di Gesù, ma da ragioni storiche e sociali. Dunque, anche nella Chiesa è necessaria una continua conversione, ecclesia semper reformanda: lo si dice da tempo, ma poi lo si fa?

Quand’ero piccolo, a questi attributi definitori della Chiesa, veniva aggiunto nel Credo anche l’aggettivo ‘romana’ e, ancor più di oggi, la s’identificava non tanto come la comunità di credenti battezzati in Cristo, ma col ristretto gruppo di battezzati facenti parte del clero, cioè col gruppo dirigenziale di un’istituzione avente la sua sede a Roma[4]. Si diceva Chiesa e si pensava al clero; i fedeli laici non contavano nulla[5]. Questo perché il fondamento della Chiesa, rimasta inalterato fino all’ultimo concilio, era il seguente: «la Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i Pastori e il Gregge, coloro che occupano un grado fra quelli della gerarchia e la folla dei fedeli. E queste categorie sono così nettamente distinte fra loro, che solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e indirizzare tutti i membri verso le finalità sociali; e la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e di seguire, come un docile gregge, i suoi Pastori»[6]. Insomma, come nel film Il marchese del Grillo, anche il papa poteva dire: «io sono io, e voi non siete un c…z», con i fedeli costretti ad obbedire ad altri uomini, uguali a loro in tutto, e pur tuttavia depositari di un potere smisurato (sicuramente lo era a quel tempo) al quale non ci si poteva opporre. O meglio, per secoli questo esercizio di un potere enorme e assoluto era stato accettato; oggi non più. Oggi siamo ormai consapevoli che la sequela di Gesù costituisce la vera essenza della Chiesa. Il che, detto in altre parole, significa che c’è vera Chiesa dove i suoi componenti sono veri seguaci di Gesù, non docile gregge nelle mani dei pastori. Ormai spetta ai giovani rinnovare la Chiesa e il Sinodo che è ai suoi primi passi potrebbe essere un’occasione unica da non perdere. Il problema è che molti vecchi gerarchi cercano di estrometterli, se non si adeguano al mondo da essi costruito, perché per essi la Chiesa va bene così com'è.

A dimostrazione di quel che dico, Alfred Loisy, il famoso biblista francese entrato in conflitto con la gerarchia, aveva affermato che Gesù aveva annunciato il Regno di Dio ed era invece venuta la Chiesa,[7] beccandosi ovviamente il cartellino rosso di espulsione. Frate Giovanni Vannucci,[8] aveva ricevuto solo il cartellino giallo avendo affermato: «se le congregazioni romane che presiedono alla dottrina della fede fossero state di quel valore che pretendono di avere e che molti, oggi, riconoscono loro, questo risulterebbe dai vangeli: "un giorno a Roma si fonderanno quei dicasteri, ascoltateli!” Invece nessun vangelo lo dice. Gesù ha soltanto detto: "ascoltate lo Spirito santo" (Mc 13, 11; Gv 14, 16.26; Gv 16, 13)».

Credo che questi due grandi teologi maltrattati dalla gerarchia avessero pienamente ragione, perché Gesù non ha costituito alcun ente istituzionale, non ha previsto alcuna gerarchia (men che meno a Roma), non ha esercitato alcun potere per cui non può aver delegato a nessuno un potere che non ha mai esercitato. Si è limitato a offrire il messaggio non-dottrinale dell’amore, inaugurando così la grandiosa rivoluzione con cui ha fatto deflagrare l’impianto delle minuziose regole farisaiche, introducendo al posto dell’intollerante fede formale (ancora oggi ampiamente presente nella massa dei sedicenti cattolici) la fiducia semplice nel Padre, la fratellanza concreta degli uomini e la vocazione a un unico amore da mettere, però, in pratica (Lc 8, 21). E più che con le parole, Gesù ha fatto capire questo con l’esempio, cioè vivendo quello che diceva, perché è chiaro che la credibilità di una persona viene dal suo comportamento, non di sicuro dal suo insegnamento astratto.

È indubbiamente un dato di fatto che oggi come oggi solo al cap.III della Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen Gentium del 21.11.1964, compare la gerarchia, termine che non esiste nei vangeli ma che è ben presente nella tradizione e che non si è potuto evitare neanche nell’ultimo concilio per non urtare i conservatori. Però a questa gerarchia viene ricordato che il suo posto non sta fra Dio e il popolo, designato al precedente cap.II come comunità di cui Dio si prende direttamente cura senza far ricorso a rappresentanti, ma dentro al popolo[9].

Nel Credo questo principio fissato dal concilio Vaticano II è del tutto assente, mentre dovrebbe essere messo ben in evidenza. In particolare, non dovrebbe mancare nel Credo l’annotazione che non basta mettere insieme delle persone sotto uno stesso capo,[10] ma occorre che queste siano unite tra loro dallo stesso Spirito d’amore manifestato da Gesù. In altre parole è l’amore che crea la comunità, non l’organizzazione piramidale, tanto più che Gesù aveva rifiutato espressamente il modello giudaico (sinedrio a comandare, e sotto il popolo ad obbedire)[11].

Il primo a parlare di cattolicesimo in senso di universalità è stato Ignazio di Antiochia. In senso confessionale, come lo s’intende oggi per distinguerci dalle altre Chiese cristiane, se ne parla invece solo dal medioevo. Ma se veramente si pensa di utilizzare il termine nel senso di universale, perché non si usa la formula: Credo la Chiesa … universale? Per la maggior parte della gente, il termine ‘cattolica’ è sinonimo di Chiesa di Roma, che obbedisce al papa e alla gerarchia. È chiaro cioè che la Chiesa romana si è accaparrata e ha confiscato la cattolicità[12].

Perciò richiamo ancora una volta quanto aveva già detto chiarissimamente nel ‘500 il teologo anglicano Richard Hooker, mentre noi cattolici, col concilio di Trento, alzavamo muri a difesa della unicità e superiorità del solo cattolicesimo romano: “in realtà c’è una sola Chiesa di Cristo visibile in terra; siamo già un’unica Chiesa. Come un oceano ha tanti mari fra di loro collegati, così è la Chiesa universale. Pertanto ogni Chiesa è in comunione con le altre, come ogni mare è in collegamento con gli altri. Se gli altri (e qui si riferiva alla Chiesa di Roma) non la pensano così, è un problema loro”.

Ora se la Chiesa deve comprendere tutti, è chiaro che deve anche essere una[13]. Se più sono le Chiese, nessuna è cattolica perché nessun riesce a comprendere l’universalità. Ma per diventare universale, la Chiesa-istituzione romana dovrebbe abbandonare molti dei suoi principi non negoziabili, delle sue altezzose dichiarazioni perentorie, delle sue affermazioni gratuite, e con grande umiltà riconoscere anche dubbi ed errori, senza pretendere di avere in tasca tutte le risposte[14]. Anzi, dovrebbe riconoscere di aver più volte sbagliato, ma è lampante per tutti che è assai difficile e doloroso dover smentire sé stessi.

Inoltre la gerarchia dovrebbe usare le sue formule solo per includere e non per escludere. Per il solo fatto di escludere, infatti, già non può essere universale. Finché si esclude, si scomunica, è chiaro che l’unità (dei cristiani) resta solo un pio desiderio. E voglio anche far presente che un Gesù che esclude, divide e porta allo scontro gli esseri umani non è e non può essere il vero Gesù[15]. Gesù non ha mai allontanato nessuno, non ha mai chiesto a nessuno di cambiare le sue credenze religiose per seguirlo. Gesù ha chiesto a tutti di cambiare il proprio modo di vivere, e di vivere d'ora in avanti secondo il vangelo (Mc 1, 15), non di aderire a certi dogmi e dottrine.

Dunque, secondo Gesù, nella vita della comunità, ci devono essere più voci o diversi strumenti che suonano assieme, ciascuno dando il meglio di sé. Non ci deve essere quella uniformità di voci e di suoni, quel grigio piattume che deriva dall’obbedienza cieca e assoluta a un unico capo, ma una ricca varietà nell’unico spartito che è quello dell’amore. Quindi l’amore è vissuto in varie forme, in varie modalità. Per questo viene usato il verbo si accordano (Mt 18, 19) in greco è συμφωνήσωσιν, da cui la nostra parola “sinfonia” che non può essere suonata da un gruppo di soli violinisti occorrendo una pluralità di strumenti[16]. La religione dell’obbedienza e della sottomissione, monolitica e spietata, è invece propria dei potenti, determinati ad estirpare la zizzania (cioè chi non la pensa come loro). Gesù, contrario alla cieca obbedienza, invita sempre e solo a somigliare al Padre nel comportamento, a cercare tenacemente armonia,[17] null’altro. Erroneamente perciò dalla lettura del catechismo e dalla predicazione sentite nella nostra infanzia ci siamo fatti l’idea che il cristianesimo fosse fin dall'inizio un movimento granitico, unito e compatto come un monolite. Ci è stata inculcata l'idea che l’unità è il segno di riconoscimento, il «biglietto da visita» della Chiesa nel corso della sua storia universale[18]. Ancora oggi c’è chi sostiene che se vi sono più strade si crea confusione, e «la confusione è del diavolo[19].

Invece la realtà odierna nel campo religioso non tende affatto alla piatta omogeneità della Chiesa, ma piuttosto al pluralismo, tant’è che oggi sempre di più prende piede l’idea che la pluralità non sia un incidente di percorso in attesa di arrivare alla unicità, ma sia voluta da Dio stesso che non è cattolico, ma è Dio di tutti[20]. In altri termini, la fonte da cui nasce la nostra luce (la nostra Chiesa) è la stessa da cui nascono tutte le altre luci (altre comunità religiose), ma le altre luci non provengono dalla nostra Chiesa, bensì direttamente dalla stessa fonte (Dio). Tutte le luci possono contribuire all’arcobaleno multicolore della luce totale, e ogni luce può arricchirsi accogliendo il contributo altrui attraverso un proficuo dialogo interreligioso.

E a ben vedere un pluralismo esiste da sempre perfino all’interno della stessa Chiesa cattolica. Fin dal principio la Chiesa è stata plurale, tant’è che fin dal principio ci sono stati ben 4 vangeli per raccontare la medesima esperienza, però con toni spesso diversi, così come vissuti da differenti comunità.

Tutto il cristianesimo è sempre stato una galassia dove si sono intrecciate tante idee diverse; siamo alla presenza di un oceano mosso, attraversato da mille correnti, e non davanti a un oceano piatto e immobile. L’esperienza cristiana, come si vede già dall’Apocalisse (basta leggere le lettere alle 7 diverse chiese - Ap 2ss.), è sempre stata al plurale. Tutta l’opera di Abelardo Sic et non[21] si potrebbe così riassumere: “è così da un certo punto di vista, ma non da un altro”[22].

Come ha più volte detto papa Francesco, l’unità della Chiesa deve essere intesa come un poliedro dalle varie sfaccettature dovendosi tener conto delle diversità delle culture e delle sensibilità. Perciò l’unità non può mai ridursi a una piatta uniformità[23].

Non a caso oggi ci domandiamo - alla luce del Vangelo - se la Chiesa è un gruppo di persone che per “fede” aderiscono ad una serie di verità definite ed attribuite a Gesù Cristo (poi consolidate negli insegnamenti della Chiesa, anche sotto forma di dogmi, cioè di principi non più discutibili), o se piuttosto questa Chiesa non dovrebbe essere una comunità di persone che - assunta la persona di Gesù terreno come riferimento di vita in cui porre la propria fiducia - tentano di mettersi alla sua sequela, per crescere progressivamente in umanità. Gesù, infatti, ci ha rivelato un Dio umano e nella sua stessa persona ha portato a compimento l'umanità, che anche in ciascuno di noi ha la potenzialità per svilupparsi e continuare a crescere.

Sicuramente oggi la Chiesa subisce un’emorragia di fedeli e perde di rilevanza, ma più appropriato sarebbe domandare: quale Chiesa sta perdendo rilevanza? Quella istituzionale costruita con un sistema di regole e di norme, calate spesso dall’alto dalla gerarchia, con poca disponibilità a mettersi in discussione? O quella della comunità dei credenti che si mette a disposizione del prossimo e pensa di collaborare al progetto di Dio sotto l’ispirazione dello Spirito che soffia dove vuole, rendendosi conto di trovarsi immersa in una realtà che cambia rapidamente e di dover affrontare sfide inimmaginabili fino a qualche anno fa? Non è che la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica di cui parla il Credo, appartiene al primo dei due indirizzi?

In realtà questo doppio indirizzo interno non è nato oggi; oggi forse è solo più marcato che in passato, però accompagna la Chiesa fin dall'inizio, perché fin dall’inizio nel cristianesimo ci sono state quanto meno due visioni della fede e della teologia:[24]

a) la fede come verità dottrinale, dove si pensa di capire chi è Dio studiando metafisica, e d'incontrare Dio principalmente nella “osservanza della religione”, dei dogmi, e obbedendo al magistero;

b) la fede come misericordia operosa, dove si pensa di incontrare Dio principalmente nella sequela di Gesù, vivendo come Gesù, lottando contro la sofferenza umana, così come narrato dai vangeli.

Ora, la teologia dogmatica (o speculativa sub a) si basa soprattutto sulle lettere di Paolo e sul Gesù risorto,[25] mentre la teologia narrativa (o pastorale sub b) ha il suo asse portante nel Vangelo di Gesù e tende a riportare i fedeli tutti a vivere come spiega il Vangelo. Entrambe hanno fatto sempre parte del canone, senza però mai veramente integrarsi. Ciò sta a significare che il dogma (teoria cui si deve credere) e la prassi (ciò che si deve fare), avendo avuto fonti distinte fin dall'inizio, da sempre sono andati avanti su binari non convergenti. Oggi, si usa semplicemente chiamare chi segue la prima via ‘conservatore’, chi segue la seconda ‘progressista’, e queste due linee portano spesso anche ad aspri contrasti. La teologia dogmatica rimprovera alla seconda di essere superficiale e di mancare di una valida struttura portante per la razionalità. La teologia narrativa rimprovera alla prima di non riuscire, con tutte quelle dotte costruzioni mentali, a toccare la carne viva della vita degli uomini.

Per lunghi secoli, anche dopo l’ultimo concilio, la Chiesa (intesa come istituzione magisteriale) ha privilegiato la via dogmatica conservatrice (da ultimo con papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI). È allora chiaro che se l’istituzione gerarchica porta la Chiesa su una delle due strade, tutti i credenti che camminano sull’altra entrano a far parte della categoria dei credenti del disagio, ben individuata da Vito Mancuso[26] in coloro che non sentono la propria esigenza di spiritualità interpretata dall’offerta religiosa tradizionale, in coloro che si agitano nella gabbia della loro religione senza venire a capo dei loro dubbi, e trovano insufficienti e carenti le formule dottrinali con le quali il vangelo e il messaggio di Gesù continua ad esserci presentato, soprattutto quando di fronte alle tante domande che chiedono urgentemente nuove risposte si risponde con un bel pacchetto di divieti: la Chiesa del no, come è stato detto con felice sintesi[27]. Queste persone non si sentono né rappresentate, né realizzate, e anche se l’establishment le liquida come marginali forse cominciano ad essere maggioranza. Solo con papa Francesco la Chiesa ha tentato d’imboccare la seconda strada, con notevoli resistenze più all’interno che all’esterno della stessa. Ecco spiegato in poche parole perché in molti, oggi, non accettano papa Francesco e pensano che stia portando la Chiesa alla rovina. Perché? Ma perché erano abituati ai papi precedenti che percorrevano la strada della teologia dogmatica, quella dei principi non negoziabili, quella del "questo è permesso, questo è proibito”. Tutto chiaramente inquadrato: o la casella bianca o la casella nera.

Pensiamo solo a quanti rifiuteranno l’idea espressa da papa Francesco nell’omelia del 1.1.2022, quando ha detto che la “Chiesa è madre…, la Chiesa è donna”[28]. Ma accettando questo fatto, sarà difficile continuare a negare alle donne l’accesso all’ordine sacro[29]. Oggi quasi tutti si rendono conto che il Dio biblico collerico e crudele è in totale contraddizione con il Dio Padre-Madre di amore, di tenerezza e di misericordia raccontato da Gesù. Quando Nietzsche aveva evidenziato la contraddizione fra le due immagini di Dio entrambe presenti nella dottrina, la gerarchia l’aveva messo all’indice cercando di zittirlo. Allora ancora tanti credevano che Nietzsche sbagliasse e che il magistero fosse sempre dalla parte giusta. Ma per quanto tempo ancora ci saranno fedeli disposti ad accettare insegnamenti contraddittori da parte del magistero, conservando intatta la loro ingenuità senza interrogarsi quando sono davanti a un’evidente contraddizione?




NOTE

[1] Il termine ‘chiesa’ non ricorre mai nei Vangeli di Marco e Luca. Solo 3 volte in Matteo, ma ben 46 in Paolo (Fabbris R., La Chiesa nel Nuovo Testamento, ed. Centro Diocesano di Pastorale Universitaria, Trieste,1997, Quaderno n.2/1992-1993, 63).

[2] Dupuis J., Perché non sono eretico, ed. EMI, Bologna, 2014, 102.

[3] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 149.

[4] Sicuramente accogliere e gestire il singolo è più facile che gestire il gruppo organizzato. Sul come nel tempo si è passati alla gerarchia piramidale, mi ha convinto questa spiegazione: una Chiesa con la pretesa di essere universale dapprima tenta effettivamente di raggiungere e convincere tutti. Ma entrando in contatto con avversari già dotati di istituzioni, si rende conto di quanto sia difficile la sua opera. Anzi, stimolata dai suoi avversari, anche la Chiesa crea le sue istituzioni che col tempo divengono la cosa principale. Il peso proprio delle istituzioni, che acquistano vita autonoma, addomesticano col tempo l’impeto della propaganda originaria. Perciò la Chiesa tende al controllo perché teme il pericolo della disgregazione. C’è una forte tendenza a preferire un gregge duttile. È consueto considerare i fedeli come pecore e lodarli per la loro obbedienza. La meta, nella quale non si entra subito, viene posta a grande distanza (l’aldilà), e la si deve raggiungere con molti sforzi e con molte sottomissioni. Prevale la ripetizione: in tempi precisi, in spazi determinati i fedeli vengono radunati e, mediante funzioni sempre uguali li si abitua a qualcosa che impressiona senza essere pericoloso (Canetti E., Massa e potere, Adephi, Milano, 1981, 29s).

[5] Anche il § 32 della Lumen Gentium precisa che la distinzione tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio è stata posta dal Signore. Analogamente il can.207 §1 del codice di diritto canonico mantiene la consolidata struttura piramidale che suddivide la chiesa in due stati: chierici e laici, i quali ultimi restano dei semplici aiutanti della gerarchia, perché è sempre e solo la gerarchia che stabilisce quali sono le funzioni dei laici. Neanche tutta l’opposizione manifestata da Gesù al sacerdozio del Tempio è stata presa ancora seriamente in considerazione dalla Chiesa.

[6] Enciclica Vehementer Nos dell’11.2.1906, in www.vatican.va / Sommi pontefici/ sito web Pio X/ Encicliche.

[7] Lo ricorda papa Ratzinger J-Benedetto XVI, in Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 71. Ma va anche sottolineato che, mentre nei vangeli sinottici si parla oltre cento volte del regno di Dio, si parla solo due volte della chiesa (Mt 16, 18; Mt 18, 17) (Küng H., La Chiesa, Queriniana, Brescia, 1967, 47), e comunque mai viene riportata una parola di Gesù detta in pubblico per informare qualcuno della costruzione di una sua chiesa (Küng H., La Chiesa, Queriniana, Brescia, 1967, 81).

[8] Vannucci G., Nel cuore dell’essere, Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 117.

[9] Ortensio da Spinetoli, L’inutile fardello, Chiarelettere, Milano, 2017, 44.

[10] Già Papa Wojtyla si era dichiarato disposto a "trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si aprisse ad una situazione nuova" (in www.vatican.va / Sommi Pontefici/ Giovanni Paolo II/ Encicliche Ut Unum sint del 25 maggio 1995, n. 95). Anche papa Benedetto XVI aveva sostenuto che una riforma è necessaria per il cammino della Chiesa (Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana in occasione del Natale, in www.vatican.va/ Sommi Pontefici/ Benedetto XVI/ Sito web/ Discorsi/ 2005/ dicembre). Per veder smosse un po’ le acque si è dovuto aspettare papa Francesco.

[11] Ortensio da Spinetoli, L’inutile fardello, Chiarelettere, Milano, 2017, 47.

[12] Théron M., Piccola enciclopedia delle eresie, ed. il melangolo, Genova, 2006, 9.

[13] Cfr. anche quanto scritto nell’articolo Credo la Chiesa una, al n.460 di questo giornale.

Per essere una, la Chiesa cattolica si è strutturata gerarchicamente utilizzando i criteri non proprio evangelici del potere e dell’autorità: ma di questo parlerò in un altro articolo.

[14] Sicuramente papa Francesco avrà shockato un bel po’ di pii credenti quando ha affermato, nell’intervista fatta da Fazio per la trasmissione televisiva Che tempo che fa del 6.2.2022, che non sa spiegare il perché della sofferenza dei bambini.

[15] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 63.

[16] Certo che anche col pluralismo c’è il rischio che la Chiesa diventi un insieme di gruppi sfaldati, in cui ogni gruppo si percepisce e viene percepito come tale. Ecco perché è indispensabile cercare comunque l’armonia.

Ma solo un pluralismo dialogante, riconoscendo i nostri limiti ma al tempo stesso credendo all'esistenza di un bene assoluto cui ci si può avvicinare passo dopo passo, permette di pervenire a forme di umanità nuove, con un continuo adeguamento al processo vitale che viene vissuto momento per momento.

[17] Maggi A. e Thellung A., La conversione dei buoni, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 49.

[18] Ancora così sostiene Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo Cinisello Balsamo (MI), 2012, 76. In effetti molti credono che in materia di religione ci sia all’inizio un’unità o un consenso, e che solo in seguito si allontanino da questa unità coloro che vengono definiti gli eretici. «Al contrario, la diversità viene prima, l’unità dopo. All’inizio c’è la complessità, il contrasto, la dissonanza. Non ci sono né unanimità, né sinfonia o accordo di voci…Solo in seguito si instaura un’opinione dominante stabilita dall'autorità. Essa viene dall'alto in basso, come verità da ripetersi meccanicamente, è ciò che si esprime con la parola catechismo» (Théron Michel, Piccola enciclopedia delle eresie, ed. il melangolo, Genova, 2006, 8).

[19]Così ritiene il vescovo americano Charles Chaput, citato in “Famiglia Cristiana”, n. 44/2014, 30.

[20] Come si è visto nell’articolo al n.647 del febbraio 2022 di questo giornale. Cfr. anche la dichiarazione di Abu Dhabi del 4.2.2019.

[21] In www.documentacatholicaomnia.eu, sotto Abelardus.

[22] Seguendo la logica di Aristotele noi occidentali diciamo che tra due affermazioni contraddittorie una è vera e l'altra è non vera. In Oriente sono più possibilisti: se una cosa è vera può anche essere non vera; se una cosa è non vera può anche essere vera: Pensiamo al simbolo yin e yang, in cui ognuna delle due parti del cerchio ha in sé il puntino della parte opposta.

[23] Anche papa Francesco ha detto che l'unità non è uniformità (in www.vatican.va/ Discorsi/ 2016/ novembre/ Ai partecipanti alla Plenaria Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani).

[24] Il cardinale Müller, già responsabile della Congregazione per la dottrina della fede, aveva riconosciuto che molti distinguono fra una fede dogmatica, così come la intende Paolo, e una fede spirituale (o pastorale, o della prassi), così come vissuta dal Gesù terreno: in http://www.iltimone.org/32503,News.html; vedi anche in http://www.ilfoglio.it/articoli/2014/12/04/religione-cardinal-muller-separare-pastorale-e-dottrina-sottile-eresia___1-v-123496-rubriche_c287.htm.

Anche Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, Queriniana, Brescia, 2005, 465s. distingue fra teologia speculativa che affina i dogmi, e altra teologia che parte dai racconti evangelici.

[25] Castillo J.M., Vittime del peccato, in www.studibiblici.it/ Multimedia/audio conferenze/tre giorni biblica 2012.

[26] Mancuso V., intervista in “Tempi di fraternità”, gennaio 2010, reperibile in www.cdbchieri.it/rassegna stampa.

[27] Con questo titolo, appunto, è uscito un libro: Politi M., La Chiesa del no, ed. Mondadori, Milano, 2009. Sembra che un netto cambiamento di rotta stia avvenendo ora con papa Francesco, il quale ha detto fra l’altro: «la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli…vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite» (Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La civiltà cattolica”, n. 3918/2013, 461s.). E quindi, anche chi vuol parlare con Dio dovrebbe andare a trovare qualcuno (Dio?) in ospedale dove è ammalato, o in carcere dove quel qualcuno (Dio?) è detenuto.

Se poi siamo anche credenti, e riteniamo che la Chiesa sia un ospedale da campo, il nome di Dio può essere gridato solo dai feriti e dagli ammalati che ivi giungono, non da quelli che tranquillamente aspettano l’arrivo degli ammalati. E, al momento, gli esclusi sono quelli che stanno fuori, non quelli che stanno dentro, cioè gli immigrati che arrivano, non noi che siamo dentro alla fortezza Europa.

Comunque, solo un medico che sia stato ferito può veramente comprendere e curare, solo una Chiesa ferita può diventare «ospedale da campo».

[28] Ad esempio, a Trieste, nel 1900 venne impedito al coro misto Palestriniano, diretto dal maestro Julius Kugy (padre dell’alpinismo moderno nelle Alpi Giulie) di cantare in chiesa la Missa Papae Marcelli, per il ferreo divieto paolino mulier taceat in ecclesia. (Il Piccolo 6.8.2011, 35). Oggi la cosa sarebbe impensabile, non forse all’interno della Chiesa che cerca sempre di cambiare assai poco, ma perché la società esterna è cambiata molto.

[29] Il tutto preceduto da altri passi importanti: ad es. il 10.1.2021, con lettera apostolica Spiritus Domini, in forma di motu proprio, ha dato alle donne accesso al Lettorato e Accolitato, modificando il can. 230 §1 del codice di diritto canonico; il 10.5.2021 con altro motu proprio ha istituito il ministero di catechista, pure aperto alle donne.

È vero che molti vorrebbero cambiamenti più radicali da parte di papa Francesco, ma è anche vero che pragmaticamente lui si sforza di cambiare qualcosa, ben sapendo che non si può cambiare tutto di colpo senza rischiare una netta spaccatura all’interno della Chiesa.