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Moschea di Damasco. Minareto del Giudizio Finale. Foto di Dario Culot



Il giudizio

di Dario Culot



Nel nostro Credo si professa la certezza che Dio giudicherà alla fine tutti i vivi e tutti i morti, e si sostiene che il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio (Gv 5, 22; At 10, 42; 2Tm 4, 1). Quindi Gesù-Dio sarà il nostro giudice finale.

Papa Benedetto XII aveva ribadito che «nel giorno del giudizio tutti gli uomini compariranno davanti al tribunale di Cristo con i loro corpi, per rendere conto delle loro azioni affinché ciascuno riporti le conseguenze di quanto ha operato con il corpo, sia il bene che il male»[1].

Questa visione cattolica del Dio giudice è simile a quella dell’Islam, ove si prevede un giudizio finale proprio da parte di Gesù che, nella veste di giudice, apparirà sul minareto della moschea di Damasco nel giorno del Giudizio: un’altra notevole somiglianza fra le due religioni e un’ulteriore dimostrazione che i musulmani hanno grande considerazione per Gesù, anche se la maggioranza dei cattolici non lo sa.

Nella seconda metà del 1700 il predicatore Chevassu ancora gridava in chiesa: “Il giorno del giudizio vi verrà chiesto il passaporto della Chiesa e cioè l'assoluzione dei peccati commessi; se non lo avete siete perduti”[2]. Questa idea piuttosto angosciante è giunta fino ai nostri giorni.

Personalmente non credo a questa idea di giudizio: non sarà necessario presentare il passaporto fornito dalla Chiesa cattolica.

Non siamo un regno con a capo i sacerdoti che rilasciano discrezionalmente il passaporto della salvezza; siamo un popolo di sacerdoti, come ha affermato il concilio Vaticano II:[3] non ci sono intermediari fra noi e Dio, proprio come da sempre sostengono i protestanti. Invece la Chiesa-istituzione, col suo clero che si dichiara investito dall’alto, in realtà ha fatto un’autoproclamazione.

Ovviamente molti cattolici, attaccati alla tradizione, sono rimasti inorriditi da questa affermazione del concilio, per essi eretica perché così si è mutata la dottrina cattolica tradizionale. Sostengono che in tal modo si perde il ‘sacro’, si perde la Chiesa ‘sacrale’ del Dio trascendente, si perde la priorità della salvezza della propria anima, cioè la dimensione dell’uomo che guarda verso l’eternità; quel che è peggio, si traduce il cattolicesimo in socializzazione perché Dio viene oggi pensato in funzione dell’uomo e non è più chiesta l’adorazione di per sé; volendo poi sostituire l’altare con la mensa, il sacrificio di Cristo crocifisso perde la sua centralità e la messa diventa la mensa condivisa dei fedeli partecipanti al dono di Dio;[4] neanche il prete non è più l’alter Christus chiamato a esprimere la differenza (sacra) fra Cristo e il popolo laico[5]. È stato scritto, ancora in questo millennio, che annunciare il cristianesimo partendo da Gesù, da quanto egli ha detto, è un errore gravissimo, è l’inizio dell’ateismo, perché «per capire che cosa vuol dire che Gesù è Dio occorre prima capire chi è Dio. Se non vi è prima la nozione di Dio, la figura di Gesù viene compresa solo in termini umani»[6].

Mi sembra invece che questo nuovo annuncio, lanciato dal concilio, sia perfettamente legittimo e che ai tradizionalisti si possa replicare:

(a) Chi afferma che Gesù è Dio sta affermando che già sa chi è Dio e come è Dio. E, posto che già conosce Dio, vuol solo sapere se quello che sappiamo di Dio si può applicare anche a Gesù. Ne consegue che, se effettivamente è Dio che ci rivela Gesù e ci dice chi è Gesù, ciò che in realtà stiamo facendo è annullare una delle grandi affermazioni del Nuovo Testamento, secondo la quale «nessuno ha mai visto Dio», e pertanto «il Figlio unigenito del Padre [Gesù] è lui che ce lo ha rivelato» (Gv 1,18). In questo modo alcuni libri di cristologia (senza rendersene conto) tolgono a Gesù la missione centrale di essere proprio lui il Rivelatore di Dio, colui che ce lo fa conoscere[7]. Oggi, finalmente, sempre più teologi e credenti riconoscono che Dio non sta alla nostra portata e che di conseguenza né lo conosciamo, né possiamo conoscerlo[8].

(b) Se per il credente il fatto fondante del cristianesimo è l’incarnazione di Dio, deve ammettersi che questo avvicinamento di Dio all’uomo ha abolito la distanza che fino a Cristo separava la sfera sacra da quella profana. Se il sacro, cioè il separato, viene avvicinato e quindi desacralizzato, non ci si avvicinerà più a Dio se non passando attraverso l’uomo, e appunto in quest’ottica va letto il giudizio finale. Se non si ama (o almeno rispetta) ogni uomo che s’incontra su questa terra non si ama e non si arriva neanche a Dio[9].

Insomma, pensiamo di conoscere i vangeli a menadito perché li abbiamo sentiti ripetere fin da piccoli, ma in realtà non dobbiamo cercare nuovi testi, ma avere nuovi occhi per leggere quei vangeli[10]. Ecco perché oggi leggere in modo nuovo e diverso dal passato i vangeli è lecito, e non è affatto eretico. Ma se questa nuova interpretazione è corretta, Gesù ha finito per sacralizzare l’uomo, sì che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio[11]. Ed è curioso anche notare che questa uguaglianza trova una corrispondenza nel mondo occidentale secolare sorto dall’Illuminismo (pensiamo alla rivoluzione francese o a Marx), per cui credenti e atei sono molto più vicini fra di loro di quanto comunemente si pensi.

Mentre in occidente la società si secolarizzava, l’aurea di santità che circondava Dio si è indirizzata sempre più verso l’uomo: i suoi diritti hanno cominciato a contare più di quelli di Dio e in questo senso c’è stata anche una nuova lettura dei vangeli perché ci si è accorti che questi nuovi valori corrispondevano perfettamente allo spirito dei vangeli. I diritti umani, la dignità dell’uomo hanno portato a una umanizzazione mai vista prima, mentre sono scomparsi almeno alcuni eccessi di disumanità (es. tortura, roghi, schiavitù, l’uccisione degli infedeli) in precedenza tranquillamente ammessi, sempre in nome di Dio. Indubbio che, senza l’Illuminismo, simili passi sarebbero stati assai più ardui.

Gesù ci ha indicato, gratuitamente, una via per salvarci, e il Vangelo di Matteo ce la spiega con una breve sintesi (Mt 25, 31-46)): occorre prestare attenzione verso gli emarginati, gli ignudi, gli affamati e gli assetati, gli stranieri, i carcerati, gli ammalati. Gesù cioè elenca semplicemente una serie di condotte utili ad alleviare la sofferenza della gente, e fa intendere che nel giudizio finale (Mt 25, 31-46) il criterio scelto da Dio per giudicare gli uomini non sarà il peccato che tanto interessa alla Chiesa,[12] non sarà la tutela dei diritti di Dio, ma sempre e solo la sofferenza degli altri, che noi potevamo in qualche modo alleviare e se non l’abbiamo fatto avremmo peccato di omissione.

Giovanni dice nella sua prima lettera (4, 7) che chi ama conosce Dio; non dice che chi conosce Dio ama. Spesso noi diciamo di credere, ma non amiamo; invece colui che ama, anche se dice di non credere, sta collaborando con Dio. Quindi saremo probabilmente sconcertati, il giorno del giudizio, nel vedere che tanti che si dichiaravano atei saranno salvati, e tanti che si dichiaravano ferventi credenti non vedranno la risurrezione, cioè non proseguiranno nella loro vita. Se non avranno fatto nascere in loro l’impegno quotidiano di essere uomini e donne capaci di superare ogni divisione, e creare comunione avranno fatto a vuoto la comunione quotidiana, anche se saranno andati tutti i giorni nella cappella ad adorare l’ostia santissima. Ormai dovremmo saperlo tutti: la religione non è uno spazio di consolazione ma è un impegno di partecipazione.

Sono sempre più convinto che ci sono tante persone che non vanno in chiesa, non fanno mai la comunione, però lavorano, lottano (magari anche bestemmiando) e rischiano in proprio cercando di realizzare fuori della chiesa quello che la Chiesa dovrebbe promuovere e fare. Io sono convinto che loro sono cristiani, anche se non si proclamano tali; lo sono probabilmente solo a livello incoscio,[13] ma agendo così assomigliano a un Padre che si prende cura della vita dei fratelli più dimenticati ed emarginati, molto di più di coloro che parlano, ammoniscono, pregano il Padre di risolvere i problemi di questo mondo, ma poi non fanno niente.

Leggendo il racconto di come si svolgerà il giudizio finale emerge che l'essenza del cristianesimo sta nel vivere in un certo modo, non nel credere che Gesù è la seconda Persona della Trinità, vero Dio e vero uomo, non nel passare ore in adorazione dell’ostia consacrata, non nel credere a tutto ciò che insegna il magistero. Quale sarà infatti la sentenza definitiva? “Venite benedetti dal Padre...” Perché? Perché dopo essere stati battezzati avete adorato Dio, avete accettato la dottrina e i dogmi che vi sono stati insegnati e avete obbedito al magistero, come voleva papa Pio X?[14] Perché con digiuni[15] e preghiere siete ascesi al Padre staccandovi dal mondo materiale? No, ma perché “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero straniero, migrante e mi avete accolto”. “Mi trovavo in carcere...” in quella situazione che è propria della condizione umana, dell’essere umano. E in altra occasione sempre Gesù aveva detto: “Quello che avete fatto ai più piccoli, ai più umili esseri umani, lo avete fatto a me”[16].

Nello spiegarci chi è Dio, e nel cambiare il concetto di Dio, Gesù ha umanizzato il volto di Dio, identificando Dio con gli uomini: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Dunque, se Dio si fonde e confonde con l’essere umano, Dio lo si offende solo nell’essere umano. Non è che a Gesù non importi niente del peccato, ma per lui il peccato contro Dio (tanto caro ai farisei, agli scribi e anche ai ferrei tutori dell'ortodossia di oggi) s’identifica con la sofferenza causata a qualsiasi essere umano[17]

Ed è poi piuttosto scombussolante leggere come, nel giudizio finale, Dio non condanna per aver fatto il male, ma neanche salva per aver fatto il bene. Non dice infatti: “Via da me, perché hai rubato al tuo prossimo violando il settimo comandamento”; ma neanche dice: “vieni a me, perché non hai mai rubato a nessuno, per cui non hai violato la legge divina”. A Gesù non interessa l’osservanza della forma. Se ti allontana, è semplicemente perché non hai dato del tuo quando l’altro era nel bisogno; se ti chiama a sé, è perché hai rinunciato al tuo denaro, al tuo tempo, alla tua vita per darli al fratello che ne aveva più bisogno di te[18]. Molto diverso da come ci hanno insegnato il settimo comandamento!

Dov’è allora il punto dell’incontro fra Dio e l’uomo? Nell’umanità, nella condizione umana. Non nella divinità, non nella dottrina, non nei dogmi, non nella santa messa, non nell’osservanza stretta ai dieci comandamenti. Ecco l’originalità del cristianesimo. Tutti gli atteggiamenti che noi abbiamo con un emarginato, con un disgraziato, con un imbecille, con uno straniero, sono atteggiamenti che abbiamo con Dio, perché Dio non si trova nascosto alla nostra vista lassù nell’alto dei cieli; non si trova nell’ostia consacrata e depositata nel tabernacolo della chiesa; non si trova neanche nei dogmi insegnatici col catechismo. Dio si trova nascosto in queste persone che incrociamo ogni giorno e nelle situazioni che vivono queste persone. La presenza di Dio non è fuori ma dentro alle persone.

Se le cose stanno così, il pass per la salvezza non è affatto garantito da un carnet rilasciato dal prete con i timbri di quante volte si è andati a messa, di quante volte ci si è confessati e si è fatta la comunione.

Alla fine, saremo sicuramente in tanti a non aver completato la via indicata da Gesù, che pur avremmo potuto completare; vuoi perché non siamo stati capaci di completare questo cammino verso una umanizzazione sempre più profonda, vuoi perché non ci siamo dati abbastanza da fare pur avendolo potuto fare, vuoi perché si è pensato che per essere a posto con Dio bastasse amarlo, adorarlo e servirlo. Ma qui dobbiamo essere fiduciosi nella sua misericordia: basti pensare che, quando Gesù ricompare nel cenacolo dopo la sua morte, non si avvicina minacciosamente ai suoi discepoli dicendo: “Venite un po’ qua che adesso facciamo i conti”, visto che tutti l’avevano tradito. Entrando nel cenacolo Gesù ha detto «Pace a voi!» (Gv 20, 19s.).

Perciò non riesco a immaginare il giudizio finale come una resa dei conti: noi sul banco degli imputati, il pubblico accusatore che indica a Gesù tutte le nostre innumerevoli manchevolezze e Gesù come giudice severissimo, soprattutto perché non abbiamo riconosciuto l’abisso che ci separa dal sacro.

Cerchiamo piuttosto, nel lasso di tempo che ancora ci rimane, di fare di più, seguendo la strada indicata da Gesù, e qui sicuramente abbiamo tutti molto spazio per migliorare. Come ha detto papa Francesco (Manifesto del cambiamento, Treccani, 2023), alla fine sarà la nostra vita a dire se le nostre parole sono state davvero autentiche: dobbiamo parlare con tutta la vostra vita.



NOTE

[1] Cost. Benedictus Deus, richiamata anche nei nn.1033 ss. del Catechismo, in Denzinger H., Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, a cura di A. Lanzoni e G. Zaccherini, Bologna 1995, 520-522.

[2] Delumeau J., Il peccato e la paura, ed. Il Mulino, Bologna, 1987, 732.

[3] Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen Gentium § 10 - del 21.11.1964.

[4] Eppure Gesù ha istituito l’eucaristia durante una cena condivisa, a tavola, non su un altare.

[5] Eppure Gesù, che era un laico, non ha nominato nessun sacerdote, neanche fra i suoi discepoli.

[6] Baget Bozzo G., L’anticristo, Mondadori, Milano, 2001, 29.

[7] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 10.

[8] Ricordiamoci che perfino papa Benedetto XVI ha riconosciuto che quando si parla del Dio Trascendente, non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi a un ambito diverso (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.).

[9] Dio si congeda dal sacro per farsi mondo. Nel cristianesimo la trascendenza di Dio continua ad essere affermata, ma è attenuata dall’incarnazione (Galimberti U., Cristianesimo, Gedi News Network Spa, Torino, 2023, 244).

[10] Papa Giovanni XXIII aveva ben chiarito che non è il Vangelo che cambia; siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio (riportata da TV2000 il 10.3.2017 dall’ospite della trasmissione Alberto Melloni, esperto del concilio Vaticano II).

[11] …le donne comprese, che con Gesù sono state discepole a pieno titolo, missionarie ed evangelizzatrici al pari degli uomini. Però, in brevissimo tempo, questa uguaglianza è stata annullata e il patriarcato ha ripreso in pieno tutto il potere.

[12] In quest’ottica si spiega come mai Gesù, nell'elencare i peccati (Mc 7, 21-22), ha evidenziato solo quelli che riguardano la dignità dell'uomo (cfr. Mt 19, 18-19: il caso del giovane ricco angosciato; cfr. anche Rm 13, 9-10), omettendo completamente i primi tre comandamenti delle tavole della Legge che riguardavano il rapporto con Dio.

Ben si può intendere, allora, che il peccato è la forza che disumanizza gli esseri umani. Sì che, nella misura in cui la religione è la forza che contribuisce a disumanizzare gli esseri umani mantenendoli in uno stato di tranquilla coscienza se solo si seguono certi riti, e perfino nella convinzione che è così che si deve vivere e agire, nella stessa misura la salvezza cristiana, portata da Gesù, è salvezza dalla disumanizzazione che ci induce al peccato. Dio ha mandato Gesù per salvarci da questo, perché ci aveva visti ingrippati, bloccati; ha mandato Gesù per mostrarci come possiamo crescere. Non ha mandato suo figlio per lavare col suo sangue l’offesa dei nostri peccati. In definitiva, tutto consiste nel rendersi conto che il peccato non è né una «macchia», né una «colpa», né un’«offesa» a Dio. Peccato è tutto ciò che fa male a qualcuno, sia alla propria persona, sia pure all’altro o agli altri.

[13] Battistella G., Da Cuba e Argentina, Emi, Bologna, 2012, 118.

[14] Vedasi chi era per papa Pio X il vero credente: vero cristiano è colui che è battezzato, che crede e professa la dottrina cristiana e obbedisce ai legittimi Pastori della Chiesa (art.3 del vecchio Catechismo di Pio X).

[15] E ricordiamo cosa pensava Dio del digiuno: “Il digiuno che vorrei è che voi rompiate le catene dell’iniquità, mettiate il libertà gli oppressi, spezziate il vostro pane con chi ha fame, diate ospitalità ai poveri e ai pellegrini, rivestiate gli ignudi…” (Is 58, 1-9).

[16] All’Angelus, papa Francesco ha detto: “Il Signore potrà dirci: ti ricordi? Quel migrante che tanti vogliono cacciare via ero io…Non devo catalogare gli altri per decidere chi è il mio prossimo e chi no: la scelta non dipende da me… fare opere buone, non solo dire parole che vanno al vento…” (“Corriere della sera” 11.7.2016, 6).

[17] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 91s.

[18] Arias J., Il dio in cui non credo, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 136.