Proibito ogni rumore per Giulia
di Albino Michelin
foto tratta da commons.wikimedia.org
È un anno che l’efferato femminicidio di Giulia Cecchettin si è consumato. Filippo Turetta con 75 coltellate si è disfatto della sua ex fidanzata seppellendo il suo corpo in un mucchio di sabbia e lasciando nell’orrore tutta l’Italia.
Era precisamente l’undici novembre 2023. Era stata la sorella di Giulia, Elena, che chiedeva di fare un po’ di umore. Non basta il silenzio, dobbiamo farci sentire. Dobbiamo urlare la nostra collera ed il nostro dolore, dobbiamo denunciare il patriarcato che si nasconde dietro ad ogni femminicidio. Fare rumore tutti insieme, quindi, perché il dramma di Giulia non è soltanto un dramma personale, ma è la punta dell’iceberg di un problema sistemico, ed è il prodotto di una cultura dello stupro che vede le donne come oggetti di possesso a disposizione di chi, o persona consumata o semplicemente un narciso, che pensa di poter decidere del loro destino.
Il minuto di silenzio diventa simbolo della lotta contro la violenza di genere. Invocare il silenzio rispettoso quasi che silenzio rispettoso e parole fossero inconciliabili.
E’ difficile capire come tanti adulti possano credere cosa sia il giusto per ragazzi e ragazze. Che oggi sanno perfettamente muoversi all’interne di un universo in cui quando si tace si viene cancellati. I giovani sanno meglio di qualunque altro quale sia il vero problema, che oggi sono le parole che mancano. Sono proprio le parole che mettono ordine nel caos, sono esse che possono disinnescare la violenza che distrugge. Perché, quando le parole mancano o si perdono, è la brutalità che trionfa.
E venne il primo anniversario del femminicidio 11 novembre 2024.
Ci si doveva accordare con l’istituzione scolastica per suonare una campanella e dare inizio all’evento. Allora tutti gli studenti e studentesse sarebbero stati pronti e avrebbero dovuto, e potuto, far rumore sbattendo sul tavolo chiavi, libri, borracce, righelli. Un tumulto per dimostrare la loro indignazione a nome di una coscienza collettiva. Se non che il preside della scuola del Tito Livio, Luca Piccolo, dove aveva studiato la Giulia e dove a suo tempo era stato anche studente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, decide di inviare una circolare dichiarando che, per ricordare Giulia, non intendeva concedere il consenso, perché l’esperienza poteva essere interiorizzata lo stesso con rispetto per la famiglia e che ciascuno avrebbe potuto accendere una candela a casa sua e lasciarla bruciare per intero. Al che l’indignazione della famiglia, soprattutto del padre Gino e della sorella Elena che avevano intuito trattarsi di un tema politico anziché sociale. Di fatti è intervenuto anche il ministro dell’educazione Valditara che con un’espressione sibillina:” massimo rispetto per quello che fanno le scuole. Non entro in merito”, ha cercato di schivare ogni polemica.
Lo sdegno è stato anche del movimento “Bruciamo tutto”, movimento di liberazione dal sistema patriarcale nato dalla rabbia viscerale da tutti provato per il femminicidio di Giulia l’11 novembre del '23. Sorse proprio in quella circostanza, dalla sensibilità di Gloria Carollo, come movimento non violento per ottenere il cambiamento. Inoltre attiviste e attivisti si sono dati appuntamento presso la Facoltà di lettere e filosofia di Roma e hanno ricordato all’ingresso Giulia imbrattando di nero le panchine rosse, quale simbolo della violenza di genere. Ma tantissime sono state in Italia le manifestazioni per ricordare la triste circostanza. Secondo una dichiarazione di Laura Boldrini, ex presidente della Camera, sono state 90 le vittime del femminicidio, proprio ad un anno di distanza, uccise per lo stesso motivo.
Le nostre generazioni sembrano incapaci di trovare una direzione che aiuti a supportare, in questo momento, i giovani perché possano entrare nel mondo adulto. Il contesto familiare gioca un ruolo essenziale in questa pubertà anticipata che arriva già a dieci anni e rende difficile la crescita. Da qualche anno, quotidiani e media vari ci riportane affermazione allarmanti sul modo degli adolescenti e dei giovani: violenze, stupri, sopraffazioni, suicidi. Sono segnali di un grande malessere che percorre le nuove generazioni che stanno vivendo, a loro volta, un grande smarrimento. Perdendo di vista una prospettiva futura, i giovani sono costretti a vivere in una dimensione contingente. In questo quadro stiamo assistendo ad un fenomeno nuovo che dovremmo cercare di mettere a fuoco e comprendere.
Questi episodi allarmanti di violenza non coinvolgono solo ragazzi e ragazze della maggiore età, ma interessa anche ragazzini e ragazze adolescenti più giovani, sui 12, 13 anni. Infatti la pubertà, la grande trasformazione corporea e sessuale che prepara la maturità adulta, arriva con grande anticipa rispetto alle generazioni precedenti, esponendo gli adolescenti ad una esperienza difficile da fronteggiare. Quando si acquisiscono queste potenzialità, si rischia di diventare vittime della propria fragilità soprattutto all’interno del proprio gruppo, compromettendo la propria vita e quella degli altri.
La violenza di genere è un continuum che inizia con i commenti sessisti e arriva fino al femminicidio. La violenza fisica arriva sempre dopo quella verbale e quella psicologica. Può cominciare con una banale “stai zitta” e trasformarsi in una pugnalata. E per questo che non ha senso vietare il rumore e che, vietarlo, significa avvalorare il cumulo degli stereotipi che portano ogni tre giorni ad ammazzare una donna, a commettere un femminicidio. E per questo motivo che Elena Cecchettin aveva raccomandato un minuto di rumore e questo per farsi sentire, uno dei tanti modi per fermare questo genere di violenze.
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