Brevi domande, brevi risposte
di Dario Culot
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/
1. Nel mio libro Gesù, questo sconosciuto, sostengo sostanzialmente che Gesù è uomo che manifesta sommamente Dio, ma non è Dio. Come spiego le parole di Pietro secondo cui solo in Gesù c’è salvezza?
Sempre con la comunicazione degli idiomi. Le parole di Pietro si riferiscono al Verbo eterno, pur parlando di Gesù, nel senso che Gesù è considerato espressione del Verbo eterno, cioè Dio che in lui si è manifestato.
2. Cosa penso della maternità surrogata
Se viene pagata sono contrario. Se avviene gratuitamente all’interno della famiglia o fra conoscenti, non sono contrario.
3. Cosa penso della messa in latino?
Nulla in contrario se qualcuno preferisce seguire una messa in latino piuttosto che una messa in italiano. Penso però che non è sufficiente tornare al latino e al canto gregoriano per riempire le chiese e far entusiasticamente tornare all’ovile tanto fedeli ormai tiepidi. Il problema, a mio avviso, sorge quando qualcuno vuole imporre a tutti gli altri la messa in latino perché è più tradizionale. Ma allora direi a chi si aggrappa al latino che – se vuol risalire proprio alle origini,- sarebbe più logico e coerente partecipare a una cena, perché retrocedendo e retrocedendo si arriva non alla messa ma a una cena, all’ultima cena.
Poi risponderei con le parole di Sua Beatitudine Maximos IV Saigh (patriarca siriano dei Melchiti) pronunciate quando al concilio Vaticano II si discuteva proprio sulla liturgia della messa: “Il valore assoluto attribuito al latino nella Chiesa è problema della Chiesa d'Occidente, non di quella d'Oriente. Gesù parlava la lingua dei suoi contemporanei... Tutte le lingue sono liturgiche, come dice il salmista: Lodate il Signore, popoli tutti. La lingua latina è morta, ma la Chiesa vive, e anche la sua lingua deve essere viva perché destinata agli esseri umano e non agli angeli”.
Alla fine il 4.12.1963 il concilio approvò il testo Sacrosanctum concilium con 2143 voti a favore e solo 4 contrari[1]. Così le messe furono celebrate da allora in poi nelle rispettive lingue nazionali, abbandonando la messa in latino.
E oggi, quando ci sono già abbastanza divisioni all’interno della Chiesa, c’è motivo per litigare anche sulla messa in latino o nella lingua nazionale?
4. Cosa penso del fatto che, secondo un’inchiesta commissionata dal quotidiano “Avvenire” all’agenzia Demopolis, pubblicata il 7.1.2025, il 76% degli intervistati (e il 72% si dichiara teoricamente cattolico, ma uno solo su sei si dichiara praticante) ha risposto positivamente alla domanda se ha fiducia in papa Francesco, eletto il 13.3.2013. Però solo il 45% dice di aver fiducia nella Chiesa, il che ci fa tornare a “Dio sì, Chiesa no”.
La cosa non mi stupisce. Come non mi stupisce il fatto che papa Francesco trovi più ammiratori fra coloro che non si dichiarano praticanti (ovviamente l’Avvenire non ha posto una domanda del genere).
Come già detto altre volte, esistono nella Chiesa due teologie, quella speculativa/dogmatica e quella narrativa/evangelica. Per i dogmatici il problema è credere o non credere alla dottrina; per i narrativi, vivere o non vivere il Vangelo, cioè seguire o meno ciò che ha fatto in terra Gesù, il quale si è messo a curare ammalati di sabato, a mangiare con i peccatori di cattiva fama senza minimamente pensare se quelle guarigioni e quei pranzi fossero permessi o proibiti dalla religione.
Come detto in altre occasioni, questa dualità spiega anche perché molti cristiani, ancora oggi, non accettano papa Francesco e pensano che lui stia portando la Chiesa alla rovina. Perché? Ma perché erano abituati ai papi precedenti (Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) che percorrevano la strada della teologia dogmatica, quella dei principi non negoziabili, dell’obbedienza all’insegnamento del magistero che con autorità stabiliva cos’era vietato e cos’era permesso; chi finiva in paradiso e chi all’inferno. Perciò restano scandalizzati a sentir parlare tanto di misericordia e di accoglienza, ma poco del giudizio finale che invece dovremmo attendere con apprensione, e ancor meno dei principi non negoziabili (quali il sesso, l’omosessualità, il fine vita, temi però su cui Gesù non ha speso una parola una in tutta la sua vita terrena). Chi è già fuori della Chiesa, invece, è disinteressato alla dottrina della Chiesa e apprezza i temi e i valori toccati da papa Francesco.
Quanto alla Chiesa oggi, in molti pensano che non è la dottrina che rimane, ma l’esperienza di fede, e a questa occorre fare riferimento[2]. La Chiesa per troppo tempo si è opposta ad ogni cambiamento, senza rendersi conto che le formule del passato non sono eterne, ma restano valide solo in quanto esprimono l’esperienza di fede compiuta da generazioni precedenti. Perciò la Chiesa viene rifiutata se si limita ad essere il cane da guardia della dottrina e della morale del passato, visto che Gesù non si è presentato come un maestro di morale, ed i vangeli non esistono per trasmetterci né una morale, né delle dottrine astratte, per cui non c’è da verificare l’aderenza o meno di un comportamento a un dogma estrapolato da essi, ma c’è da stare accanto alle persone concrete, favorendo l’apertura della propria coscienza alla sorgente divina che già le si muove dentro:[3] infatti Dio già si muove dentro ad ogni persona, sia cristiana, sia non cristiana o anche atea. Anche in chi non è cristiano c’è una porzione di luce divina, perché come ha affermato Papa Francesco, «Dio è nella vita di ogni persona»[4]. E ogni cristiano può dunque dare un suo contributo alla vita della Chiesa, che non è scesa una volta per tutte dal cielo per insegnare agli altri la vera dottrina, come se avesse avuto in dote la verità infusa.
Fra la maggioranza della gente, oggi, si contesta facilmente il potere, perché chi detiene il potere vuole anche avere normalmente il monopolio della verità; è questa pretesa oggi disturba molte persone le quali ritengono che simile condotta sia uno stratagemma di una élite per mantenere il potere. Si accetta più facilmente l’idea che nessuno deve più fare la guardia alla dottrina, nessuno deve controllare la fede degli altri, e si chiede di mantenere questo atteggiamento anche a chi si dichiara discepolo di Gesù.
5. Come posso negare che nella confessione l’assoluzione sacramentale del sacerdote sia un atto di giudizio, visto che il Concilio di Trento (canone n. 9 sulla penitenza [5]) prevede fin la scomunica per chi nega questo principio?
Ho sempre detto che tutte le immagini che non corrispondono a quello che Gesù ci dice, devono essere abbandonate. Gesù non ha mai detto che per essere perdonati bisogna prima confessarsi.
La realtà è che la religione ha sacralizzato il castigo, anziché divinizzare la misericordia e il perdono[6]: «perdonate e sarete perdonati» (Lc 6, 37). Il perdono di chi ha perdonato l’altro è automatico. Gesù non ha mai detto: “Confessatevi davanti ai sacerdoti e solo allora sarete perdonati”. La religione esige la conversione per ottenere il perdono dei peccati; invece Gesù perdona i peccati per ottenere la conversione.
Gesù non ha mai affidato ai preti la funzione di giudice, anche perché Dio stesso non è giudice, pur essendo giusto[7]. Gesù è venuto per salvare (Gv 3, 17; 8, 15), e ha raccomandato di perdonare sempre (Mt 18, 21-22);
come notizia rivoluzionaria, ha diffuso con la Buona Novella l’idea che Dio fa un’offerta gratuita e continua d’amore per tutti; ma questa bella notizia si è subito scontrata (e ancora oggi si scontra), con la sua principale nemica: la religione, la quale in tutte le epoche ha sempre insegnato (e tuttora insegna) l’opposta notizia della retribuzione, della ricompensa che va meritata, del Dio giudice che incute paura e deve essere implorato.
Secondo Gesù, per ottenere da Dio il perdono delle proprie colpe (dei peccati) basta perdonare le colpe altrui (Mc 11, 25; Lc 6, 37). Ricordate l’episodio del paralitico? Il clero è convinto che perdonando i peccati, senza neanche nominare il nome di Dio, Gesù stia bestemmiando. Invece la folla presente all'episodio, non fatta di fondamentalisti, comprende benissimo che questa capacità non è una facoltà esclusiva di Gesù ma è estendibile a tutti gli uomini, sì che «rende gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini» (Mt 9, 8). Agli uomini, non a Gesù! Agli uomini tutti, non al clero! Con queste parole viene sottolineata dall’evangelista la corresponsabilità di tutti i seguaci di Gesù nell’opera di salvezza, che evidentemente non è compito esclusivo di Gesù, degli apostoli e dei loro successori, ma anche di tutti coloro che lo vogliono seguire[8]. Se in questo episodio non riuscite a vedere che la cancellazione dei peccati non è riservata ai ministri di Dio[9] non so che altro dire. Per me è chiarissimo.
E ricordate la parabola del figliol prodigo? La parabola risponde proprio alla domanda: cosa deve fare l’uomo peccatore per ottenere il perdono di Dio?
Quello che l’evangelista dice chiaramente è che il perdono di Dio non va ottenuto per i meriti dell’uomo (magari attraverso dure penitenze o quanto meno umiliazioni, come pensa il figliol prodigo quando torna a casa), ma viene dato come dono gratuito del suo amore. Quindi non si viene perdonati grazie ai comportamenti che uno pone in essere per ottenere il perdono, ma il perdono viene concesso come dono gratuito e anticipato da parte di Dio.
Inoltre, se l’assoluzione appartiene solo a Dio il prete non può dare l’assoluzione a titolo personale: “Io ti assolvo”. Il prete serve Dio, non lo sostituisce. Com’è che un prete, il quale a sua volta si riconosce peccatore, improvvisamente sale di grado e si erge a giudice?[10]
La confessione, insegna il magistero, è opportuna anche per i bambini, particolarmente sensibili alla gioia del venir perdonati[11]. Non succede allora che spesso i bambini devono inventarsi i peccati per far contento il prete?[12] E inoltre nella nostra attuale società occidentale, qualora il prete insiste nel porsi come giudice, la confessione dovrebbe essere per legge vietata ai minorenni. Infatti, per il nostro ordinamento, nessun adulto (neanche un vero giudice) può interrogare un minore da solo, senza la presenza di un genitore, e normalmente senza la presenza di uno psicologo e, comunque, in forma protetta. Il prete che, sentendosi giudice, interroga il minore sui peccati che ha commesso compie un illecito, secondo la legge civile.
6. Cosa mi fa dire che Gesù è un laico, quando le Scritture dicono che era sacerdote? (Eb 2, 17).
Tanto per cominciare, la funzione di sacerdote in Israele era ereditaria e per essere tale era indispensabile appartenere alla tribù di Levi. Invece Gesù, viene detto, era discendente di Davide, per cui non apparteneva alla tribù di Levi.
Poi, nella Bibbia (Ez 47, 1-12) la teofania (manifestazione di Dio) avviene nel Tempio, nel luogo sacro: è dall’acqua che esce dal Tempio che Dio purifica le acque che daranno vita al mare e al deserto. Invece con Gesù, Dio non si manifesta mai nel luogo sacro, nel Tempio e neanche in sinagoga. Si manifesta nel lavoro quotidiano, quindi nell’ambito profano, laico: pensiamo alla condivisione dei pani (Mc 6,43; 8,8; Mt 14,20; 15,37; Lc 9,17; Gv 6,13), all’acqua trasformata in vino alle nozze di Cana (Gv 2, 1-11), nella pesca miracolosa del Risorto (Gv 21, 6-11), alla pesca miracolosa per cui Pietro gli si getta ai piedi e chiede di allontanarsi da lui perché è un misero peccatore (Lc 5, 1-11). Ed è dopo questa manifestazione (teofania) i pescatori di pesce “lasciarono tutto e lo seguirono” per diventare pescatori di uomini (Lc 5, 11).
Quindi la sequela di Gesù nasce sostanzialmente da episodi laici, non da episodi religiosi come invece continuiamo a immaginare noi.
NOTE
[1] O’Malley J.W., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 138-140.
[2] Papa Francesco ha detto che la tradizione non è ripetizione delle stesse formule dottrinali, ma trasmissione di vita, cioè un’esperienza attraverso la quale noi cogliamo il senso del cammino che stiamo facendo (richiamato da Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 353).
[3] Orlandi M., Giovanni Vannucci, custode della luce, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 60.
[4] Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica”, n. 3918/2013, 470.
[5] Concilio di Trento, sessione XIV del 25.11.1551, capo V la confessione - Canoni sul santissimo sacramento della penitenza – sessioni XII-XVI (1551-1552), in www.documentacatholicaomnia.eu.
[6] Da Spinetoli O., La Giustizia nella Bibbia, “Bibbia e Oriente”, XIII, 1971, 253 s.
[7] Idem, 249.
[8] Mateos J. e Camacho F., IL figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 54 s.
[9]Contra Ravasi G., Il paralitico, il perdono, gli uomini, “Famiglia Cristiana” n.11/2012, 115, secondo il quale il termine uomini, pur essendo ampio, va ristretto agli apostoli e quindi ai ministri della comunità cristiana, senza però darne una spiegazione razionale di questa interpretazione riduttiva.
[10] Ricca P., Ego te absolvo, Claudiana, Torino, 2019,126
[11] Miralles A., I sacramenti di guarigione. Il sacramento della penitenza e della riconciliazione, in Catechismo della Chiesa Cattolica, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 1993, 895.
[12] “Ho disobbedito ai genitori. Ho litigato con mio fratello o mia sorella”. Ma non fa questo parte della normale crescita di ogni bambino?