Ma di un diaconato femminile neppure si dovrebbe parlare, perché il diaconato è unico
La discussione aperta dalla Commissione II sul diaconato femminile ha prodotto un equivoco che rischia di deformare la questione. Si continua a parlare, appunto, di “diaconato femminile” come se fosse un ministero parallelo, distinto, quasi un’appendice concessa alle donne. Ma questa prospettiva è teologicamente e canonicamente insostenibile.
1. L’unità del sacramento dell’Ordine
Il diaconato non è un ministero accessorio, ma un grado dell’Ordine. Non esiste un diaconato maschile e uno femminile: esiste il diaconato, punto. Parlare di “diaconato femminile” significa già accettare una logica di separazione che contraddice la natura stessa del sacramento. È come se si dicesse “presbiterato femminile” o “episcopato femminile”: categorie che non hanno senso, perché il sacramento è uno e indiviso.
2. La Tradizione che conferma l’unità
I riti antichi di ordinazione delle diacone in Oriente non istituivano un ministero parallelo, ma riconoscevano alle donne l’accesso allo stesso diaconato. La Chiesa Apostolica Armena e la recente ordinazione ortodossa in Africa non hanno creato un “diaconato femminile”, ma hanno semplicemente mostrato che il diaconato è aperto a tutti i battezzati, senza distinzione di genere. La Commissione, invece, ha scelto di parlare come se esistessero due diaconati, uno legittimo (maschile) e uno impossibile (femminile). È un errore concettuale prima ancora che teologico.
3. La cesura di Omnium in mentem
Il motu proprio di Benedetto XVI ha distinto il diaconato dal presbiterato e dall’episcopato. Questa cesura mostra che il diaconato non è definito dalla rappresentazione sacramentale di Cristo capo, ma dal servizio. Se il diaconato è servizio, non può essere diviso per genere. Parlare di “diaconato femminile” è già una concessione linguistica che tradisce la sua unità.
4. La deriva della Commissione
La Commissione II ha scelto di fondare la sua opposizione sull’argomento della maschilità di Cristo, trasformando un dato storico in un criterio normativo. Ma così facendo ha introdotto una nuova eresia: quella di un Cristo risorto definito per genere. In questo quadro, il “diaconato femminile” diventa una categoria impossibile non perché il diaconato sia chiuso, ma perché si è scelto di dividerlo. La vera questione non è se esista un diaconato femminile, ma se la Chiesa abbia il coraggio di riconoscere che il diaconato è unico e aperto. Parlare di “diaconato femminile” significa già accettare una logica di marginalizzazione. La loro posizione è chiara: il diaconato non si divide, e negarlo alle donne significa negare la sua stessa natura.
Non si dovrebbe, dunque, neppure più parlare di “diaconato femminile”. Il diaconato è unico. Ogni tentativo di dividerlo per genere è un tradimento della sua natura sacramentale e un impoverimento della Chiesa. La vera domanda non è se le donne possano accedere a un “diaconato femminile”, ma se la Chiesa abbia il coraggio di riconoscere che il diaconato, nella sua unità, appartiene a tutti i battezzati.