TRA LE RIGHE DELL’ARTE: SEGRETI, VISIONI E MERAVIGLIE
di
Martina Talon
Il flirt (1904) - Eugen de Blaas (1843-1931), collocazione sconosciuta - foto tratta da commons.wikimedia.org
L’arte del flirt
C’era un tempo in cui un uomo poteva rivolgere un complimento a una donna senza il timore di essere fulminato dallo sguardo di Medusa o, peggio, da una denuncia. Un tempo in cui il corteggiamento era un’arte più che una scienza forense. Ma oggi? Oggi l’arte del flirt è un campo minato, una performance su filo spinato degna di un’opera di Marina Abramović.
Pensiamo al povero Zeus, per esempio. Il padre degli dei dell’Olimpo, noto per il suo savoir-faire nell’arte della seduzione mitologica, oggi sarebbe probabilmente il protagonista di un processo mediatico in stile #MeToo. “Si è trasformato in pioggia dorata e mi è piovuto addosso senza consenso!” griderebbe Danae, raccogliendo l’indignazione di Twitter. Artemisia Gentileschi, con la sua Giuditta che decapita Oloferne, sarebbe l’icona perfetta di una vendetta femminile sacrosanta, ma anche un monito per chi ancora osa fare battute fuori luogo.
In una società in cui la sensibilità è diventata una tela iperrealista, ogni frase può essere interpretata come un affronto o un’opera d’arte offensiva. Se Botticelli dipingesse oggi la sua Nascita di Venere, qualcuno troverebbe senz’altro da ridire: “Perché è nuda? Perché è così magra? Perché la conchiglia non è biodegradabile?” La realtà è che ogni parola, anche la più innocente, può essere distorta in base alla sensibilità individuale.
Un uomo dice a una donna “Sei bellissima oggi”.
Lei potrebbe reagire in mille modi: lusingata, arrossisce e ringrazia; sguardo torvo, pronta a scagliare una natura morta in faccia al malcapitato; ironizza, rispondendo con un “Che originalità, hai fatto lo stesso complimento alla portinaia?”; si vendica con un post virale in cui denuncia la “microaggressione patriarcale”.
In un quadro di Renoir, una scena conviviale di uomini e donne che ridono insieme suggerisce spensieratezza e leggerezza. Ma se quella scena si svolgesse oggi?
Un uomo dice qualcosa di vagamente ambiguo, una donna si irrigidisce, qualcuno filma, e il video diventa virale con il titolo: “Molestia in diretta: l’orrore del patriarcato al ristorante”.
E che dire delle battute innocenti? C’è chi sostiene che il tono faccia la differenza, chi invece ritiene che non importi il tono, ma il destinatario. Una frase può essere un apprezzamento affettuoso o una dichiarazione di guerra, a seconda di chi la riceve e del contesto. È la soggettività che regna sovrana, come in un dipinto di Dalí: la percezione si scioglie e si deforma a seconda dell’occhio dell’osservatore.
Viviamo in un’epoca in cui un Don Giovanni digitale rischia il linciaggio per un complimento fuori moda, mentre uno ChatGPT ben addestrato potrebbe risultare il perfetto corteggiatore: neutrale, educato, privo di doppi sensi. Ma davvero vogliamo un mondo in cui il romanticismo si trasforma in un protocollo robotico? Dove i complimenti vengono pre-approvati da un comitato etico? Se Michelangelo scolpisse oggi il suo David, forse gli verrebbe imposto di coprirlo con un paio di pantaloni larghi per non turbare la sensibilità del pubblico. E se Rodin creasse Il Bacio, qualcuno si chiederebbe: “Aveva chiesto il consenso scritto?”
Sembra che il rischio di offendere sia ormai pari a quello di un restauratore inesperto che mette le mani sulla Gioconda con un pennello intriso di vernice acrilica.
Certo, esistono uomini maleducati e predatori, ma esistono anche quelli che vengono puniti per una battuta ingenua, perché il contesto sociale ha trasformato la normalità in terreno scivoloso. La verità è che l’arte della conversazione, proprio come l’arte pittorica, richiede finezza e intuito. Magari Caravaggio oggi si farebbe un selfie con un occhio nero dopo un complimento sbagliato. Magari Leonardo da Vinci terrebbe un corso su come essere diplomatici senza risultare troppo ambigui.
Non tutto è bianco o nero come in un quadro di Malevič. Forse la chiave sta nella capacità di discernere tra una vera molestia e un’infelice battuta fuori contesto. Nel rivalutare la comunicazione come un affresco complesso, dove ogni pennellata ha un peso e ogni parola un significato da interpretare. Forse non dovremmo condannare ogni frase come un’eresia, ma piuttosto chiederci: siamo davvero sicuri che la modernità non ci abbia reso troppo sensibili a tutto? E, soprattutto, se Giotto fosse vivo oggi, riuscirebbe ancora a disegnare un cerchio perfetto senza essere accusato di simbolismo tossico?
La soluzione? Non la conosco. Più cultura e meno rancore, mi verrebbe da dire.