Perché le vecchie spiegazioni non convincono più
di Dario Culot
Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, dentro le religioni ma anche dentro la società. Nella Chiesa cattolica si sta verificando una rottura rispetto all’insegnamento religioso che ha modellato l’identità cristiana dei nostri padri e dei nostri nonni, e - per chi è anziano come me - anche della nostra infanzia. Siamo ormai davanti a divisioni di opinioni senza precedenti (che in tempi meno recenti avrebbero già portato allo scisma), e viene messa in discussione l’autorità del magistero come mai si è visto in passato. In parole povere quella dottrina che sembrava monolitica ci appare sempre di più come un’enorme nebulosa. Come si è visto la settimana scorsa, nell’articolo di Natale, non regge più l’idea di un Dio onnipotente che può fare tutto ciò che vuole. Sempre più gente crede che la religione abbia sacralizzato una cultura (in particolare quella romana a partire da Costantino), mentre Gesù non intendeva fondare una nuova religione, ma indicare la strada per vivere in un modo nuovo e migliore qui, su questa Terra.
Proprio perché siamo in un periodo di cambiamento, abbiamo continue fughe in avanti e frenate disperate da parte dei conservatori. Alcuni preferiscono affondare insieme alle proprie vecchie convinzioni; altri, convinti che l’evoluzione non può essere bloccata, cercano nuove vie di trasformazione.
Non credo che la crisi attuale sia dovuta alla secolarizzazione della società, alla perdita di valori che tali erano visti in passato, alla diffusione del materialismo, agli scandali avvenuti nelle Chiesa. La crisi mi sembra piuttosto dovuta all’apparire di una nuova cultura che ha ormai realizzato una trasformazione irreversibile dei nostri precedenti meccanismi sociali e conoscitivi, e ha soprattutto sviluppato un senso critico assolutamente impensabile nei tempi passati, il disconoscimento dell’idea di poter accedere a una Verità assoluta e quindi a un’unica religione vera[1]. Per di più, mentre la religione segue il tempo lunghissimo (si parla della fine dei tempi, dell’escatologia), la cultura attuale segue il tempo brevissimo: solo l’oggi, e fa già fatica a pensare al domani.
Va notato che questo profondo senso critico non è circoscritto al mondo religioso, ma vale a tutto campo. Pensiamo a come in passato trangugiavamo tutto quello che ci veniva raccontato: ad esempio a scuola c’insegnavano che, il 6 agosto 1916, Enrico Toti, lanciatosi con il suo reparto all’attacco di Quota 85 a est di Monfalcone, fu ferito più volte dai colpi avversari e, con un gesto eroico, scagliò la stampella verso il nemico, gridando “Io nun moro!” (io non muoio!), poco prima di essere colpito a morte. Ma scusate, avete mai visto un uomo con una gamba sola essere dichiarato abile e venire arruolato? Eppure nessuno si poneva questa semplicissima domanda, neanche quei giovani che venivano riformati alla visita di leva per mera insufficienza toracica. Men che meno ci si chiedeva poi: “Va bene, ma che c’è di eroico nel lanciare una stampella? Ha salvato la vita di qualche commilitone? Ha col suo gesto accorciato la guerra? Ha risolto quella battaglia?”
Tornando alla religione, è vero che oggi ci sono anche molti cristiani che chiedono un ritorno al Vangelo, e quindi al cristianesimo originario, perché così non si può più andare avanti[2]. Lo stesso magistero oscilla oggi fra lasciare maggior libertà o chiarire in modo nuovo i concetti, magari ridefinendo le norme, sperando poi che tutto prosegua in via automatica.
È un dato di fatto che, almeno in Europa, il cristianesimo è in declino, ma poi dobbiamo anche prendere atto - come detto in altra occasione,- che l’essere umano ha passato molto più tempo senza religioni che con religioni. La più antica religione conosciuta (l’induismo) non arriva a 5.000 anni, mentre l’homo sapiens calpesta la terra da almeno 150.000 anni. Quindi le religioni sono nate ben dopo la rivoluzione agricola (circa 10.000 anni prima di Cristo), dopo che l’uomo, da nomade, era diventato stanziale. Gli antropologi oggi ci dicono che il passaggio dal paleolitico al neolitico, dalla società cacciatrice nomade alla stanziale agraria, fu un momento assai difficile per la specie umana. Un noto storico[3] si chiede: quando l’uomo ha cominciato l’allevamento intensivo (ammassando per la prima volta gli animali nei recinti) si saranno sicuramente sollevate critiche a questo genere di pratiche: gli animali erano sempre stati liberi in tutto il mondo conosciuto. In seguito non ce ne siamo più interessati, evidentemente considerando irrilevante il destino di forme di vita cosiddette inferiori. Oggi forse cominciamo a renderci conto che anche siamo sul punto di diventarlo. Se e quando i software acquisteranno un’intelligenza ultra-umana e un potere sconfinato, li considereremo più degli umani? Sarebbe lecito per un’intelligenza artificiale sfruttare gli umani e perfino ucciderli per promuovere i propri bisogni e desideri? In tutti i campi sorgono nuovi dubbi e aumentano le domande. Viviamo un momento di transito, in cui i paradigmi vecchi perdono sempre più valore, ma in cui non abbiamo ancora fissato paradigmi nuovi condivisi.
Aggiungo però che sono contento di vivere in tempi in cui è possibile esprimere i propri dubbi, mentre ricordo con repulsione l’inverno della Chiesa, quando chi esprimeva i propri dubbi lo faceva a pericolo della sua stessa vita, ed era considerato immediatamente eretico, perché mostrava un’errata comprensione della fede rispetto a quella propugnata dal magistero. Ora, a ben pensarci, il cd. eretico cristiano crede nello stesso Dio in cui credono tutti i cristiani, la sua fede è la stessa del suo fratello di fede che si reputa ortodosso, e la differenza sta allora non nella mancanza di fede ma nella diversità di ragionamento su alcune questioni. La Chiesa afferma che l’eretico è arrivato a conclusioni erronee per cui non ha compreso correttamente gli elementi fondamentali della fede cristiana proclamati nella dottrina. Ma come mai il magistero pone tanta enfasi nella dottrina? Perché è stata fissata da lui, per cui contestando la dottrina si rinnega il magistero; rinnegando il magistero ci si ribella a Dio, e quindi è giusto punire chi va contro Dio (in passato col rogo, oggi con l’esclusione). Ma chi ha imposto quella determinata dottrina, quella determinata interpretazione del Vangelo, e trova qundi giusta la punizione? Sempre il magistero, non certo Dio. C’è invece da chiedersi: ma le parole di Gesù sono state veramente accolte dalla nostra religione?
Quel terreno di verità accettate ‘universalmente,’ su cui per secoli ha poggiato la nostra religione, oggi non è più così stabile neanche per la maggior parte dei cristiani, se solo si soffermano a ragionare con la propria testa. Dunque qualcosa si sta muovendo, ed esiste e si diffonde sempre di più la visione post-teista di Dio, cioè la ricerca di un’immagine diversa di Dio, rispetto a quella tradizionale. Oggi si riconosce che nessuno ha mai visto il volto di Dio, per cui Dio non ha volto, e ciascuno di noi gli dà il volto che immagina.
Post-teismo[4] non va inteso come un ‘dopo’ temporale, quanto come un senso di diversità: andare più in là. Certamente non significa post-spirituale, ma solo andar al di là, superare quello che hanno fatto le religioni nella società, nella convinzione che:
1. Le religioni sono un fenomeno storico, una forma socio-culturale e non hanno preesistenza nella saggezza divina.
2. Le religioni sono costruzioni umane, quindi non eterne e non opera diretta di Dio, che non ci ha fatto dono della religione. Il cristianesimo è sorto qui in terra, sotto la spinta del mistero divino. Però oggi ci rende conto che ogni religione che attribuisce la propria origine a Dio si assolutizza e pretende d’imporsi agli altri.
3. Invece non siamo condannati a camminare sottomessi alla religione come se fosse un disegno divino, uguale per i nostri antenati e per noi. Se la religione è una costruzione umana non ci può essere tolto il diritto di affrontare i problemi della nostra esistenza con nuove soluzioni, senza dover accettare supinamente le soluzioni date dai nostri antenati. Questa nuova visione del mondo (paradigma post-teista) ci rende liberi dai precedenti legacci per procedere responsabilmente con nuove interpretazioni, con nuove decisioni, pur con la preoccupazione di cercar di restare sintonizzati col Mistero che ci muove.
4. Nessuna religione, poi, ha il monopolio della spiritualità. Si è detto all’inizio dell’articolo che la religione è una forma culturale che la spiritualità ha rivestito nel corso della storia, e oggi riconosciamo che le religioni possono essere perfino un freno alla spiritualità, che resta una dimensione caratteristica dell’essere umano.
Preferisco anch’io parlare di spiritualità, che non è affatto sinonimo di religione, la quale spesso è ridotta a una burocratizzazione della spiritualità. Si può credere in Dio senza far parte di nessuna Chiesa. Anche il laico può essere spirituale, mentre tutte le religioni possono corrompersi strada facendo[5]. In effetti dovremmo domandarci: forse che oggidì i cristiani – che pensano di seguire l’unica vera religione rivelata da Dio in persona - si riconoscono nel mondo perché sono le persone più rette e migliori in assoluto? E visto che la risposta è negativa, com’è possibile sostenere che l’unica vera religione è quella cristiana? Che solo ai cristiani è stata offerta la Verità assoluta?
In sintesi, il nuovo paradigma post-teista ci libera dalla visione teista perché:
• viene a cadere la visione dualistica del mondo soprannaturale divino e del mondo naturale terrestre, nel quale Dio può intervenire come e quando gli aggrada,
• viene a cadere il monopolio della spiritualità in capo all’istituzione che annuncia una sua religione,
• viene a cadere la totale sottomissione con l’obbligo di accettare ciecamente delle credenze, come fossero rivelate da Dio,
• viene a cadere il potere politico di governare sulla società imponendo alla società civile delle leggi pensate dalle istituzioni ecclesiastiche,
• viene a cadere l’imposizione di una morale calata dall’alto, senza sottoporla al setaccio di un esame comunitario,
• viene a cadere il totale controllo sul pensiero umano, che deve aderire ai dogmi e viene perseguito se pensa liberamente,
• viene a cadere l’interpretazione secondo cui siamo nati per essere messi alla prova, e alla fine della nostra vita riceveremo il premio o il castigo nel giudizio finale.
Sempre più gente è convinta che urge anche nel cristianesimo un approccio religioso che tenga conto dell’importanza delle scienze, rigettando la visuale pre-scientifica. Ma in realtà questo crea ancora molte resistenze. Per chi cerca di integrare nella spiritualità i contributi indiscutibili che le scienze sono ormai in grado di dare non si tratta di voler sostituire un dogmatismo con un altro dogmatismo, dicendo di aver finalmente capito la realtà: sia scienza che spiritualità sono sempre in cammino, in divenire, sì che entrambe riescono a modificarsi e quindi a crescere insieme, pur fra errori e dubbi. È vero che il post-teismo mette più in evidenza i difetti e le contraddizioni dell’immagine teista di Dio, piuttosto che fornire una nuova risposta più adeguata e convincente. Ma è anche vero che per decostruire si parte proprio dalla dimostrazione che il modello precedente non è più credibile. Il post-teismo decostruisce ma ancora non afferma categoricamente nulla. Siamo davanti a un vuoto parziale.
Ma decostruendo quella che era una struttura consolidata, collaudata nei secoli, non si cade nel tenuto relativismo? E i papi precedenti a Francesco non avevano orrore del relativismo, che così torna prepotentemente alla ribalta? Papa Pio XII, ad esempio, condannava per relativismo quegli audaci[6] i quali avevano cominciato a sostenere che i misteri della fede non possono mai esprimersi con concetti immutabilmente veri, ma solo con concetti approssimativi e necessariamente sempre mutevoli, con i quali la verità viene in un certo qual modo manifestata, ma anche deformata[7]. Lo stesso papa vedeva inoltre «la massima imprudenza nel respingere o privare del loro valore i concetti e le espressioni che da persone di non comune ingegno e santità, sotto la vigilanza del sacro Magistero e non senza illuminazione e guida dello Spirito Santo, sono state più volte con lavoro secolare trovate e perfezionate per esprimere sempre più accuratamente le verità della fede». Anche oggi, qualche strenuo osservante della religione dirà che l’uomo ha assoluto bisogno di certezze, e le certezze sono per definizione immutabili. Non si può seguire una religione debole. Col dilagare del relativismo si finisce per equiparare ogni cosa a un’altra, e si cerca di conciliare il tutto a scapito dell’unica Verità. C’è la necessità di vivere secondo regole chiare e ben precise: bianco o nero; servono punti fermi, non negoziabili, non liquidi che non si riescono mai a cogliere.
Con una pennellata illuminante il Catechismo cattolico olandese[8] aveva però da tempo risposto a questa preoccupazione, chiarendo come un punto fermo non si identifica necessariamente con un punto immobile ed immutabile: per un bambino molto piccolo «il punto fermo è sua madre, ma pure quanto mobile! Perché è viva! Essa, infatti, ora è nel cortile, poi in cucina, ora ha un aspetto lieve, ora grave». Perciò, quando gli integralisti con inflessibile intransigenza affermano che non si deve far nessun sconto sui principi, bisogna stare particolarmente attenti a quali sono questi principi. Per fare un altro esempio, nel rapporto di coppia il punto fermo, il principio, è la necessità di avere un rapporto vero, profondo e accogliente. Questo valore di fondo non cambia, sia che poi si ammetta il divorzio (come nelle Chiese ortodosse), sia che lo si neghi (come nella Chiesa cattolica) rendendo il matrimonio immobile e immutabile.
Ecco perché mi hanno molto colpito le puntuali osservazioni del vescovo protestante americano John Shelby Spong, il quale aveva esposto dodici punti della dottrina cristiana che – a suo giudizio - richiedevano urgente riforma. Essi sono:[9]
TESI UNO – Il teismo come modo di definire Dio è morto. Non possiamo più percepire Dio in modo credibile come un Essere dal potere soprannaturale, che vive nell’alto dei cieli ed è pronto a intervenire periodicamente nella storia umana, perché si compia la sua divina volontà. Pertanto, oggi, la maggior parte di ciò che si dice su Dio non ha più senso. Dobbiamo trovare un nuovo modo di concettualizzare Dio e di parlarne.
TESI DUE – Dal momento che Dio non può essere concepito in termini teistici, non ha senso cercare di intendere Gesù come l’incarnazione di una divinità teistica. I concetti tradizionali della cristologia sono, pertanto, finiti in bancarotta.
TESI TRE – Il racconto biblico di una creazione perfetta e compiuta, dalla quale noi, gli esseri umani, “siamo caduti” con il peccato originale è mitologia pre-darwiniana e non senso post-darwiniano.
TESI QUATTRO – La nascita verginale, intesa in senso biologico letterale, rende impossibile la divinità di Cristo così come è stata tradizionalmente compresa.
TESI CINQUE – Le storie di miracoli del Nuovo Testamento non possono più essere interpretate, nel nostro mondo post-newtoniano, come avvenimenti soprannaturali operati da una divinità incarnata.
TESI SEI – L’interpretazione della croce come sacrificio per i peccati è pura barbarie: è basata su concezioni primitive di Dio e deve essere abbandonata.
TESI SETTE – La risurrezione è un’azione di Dio, Gesù è stato elevato nella direzione del significato di Dio. La risurrezione, pertanto, non può consistere in un risuscitare fisico all’interno della storia umana.
TESI OTTO – Il racconto dell’ascensione di Gesù presuppone un universo a tre livelli (cielo, terra, inferno) e, pertanto, non può essere tradotto nei concetti di un’era post-copernicana.
TESI NOVE – Non c’è alcun criterio, eterno e rivelato, scritto nella Bibbia o su tavole di pietra, che debba dirigere per sempre il nostro agire etico.
TESI DIECI – La preghiera non può essere una petizione rivolta a una divinità teistica perché agisca nella storia umana in un determinato modo.
TESI UNDICI – La speranza della vita dopo la morte deve essere per sempre separata dalla moralità del premio e del castigo come sistema di controllo della condotta umana. Pertanto la Chiesa deve abbandonare la sua dipendenza dalla colpa come motivazione del comportamento.
TESI DODICI – Tutti gli esseri umani sono fatti a immagine di Dio e devono essere rispettati per quello che sono. Pertanto nessuna descrizione esteriore dell’essere di ciascuno basata sulla razza, l’etnia, il genere e l’orientamento sessuale, né alcun credo basato su parole umane elaborate dalla religione in cui si è stati educati possono essere usati come giustificazione di rifiuto o di discriminazione.
Anche se tutto questo scardina la dottrina che ci hanno insegnato, mi piacerebbe che ciascuno di noi cominciasse a meditare su questi punti.
NOTE
[1] Commissione teologia internazionale di Eatwot - The Ecumenical Association of Third World Theologians (che è un network di teologi provenienti principalmente dall’Africa, Asia, e America latina e sono interessati a creare una teologia rilevante e accettabile nei loro contesti.9
[2]Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova” …La Chiesa peregrinante verso la meta è chiamata da Cristo a questa continua riforma, di cui essa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno (Esortazione apostolica Evangelii gaudium, di papa Francesco, 24.11.2013, §§ 11 e 26).
Per fare un esempio pratico, sembra che oggi la Chiesa non possa fare a meno del denaro, tanto denaro: pensiamo solo all’otto per mille; i vescovi ritengono che per evangelizzare ci sia bisogno di molto denaro. Ricordate che l’arcivescovo Marcinkus, quando dirigeva lo IOR, sosteneva che la Chiesa non si può mandare avanti con le “Ave Marie”? Nessuno gli ha fatto presente che secondo Gesù non si può servire contemporaneamente Dio e mammona (Mt 6, 24), e che, mandando a due a due gli apostoli, proibì loro espressamente di portare con sé denaro per annunciare il Regno di Dio (Mt 10, 9): ciò vuol dire che - secondo il Gesù storico - il denaro è un intralcio all'evangelizzazione; anzi, questo viene indicato come il primo degli intralci. Gesù invita a mettere la propria sicurezza non in quello che uno ha e trattiene per sé, ma in quello che uno dà e condivide con gli altri. Siamo davanti a uno dei tanti rovesciamenti radicali di Gesù, perché chi di noi si mette in viaggio senza denaro? Neanche la maggior parte dei vescovi lo fa. Forse per Gesù evangelizzare non è allora insegnare dottrine, ma far vedere un modo diverso di vivere. Ecco la richiesta di ritorno al Vangelo originario.
[3] Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani, Milano, 2017, 157.
[4] Post può indicare il dopo, quindi lo sviluppo da quello che precede; ma può indicare anche la contrapposizione, l’opposizione a quello che precede.
[5] Ratzinger J., Quid est veritas?, “Micromega,” n.3/2000, 221: il cristianesimo compreso.
[6] Enciclica Papa Pio XII, Humani generis, 12.8.1950, preambolo, in www.vatican.va.
[7] Ma ricordiamo che per Gesù la verità si fa, come l’ha fatta il buon samaritano, non si contempla nelle dottrine e nei dogmi.
[8] Il Nuovo Catechismo Olandese, ed. Elle Di Ci, Torino, 1969, 443.
[9] Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 51ss.
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/