Accipe anulum de manu Petri
di Stefano Sodaro
Padre Timothy Radcliffe, neocardinale, e il nostro direttore, ieri in Vaticano
Quando il Papa impone pilleolo (la più nota “papalina”) e berretta di color rosso porpora ai nuovi Cardinali durante il Concistoro – che i tecnici specificano, correttamente, “Ordinario e Pubblico” – non pronuncia alcuna parola.
Quando invece, proprio lui, il Papa, mette al dito dei medesimi Cardinali l’anello, dice: Accipe anulum de manu Petri et noveris dilectione Principis Apostolorum dilectionem tuam erga Ecclesiam roborari. La traduzione è già contenuta nel bel libretto a cura dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice pubblicato per seguire il Concistoro svoltosi ieri pomeriggio in San Pietro: Ricevi l’anello dalla mano di Pietro e sappi che con l’amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa.
Sulle figure, e l’importanza – verrebbe da dire “quasi strategica” -, dei neo-porporati ci siamo già soffermati (qui e qui qui). Ieri ha colpito però, in modo particolare, ciò che ha detto il Papa rivolgendosi a questi nuovi, come ci si esaltava un tempo a definire, “Principi della Chiesa”: Gesù non fa mai la strada da solo; il suo legame con il Padre non lo isola dalle vicende e dal dolore del mondo. Al contrario, proprio per curare le ferite dell’uomo e alleggerire i pesi del suo cuore, per rimuovere i macigni del peccato e spezzare le catene della schiavitù, proprio per questo Egli è venuto. E, così, lungo la strada, il Signore incontra i volti delle persone segnate dalla sofferenza, si fa vicino a coloro che hanno perduto la speranza, solleva quanti sono caduti, guarisce chi è nella malattia. Le strade di Gesù sono popolate di volti e di storie e, mentre passa, Egli asciuga le lacrime di coloro che piangono, «risana i cuori affranti e fascia le loro ferite» (Sal 147, 3).
L’avventura della strada, la gioia dell’incontro con gli altri, la cura verso i più fragili: questo deve animare il vostro servizio di cardinali. L’avventura della strada, la gioia dell’incontro con gli altri e la cura verso i più fragili. Diceva un grande del clero italiano, don Primo Mazzolari: «Lungo la strada è incominciata la Chiesa; lungo le strade del mondo la Chiesa continua. Non occorre per entrarvi né battere alla porta, né fare anticamera. Camminate e la troverete; camminate e vi sarà accanto; camminate e sarete nella Chiesa» (Tempo di credere, Bologna 2010, 80-81). Non dimentichiamo che stare fermi rovina il cuore e l’acqua ferma è la prima a corrompersi.
Quell’inanellamento compiuto da una mano d’uomo, maschio, la mano del Papa, alla mano di un altro uomo maschio, il nuovo membro del Collegio Cardinalizio (che non è più, aggettivato “Sacro”), ha un che di nuziale che potrebbe persino mettere a disagio. Come il ripetere “dilectione”, “dilectionem”, cioè “amore” - come che sia -, fa associare il rosso delle porpore a qualcosa che tutte e tutti conosciamo bene, religione o non religione, Chiesa o non Chiesa. Quella passione, cioè, quel desiderio, quella fame e sete di volti e d’incontri, che non ci lascia neppure respirare, che è la fiamma stessa della vita.
L’incontro del qui scrivente direttore di questo nostro settimanale – prossimo a passi larghi verso il suo numero 800 (!) – con quattro dei ventuno nuovi cardinali lo ha molto impressionato: l’immediatezza affettuosa di Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, che l’ha riconosciuto e voluto abbracciare; l’umiltà e la profetica trasparenza di Mimmo Battaglia, Arcivescovo di Napoli, che s’illumina al nome di Tonino Bello, suo modello episcopale, fino a rivelarmi che “sono qui i parenti di don Tonino, sono voluti venire!”; il tratto di simpatia, la voglia di dialogare, gli occhi lucenti del grande padre Timothy Radcliffe; il canto struggente del popolo ucraino attorno al suo nuovo cardinale Mykola Byčok, che sentendo parlare di una ormai antica tesi di laurea in diritto canonico sull’ordinazione presbiterale degli uomini sposati mi fissa con lo sguardo come ad esclamare “E quale sarebbe la novità?”.
A San Pietro ieri - il cronista deve pur riferirlo - si avvertiva una frattura, non però in seno al Collegio dei Cardinali, bensì tra gli altri e le altre che stavano loro attorno. C’è chi si commuoveva davanti al primato dell’amore anche nei confronti della fede (del resto, per chi ci crede, è proprio una verità dottrinale) e chi invece si vedeva quanto fosse corrucciato/a davanti a croci pettorali di legno, sai domenicani al posto di talari, rocchetti e mozzette e davanti ad un Papa che si mette a citare addirittura don Primo Mazzolari nel bel mezzo di un Concistoro.
Sì, la differenza la fa l’amore – non l’organo, come ho sentito, sempre ieri sera, affermare in una chiesa romana, diversa dalla Basilica di San Pietro (ma non distante), da un giovane prete, la cui età sembrava inversamente proporzionale alla stantia banalità del trito e ritrito, per cui l’anziano Radcliffe mi sembrava immensamente più giovane nello spirito di quel giovane presbitero.
La differenza la fa l’amore. La “dilectio”. Il “mettere l’anello al dito” come nella parabola del figlio che ritorna e del padre che lo aspetta.
La differenza la fa l’amore. La “dilectio”. Il “mettere l’anello al dito” come nella parabola del figlio che ritorna e del padre che lo aspetta.
Ma la dilectio, poi, in realtà, non si sa neanche come tradurla per bene.
L’amore è fatto di gesti, molto più che di parole. Esitanti e cerimoniose, secondo la rubrica del rito, anche ieri pomeriggio, ma sorpassate dalla policromia delle emozioni, assai amorose.
Che sia una domenica stracolma di amore, rosso porpora, rosso paonazzo, rosso da farci tutte e tutti arrossire, appunto.
Buona domenica.