Città del Vaticano, Sala Clementina, lunedì 9 dicembre 2024
Dopo il n. 800: per una prossemica italo-eritrea ebraico-cristiana
di Stefano Sodaro
Preti danzanti per la festa di Timket ad Addisa Abeba nel 2015, davanti alla Chiesa di Santa Maria - foto di Jean Rebiffé tratta da commons.wikimedia.org
Oggi, per le Chiese autoctone habesha (abissine) di Eritrea ed Etiopia, è solennissima festa di Timket, festa cioè del Battesimo di Gesù nel Giordano. Festa molto più solenne di Lidet, il Natale. I preti danzano come si vede nella foto. I trilli di gioia si diffondono di chiesa in chiesa, di casa in casa.
Cambiamo latitudine. Le lezioni di questo fine settimana presso la Scuola di Filosofia di Trieste hanno riesumato, rianimato, rinverdito – non si saprebbe bene come dire davanti allo stato comatoso della cultura critica – il neologismo di Edward Hall, che traduceva con “prossemica” lo studio della comunicazione interumana nello spazio dilatato – o ristretto - dalla distanza.
E dopo i contributi delle autrici dello scorso nostro numero 800 di questo settimanale ci è venuta in mente la possibilità di stabilire nuovi ponti di dialogo e frequentazione, che possano valorizzare la dimensione culturale del nostro Paese, l’Italia - e della città dove abbiamo sede, Trieste - così come della cultura eritrea, ebraica e persiana, associandole in uno scambio ed in un confronto tutto da inventare. Ma perché accostare questi quattro mondi, anzi universi – o, meglio, “multiversi” -? Sull’Italia e su Trieste non ci sarebbe molto da dire, se non – forse – che in questo caso preferiremmo dare voce e parola a chi di Trieste non è e, secondo requisito, a chi è giovane donna, studiosa o professionista, e che, proprio in forza del personale entusiasmo e della conseguente motivazione, potrebbe far incontrare altre specialiste di questi ben individuabili contesti culturali. Quali? Rimarchiamolo pure: quello ebraico, quello persiano (o iraniano), quello monastico in senso lato e quello canonistico ma interpretato sempre con lettura di donna.
Trieste, Asmara, Gerusalemme, Teheran e, ad esempio, Milano, o Torino, danno il senso di un perimetro, non solo geografico, dentro il quale muovere i nostri piccoli – o grandi, chissà – progetti di approfondimento. Che a loro volta richiedono di essere incanalati in un certo rigore formale, diciamo – per capirci – “accademico”, come che sia.
Proviamo a dire ancora un po’ meglio, se ci riusciamo. Del cristianesimo del Corno d’Africa in Italia non si sa pressoché nulla. Ma proprio nulla di nulla. Dell’ebraismo – al di là delle vampe stagionali di interesse che s’accende e si spegne, che va e che viene (e nell’attuale congiuntura geopolitica molto “va” …) – pure nulla, o quasi. Dell’Iran figuriamoci e della Chiesa Persiana zero periodico. Se, anche in una qualunque vivace parrocchia cattolica italiana, provassimo a chiedere di tradizioni rituali siro-occidentale o siro-orientale, di rito maronita o caldeo, malabarese o malankarese, probabilmente verremmo presi per pazzi.
Non parliamo poi della comprensione in Italia, a livello popolare e diffuso, di cosa sia l’Islam. La chiusura più netta e ignorante è lì pronta a sfogarsi in tutti i modi, anche i più inimmaginabili.
Eppure tra Israele, Iran e Corno d’Africa – ricomprendendo il dirimpettaio Yemen -, si fanno le sorti del mondo, questa volta quell’unico mondo cui tutte e tutti apparteniamo. La nostra Terra vilipesa, offesa, ferita a morte, strangolata da guerre e tragedie di popoli interi, avrà un futuro, oppure no, a seconda di che cosa accadrà lì. E domani entra nel pieno dei suoi poteri presidenziali Donald Trump.
Una prossemica italo-eritrea ebraico-persiana è il nuovo orizzonte verso cui vorremmo veleggiare (siamo a Trieste, appunto).
Articoliamo il progetto: una studiosa ebrea ed una musulmana moderate da un avvocato donna; una “monaca” ed una laica moderate da una teologa. Un primo confronto, cioè, più decisamente laico, con identità in prevalenza non cristiane. Ed un secondo, invece, più dentro le dinamiche della Chiesa Cattolica. Ma è appena un’idea, una bozza di progetto, un’annotazione per un impegno da concretizzare, per un coinvolgimento nuovo e diverso da allargare a chiunque interessi.
Queste sei presenze femminili potrebbero dar vita ad un’inedita configurazione, per così dire, “comunitaria”, «poco rettangolare e molto circolare» - sempre riferendoci alle potenti suggestioni delle lezioni filosofiche triestine di oggi e ieri -.
C’è bisogno di spaccare solitudini, di aprire varchi, di dare respiro, di trovare ossigeno, di inaugurare reti di solidarietà affettiva e non solo effettiva, efficiente.
A Timket si bruciano i fuochi, come da noi, a Nordest, la sera dell’Epifania. È un chiarore che non acceca ma riscalda, che brilla nella notte e segna un punto di luce cui poter guardare sapendo che intorno vi danza una comunità, non una persona da sola, prigioniera del suo isolamento.
Una prossemica italo-eritrea ebraico-persiana potrebbe essere un bel cambio di passo anche nella storia del nostro settimanale, una pista importante su cui incamminarci assieme.
Noi ci siamo e andiamo avanti, confidando nella simpatia delle nostre lettrici e dei nostri lettori.
Ridiamoci, dunque, un appuntamento a breve.
E intanto auguriamoci: buona domenica e felice Festa di Timket!
“Ruhus Timket!”.