Dario Culot - Guerra, pace e religioni: un po’ di storia pregressa
di Dario Culot
Il Papa di, dsegno di Rodafà Sosteno
In questi tempi la parola “pace” è fra le più inflazionate, anche se mai - come in questi tempi,- ci sono state tante guerre vicine a noi, e scontri anche fra di noi. Si parla molto di pace, ma si fa assai poco perché arrivi una vera pace, sì che i conflitti proseguono. Oggi, su internet, nei social media è più facile trovare tifo e passione che portano a vedere come nemico chi ha idee diverse dalle proprie, oppure si cerca di edulcorare le notizie per non vedere quello che succede realmente, ma raramente si cerca di analizzare con calma la situazione. Tentiamo allora di fare un’ analisi frigido pacatoque animo (restando freddi e pacati).
Ovviamente ‘guerra e pace’ è un problema che assilla da sempre l’umanità. La stessa storia, per come la conosciamo dopo averla studiata a scuola, è sostanzialmente un riassunto delle guerre del mondo, a cominciare dalla guerra di Troia (scoppiata per motivi commerciali, ma edulcorata con la storia del rapimento della bella Elena).
Nell’antichità non era concepibile uno Stato il cui benessere non dipendesse dal beneplacito delle potenze ultraterrene. Su questo pagani e cristiani erano d’accordo. Già Augusto, il primo imperatore, è “pontifex maximus” (sommo pontefice), cioè il sacerdote supremo a cui sta a cuore la pax deorum (pace divina). Ma il maligno Tacito[1] scriveva a proposito della pace imposta dall’impero romano, che i romani prima fanno un deserto, e poi chiamano ‘pace’ quel deserto.
Si legge nella Bibbia: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2, 4). Ma Isaia parla del futuro e dice che tutto ciò avverrà “alla fine dei giorni”. Quindi alla fine del tempo, terminata la storia. Dunque, la profezia di Isaia ha un carattere escatologico[2] e religioso, di non immediata realizzazione.
Solo alla fine dei tempi la guerra sarà cancellata e la pace trionferà.
È una speranza, non un obiettivo immediato. Il profeta Isaia vede i popoli della terra convergere in futuro attorno ad un'unica autorità superiore, un’autorità divina, che dirimerà e appianerà qualunque controversia. Nessun popolo quindi dovrà più combattere per far valere i propri diritti o le proprie ragioni. Sarà Dio stesso il custode della pace.
Siamo anche abituati a pensare che, alla fine i cattivi la pagheranno e i buoni vinceranno. Così dice, infatti, il Salmo 92 (91), 8.13:
se i peccatori germogliano come l'erba
e fioriscono tutti i malfattori,
li attende una rovina eterna:
….
Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano.
Ma la storia ci ha purtroppo insegnato che, essere dalla parte giusta, spesso non basta. E in particolare oggi, quando non ci sono più regole internazionali condivise, quando sembra sparito anche quel barlume di diritto internazionale che tutto il mondo sembrava accettare, si vede che il “cattivo” vince ancor più facilmente. Del resto l’Ecclesiaste già diceva che c’è un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace (Qo 3, 8).
Insomma, al momento sembra che Dio lasci fare a noi, perché, come diceva don Mazzolari, “dare la pace ai morti è impegno di Dio. Fare la pace tra i vivi è impegno nostro”. Dovremmo essere noi uomini i costruttori e i custodi della pace, ma sempre più spesso ci mostriamo come solerti fautori di guerre[3] e sembra che, nell’alternanza fra tempo di guerra e tempo di pace, diamo preferenza al ciclo della guerra.
È anche vero che le guerre iniziano e prima o poi anche finiscono, ma normalmente quello che non finisce e l’odio che continua a covare fra chi si è combattuto, per cui finché dura questa brace sotto la cenere della cd. “pace” l’incendio può sempre tornare a divampare all’improvviso. E finché ci sarà al mondo qualcuno il quale pensa che conquistare territori altrui e popolazioni, dimostrare agli altri quanto si è forti e temibili, cambiare il mondo come solo lui sa fare, è qualcosa di grandioso, - e un po’ tutti noi abbiamo assorbito la cultura della ‘grandezza’,- sorgeranno sempre dei nuovi Putin[4] o dei nuovi Hitler.
Nel discorso della montagna, Gesù proclama “Beati i costruttori di pace, perché questi saranno chiamati figli di Dio”. Figlio è colui che assomiglia al Padre. Perché vengono chiamati figli di Dio? Perché gli assomigliano, perché fanno lo stesso lavoro di Dio. E qual è il lavoro di Dio? Essere costruttore di pace, quindi chi costruisce la pace, si mette in sintonia con l'azione edificante del Creatore.
A questo punto c’è da domandarsi: che ruolo ha giocato la Chiesa (specialmente il papa che – ci hanno insegnato - è il vicario di Cristo, e i suoi teologi) nell’essere costruttrice di pace?
Può dirsi che, dopo la crisi dovuta alla guerra trentennale fra Visigoti e Bizantini che aveva devastato l’Italia, era stato perso tutto, anche la religiosità; sono stati i monaci irlandesi a ricristianizzare anche l’Italia. Ma la storia della Chiesa non è stata sempre e solo positiva.
Purtroppo anche la Chiesa ha spesso legittimato varie atrocità, appoggiandosi saldamente a teologie paradossali, sì che i re e i governanti della potente Europa hanno potuto saccheggiare, impossessarsi di Paesi interi, commettendo uccisioni e atrocità, ma “in serena coscienza,” perché avevano dalla loro parte le bolle papali e l’approvazione della maggioranza dei teologi che hanno agito quali giustificatori della rapina e del crimine in vari continenti. E questo è durato per secoli. Molto probabilmente queste atrocità si sarebbero commesse ugualmente senza far affidamento sulle bolle pontificie e le approvazioni teologiche, ma questa resta un’ipotesi[5].
Qualche esempio eloquente: l’8.1.1454, con la bolla Romanus Pontifex,[6] papa Niccolò V, donava al re Alfonso del Portogallo tutta l’Africa, affinché gli abitanti arrivassero a conoscere il vero Dio, e non quello falso dei musulmani, convinto che in tal modo si prestava a Dio il massimo ossequio. Nella stessa bolla, sotto pena di sanzione penale e scomunica, era previsto anche l’embargo di prodotti strategici (come armi e legno) verso i Saraceni, che se venduti ai nemici avrebbero potuto rafforzarli; e anche questo costituiva sempre “grave offesa a Dio”[7]. Ovviamente quello nostro, non quello dei musulmani.
Nel 1493 Papa Alessandro VI, dopo aver diviso le Americhe fra Spagna e Portogallo, come ne avesse avuto l’autorità di farlo per autorizzazione divina, con la Bolla Inter Caetera[8] comminava la scomunica automatica a chiunque avesse osato infrangere il duopolio commerciale di questi due Stati. Per Venezia, tagliata fuori dalle nuove rotte commerciali, cominciava un lento declino.
È piuttosto evidente il ruolo e l’influenza decisiva del papato nella storia del colonialismo europeo. Non è che la Chiesa abbia inventato il colonialismo; le invasioni di potenti imperi su popolazioni più deboli, povere e indifese sono sempre esistite nel corso della storia dell’umanità, ma è indiscutibile che la Chiesa, attraverso la parola del Romano Pontefice, ha giustificato e tranquillizzato le coscienze degli invasori europei e ha rafforzato al tempo stesso l’ingiustizia[9].
Quando i cristiani spagnoli hanno conquistato il Nuovo Mondo sono rimasti inorriditi dai sacrifici umani che le religioni di quei luoghi ancora compivano. Per non saper né leggere, né scrivere, gli spagnoli hanno cominciato a imporsi con la violenza per civilizzare e cristianizzare queste “primitive” popolazioni locali, di fatto rendendole schiave[10].
Presto, già agli inizi del Cinquecento, hanno cominciato a levarsi le prime voci di condanna degli abusi macroscopici commessi dagli spagnoli contro gli indiani: ad Hispaniola (odierna Haiti), ad esempio, il domenicano Antonio de Montesinos aveva denunciato le gravi vessazioni di cui era stato testimone, dicendo «io sono la voce che grida nel deserto di quest’isola, ed io vi dico che voi siete in stato di peccato mortale a causa della vostra crudeltà contro un popolo innocente».
Nel 1511 quel rompiscatole di Montesinos, che non esitava a rifiutare perfino i sacramenti agli encomenderos[11] violenti, era stato finalmente rimpatriato in Spagna, ma si era ancora dato tanto da fare che, in Spagna, era riuscito a ottenere delle leggi che imponevano migliori condizioni di lavoro per gli indiani (comunque presto disattese). Tolto di mezzo Montesinos è emerso Bartolomeo de Las Casas, che è diventato «difensore degli Indiani»[12]. Re Carlo V, preso fra due fuochi dai gruppi che difendevano gli interessi economici degli encomenderos e di quelli che ne denunciavano gli abusi, ha proibito la schiavitù e nel 1542 ha promulgato una legge che metteva gli indiani sotto la diretta protezione della Corona di Spagna, esigendo che le autorità reali intervenissero contro gli abusi degli encomenderos e vietando la costituzione di ulteriori encomiendas. Queste leggi hanno ovviamente provocato una generale sollevazione degli encomenderos[13].
Juan Ginés de Sepúlveda, richiamandosi ad Aristotele, ha scritto il trattato De justis belli causis apud indios, difendendo la conquista come una necessità e un dovere, perché la Spagna aveva il dovere morale di dirigere, se necessario con la forza, le popolazioni locali così prive di senso morale.
Las Casas ha replicato col trattato Treinta proposiciones muy jurídicas, sostenendo che soltanto col buon esempio poteva essere promossa una colonizzazione, la quale doveva restare rispettosa dell’identità e dignità delle popolazioni e della società precolombiana.
Carlo V, rimasto dubbioso nel conflitto, ha riunito un collegio di teologi, giuristi ed ecclesiastici ordinando il dibattito di Valladolid sulla legittimità della conquista. Il dibattito di Valladolid del 1550-51 (che ha opposto essenzialmente la tesi del domenicano Bartolomeo de Las Casas e del teologo Juan Ginés de Sepúlveda) si è concluso, dopo dotte discussioni durate mesi, con un sostanziale nulla di fatto.
E i delitti di saccheggio, schiavitù, omicidi che ormai erano venuti alla luce? Passati in secondo piano, soprattutto perché chi era andato in America aveva cercato di diffondere lì la verità e la salvezza cristiana, quindi era andato per difendere sostanzialmente una causa giusta. Insomma questi peccati dei potenti non erano così gravi da essere pesantemente condannati, potendo essere giustificati per ragioni religiose: chi difende innanzitutto i diritti di Dio è facilmente scusato.
Il diritto di non accettare la religione cristiana e di restare nella propria, che oggi fa parte dei diritti fondamentali della dignità umana, allora non era preso in alcuna considerazione. Tenuto quindi conto del fatto che, fra il 1519 e il 1595, cioè in meno di un secolo, la popolazione del centro America è passata da 25 milioni circa a 1.375.000,[14] si deduce oggi che, con la scusa religiosa di eliminare l’orrenda pratica del sacrificio umano propria di una religione falsa, in nome di un’altra religione ritenuta superiore, non ci si fatti scrupolo di continuare a trattare i popoli precolombiani come inferiori da sottomettere e da sfruttare. Certo oggi si vede con lucidità che i conquistadores non si sono comportati da cristiani, ma è indubbio che hanno trovato facile sponda nella propria religione che doveva essere imposta a tutto il mondo, anche con la violenza se qualcuno si opponeva dell’unica vera religione[15].
E non è che nell’Europa cristiana le cose siano andate meglio. Tra le pretese dell'imperatore asburgico vi era quella di privare i principi tedeschi del diritto a determinare la religione dei propri regni, sancito dalla pace di Augusta del 1555, secondo il principio del cuius regio, eius religio (cioè il popolo segue la religione che pratica il proprio sovrano). La pace di Westfalia del 1648, ponendo fine alla Guerra dei Trent’anni, sanciva la sconfitta definitiva delle ambizioni asburgiche di imporre il cattolicesimo come religione dell'Impero, decretando invece la libertà degli stati tedeschi in materia religiosa e, di fatto, la definitiva affermazione del protestantesimo.
Questa certezza da parte dell’Europa cristiana (ma lo stesso si è poi ripetuto nel mondo musulmano) di incarnare il Bene e di possedere la Verità Assoluta, ha permesso di indicare gli altri come l’incarnazione del Male, ha consentito di combattere, con qualunque mezzo, tutto quel che si riteneva si opponesse al trionfo del proprio Bene: chi non segue la vera dottrina sta dalla parte del male e va estirpato come una zizzania pericolosa[16]. Ecco perché è illusorio pensare che le grandi religioni possano portare la pace nell’umanità, finché sono convinte di essere l’unica manifestazione della Verità divina Assoluta, perché a quel punto inevitabilmente tendono a volere annientare tutto il resto. Da notare che su questa linea di pensiero sono ancora oggi fermi non solo gli integralisti musulmani, ma anche tanti cristiani conservatori: pensiamo al patriarca cristiano Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa, il quale non condivide affatto l’idea di papa Francesco, il quale ha ricordato che il Vangelo è un Vangelo di pace e “in nome di nessun Dio è possibile dichiarare una guerra santa”. Quanti potenti, invece, usano ancora oggi il nome di Dio, come se avessero avuto un’autorizzazione celeste, per raggiungere i propri interessi terreni? E questa stessa linea di pensiero vale anche al di fuori della religione, perché si vede sempre più spesso in politica questa tendenza a trasformare in nemico da abbattere[17] chiunque abbia un’idea diversa dall’unica giusta, che ovviamente è la propria. E poi c stupiamo se fra gli Stati scoppiano le guerre.
(continua)
NOTE
[1] Tacito, Agricola 30.
[2] L’escatologia è la dottrina che studia il destino ultimo, le realtà ultime, le cose ultime, lo stato finale e definitivo del singolo, dell’umanità e dell’universo; la dottrina della fine del mondo, della fine della storia, della fine dell’essere umano.
[3] Venti milioni di morti nella prima guerra mondiale (altrettanti poi con la Spagnola); Sessanta milioni di morti con la seconda guerra (History, aprile 2025, 19).
[4] La Russia è il Paese più esteso del mondo. Putin aveva bisogno di occupare anche il territorio dell’Ucraina?
[5] Castillo J.M., Declive de la religión y futuro del Evangelio, Desclée De Brower, Bilbao, 2023, 135.
[6] Il testo latino è reperibile nel Bollarium Romanum, in www.icar.beniculturali.it, Tomo V, bolla n. VIII, §5. In italiano potremmo così tradurre il passo: “poiché abbiamo concesso precedentemente con altre lettere nostre, tra le altre cose, piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua e di occupare, appropriarsi e volgere ad uso e profitto proprio e dei loro successori tali regni, ducati, contee, principati, signorie, possedimenti e beni, in conseguenza della garanzia data dalla suddetta concessione…”
[7] Il testo latino è reperibile nel Bullarium Romanum, in www.icar.beniculturali.it, Tomo V, §8. In italiano potremmo così tradurre:”… alcuni uomini, trascinati dalla cupidigia, possano salpare verso quelle regioni e, desiderosi di usurparle a loro favore…portarvi o trasportarvi – sia per lucro che per malvagità – ferro, armi, legno per costruzioni ed altre cose e merci, che è proibito consegnare agli Infedeli o insegnare ai medesimi l'arte della navigazione, per cui essi diverrebbero nemici più forti e tenaci del Re e dell'Infante, così che il progresso della impresa verrebbe ostacolato o forse completamente annullato, non senza grave offesa a Dio ed immenso discredito dell'intera Cristianità…”
[8] Testo italiano in www.cathopedia.org: «Inoltre, sotto pena di scomunica latae sententiae che verrebbe emanata ipso facto per chiunque contravvenisse, vietiamo assolutamente a tutte le persone di qualsivoglia rango, persino imperiale o regio, o di qualunque stato, grado, condizione, ordine, di osare, senza il vostro permesso speciale o quello dei vostri suddetti eredi e successori, di recarsi per scopi commerciali o per altre ragioni nelle suddette isole e continenti, trovati o da trovare, scoperti o da scoprire, verso ovest e verso sud, tracciando e stabilendo una linea dal polo Artico al polo Antartico, senza badare se le isole e i continenti si trovano in direzione dell'India o verso altre terre, dovendo essere la detta linea distante 100 leghe verso ovest e sud come già detto, dalle isole comunemente conosciute come Azzorre e Capo Verde; nonostante costituzioni apostoliche e ordinanze e altri decreti che dicessero il contrario».
[9] Castillo J.M., Declive de la religión y futuro del Evangelio, Desclée De Brower, Bilbao, 2023, 132.
[10] Si rinvia in proposito allo scritto di Canova P., Guadalupe – dalla parte degli ultimi, ed. Villadiseriane, Villa di Serio (BG), 2008, 9ss., che essendo scritto da un monsignore cattolico non sarà certamente contestato di eccessività anticattoliche.
[11] Gli abitanti di una zona venivano affidati a un colono spagnolo (encomendero) cui spettava il compito di cristianizzarli, proteggerli e (soprattutto) utilizzarli.
[12] Ancora oggi, egli ha mantenuto questo titolo, e in Messico, nella regione del Chacas, la città di San Cristobal aggiunge il suo nome, tanto che ancora oggi si chiama San Cristobal de las Casas. Ma va anche ricordato che, secondo la tradizione, quando i conquistadores stavano per essere sopraffatti dalle forze soverchianti degli Incas, questi ultimi sarebbero stati sbaragliati dalla Madonna guerriera – una bianca fanciulla, secondo le cronache incaiche - che li avrebbe messi in fuga (Camilleri R., Le lacrime di Maria, ed. Mondadori, Milano, 2013, 143). Dunque, Dio stava chiaramente dalla parte dei conquistadores.
[13] Ai quali si adattava pefettamente il monito biblico: «Gridano “Pace!” quando i loro denti hanno qualcosa da mordere, ma dichiarano la guerra santa contro chi non mette nulla nella loro bocca» (Mic 3, 5). Ancora una volta, dunque, nulla di nuovo sotto il sole.
[14] Boff L,.Teologia della liberazione e opzione per i poveri, oggi, in Con i poveri della terra, a cura di Vigil J.M., ed. Cittadella, Assisi, 1992, 160.
[15] Quando oggi ci lamentiamo che i musulmani, ancora pochi fra di noi, cercano d’imporci le loro leggi, la sharia, riescono a far eleggere i loro candidati in politica, dovremmo fare prima un approfondito esame di coscienza, pensando a come ci siamo comportati noi cristiani nel mondo. “Ma noi eravamo convinti di far conoscere nel mondo l’unico vero Dio!” Anche i musulmani sono convinti di farlo.
Ricordo allora quanto detto da uno scrittore indiano (Vikram Chandra), nonché professore universitario a Berkeley, anche se parlava dell’India e non dell’Europa: le violenze fra musulmani è indù sono inversamente proporzionali alla loro promiscuità; dove le comunità sono ben mescolate (come a Mumbai) gli scontri sono assai rari; il pericolo maggiore è dove si sono creati dei ghetti, delle forme di apartheid anche geografico. L’estrema destra (sta palando dell’India), che vuol combattere l’islam per far prevalere l’identità indù in tutta l’India, è la miglior alleata delle madrasse che inoculano i germi del fondamentalismo islamico (citato da Rampini F., La speranza indiana, Mondadori, Milano, 2007,210). Non è esattamente quello che abbiamo visto anche noi europei con la ghettizzazione degli stranieri a Parigi e a Bruxelles? Cerchiamo almeno di non ripetere gli stessi errori qui da noi.
Mi piace anche ricordare quest’amara, ma ironica, considerazione di un capo tribù pagano: “prima che arrivassero i nostri fratelli bianchi per fare di noi degli uomini civilizzati, non avevamo alcun tipo di prigione. Per questo motivo non avevamo nemmeno un delinquente. Senza una prigione non può esservi alcun delinquente. Non avevamo porte chiuse a chiave e perciò, presso di noi, non c’erano ladri. Quando qualcuno era così povero da non possedere un cavallo, né una tenda, né una coperta, allora egli riceveva tutto questo in dono. Noi eravamo troppo incivili, per dare grande valore alla proprietà privata. Noi non conoscevamo alcun tipo di denaro e di conseguenza il valore di un essere umano non veniva misurato secondo la sua ricchezza. Noi non avevamo delle leggi scritte depositate, nessun avvocato e nessun politico, perciò non potevamo imbrogliarci l’uno con l’altro. Eravamo messi veramente male, prima che arrivassero i bianchi, ed io non mi so spiegare come potevamo cavarcela senza quelle cose fondamentali che, come ci viene detto, sono così necessarie per una società civilizzata”.
[16] Giustamente aveva profetizzato Hans Küng: “Non ci sarà pace fra le nazioni finché non ci sarà pace fra le religioni. E non ci sarà pace fra le religioni senza un maggior dialogo fra le religioni”.
[17] Nel vero senso della parola questo si vede spesso in America: pensiamo, fra l’altro, come l’assassinio di Charlie Kirk abbia surclassato nelle reazioni quello della deputata democratica Melissa Hortman, e anche l’aggressione col martello al marito di Nancy Pelosi, che in quel momento non era in casa.
Ma sinceramente, a Pontida, fra tutti coloro che indossavano con entusiasmo la maglietta con l’immagine di Charlie Kirk, mi sarebbe piaciuto interrogare qualcuno a campione e chiedergli: “Mi dica quale discorso di Charlie Kirk l’ha colpita, perché e quando l’ha sentito”.
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/