DIRITTO ECCLESIALE E LIBERTÀ
Rubrica a cura di Maria Giovanna Titone
Non tacere di fronte al genocidio: la Chiesa come sentinella
Di fronte all’immane tragedia che si è consumata a Gaza, l’incontro fra Papa Leone XIV e il presidente Herzog – pur atteso da molti – ci ha lasciato un’amara sensazione: da un lato l’aspettativa di una parola forte, di una denuncia netta contro silenzi e complicità; dall’altro un comunicato che, pur auspicando la cessazione delle ostilità e il rispetto del diritto umanitario, si è mantenuto nell’alveo diplomatico e generico. In un momento in cui il popolo palestinese è soggetto a bombardamenti, carestia, sfollamenti forzati e distruzioni sistematiche, parlare “bene” non basta: serve che la Chiesa assuma un ruolo profetico, che vada oltre le parole e diventi testimonianza concreta.
Da quell’incontro deludente può tuttavia essere scaturita una prospettiva diversa: una sinodalità concreta, non formale, che non si limiti a slogan ecclesiali, ma che sappia tradursi in atti di coraggio. I vescovi e i patriarchi della Chiesa cattolica non possono rimanere semplici spettatori; in forza della loro autorità pastorale e del servizio episcopale, sono chiamati a denunciare ai governi sotto la loro giurisdizione i silenzi, le omissioni o le complicità con quei crimini che mettono in pericolo la vita e la dignità dei popoli.
È significativo che a parlare con chiarezza siano state proprio le voci dei pastori più vicini al fronte. I patriarchi di Gerusalemme, nelle loro dichiarazioni congiunte, hanno denunciato: «… sono già stati emessi ordini di evacuazione per diversi quartieri della città di Gaza … sembra che l’annuncio del governo israeliano secondo cui “si apriranno le porte dell’inferno” stia effettivamente assumendo contorni tragici.» E ancora: «Lasciare Gaza City e cercare di fuggire verso sud equivarrebbe a una condanna a morte … per questo motivo, i sacerdoti e le suore hanno deciso di rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che si troveranno nei due complessi.» E infine: «Non può esserci futuro basato sulla prigionia, lo sfollamento dei palestinesi o la vendetta. … Non vi è alcuna ragione che giustifichi lo sfollamento deliberato e forzato di civili.»
In questo stesso spirito, il Patriarca greco-ortodosso Teofilo III ha ricordato: «Il silenzio di fronte alla sofferenza è un tradimento della coscienza … Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.»
E il Patriarca latino, cardinale Pierbattista Pizzaballa, dopo la sua visita a Gaza ha denunciato che la crisi umanitaria non è un’emergenza marginale, ma una questione di vita o di morte. Egli ha definito “inaccettabile e moralmente ingiustificabile” la politica israeliana nella Striscia, affermando che «ogni ora senza cibo, acqua, medicinali e rifugio provoca danni profondi». E ancora: «Cristo non è assente da Gaza — egli è lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie e tuttavia presente in ogni gesto di misericordia, ogni candela nella notte, ogni mano tesa al sofferente.»
A queste parole si è unita la voce del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che in un appello condiviso con la Comunità ebraica di Bologna affermava: «Fermi tutti. Tacciano le armi … Si sfamino gli affamati e siano garantite cure ai feriti. Si permettano corridoi umanitari. … Condanniamo ogni atto terroristico che colpisce civili inermi. Nessuna causa può giustificare il massacro di innocenti.»
In un contesto drammatico come questo, quelle non sono parole “istituzionali” rituali, ma spade di verità che scuotono le coscienze e chiamano all’azione.
Vescovi, patriarchi, cardinali: non possiamo più permetterci di attendere che da Roma arrivi “l’ordine forte”. La sinodalità che auspichiamo è quella che si pratica nelle Chiese locali, nel contatto diretto con le sofferenze dei popoli, nella parola che osa dire le verità scomode. Siate sentinelle: non soltanto veglianti, ma vigili, denunciatori, presenze che parlano nei convegni civili, nelle sedi pubbliche, nei dialoghi con le autorità. Fate pesare la vostra autorità morale, che non deriva da politica ma dal servizio alla giustizia, per scuotere i cuori, smascherare le complicità tardive o striscianti, amplificare le voci di chi non ha voce.
E a tutti i fedeli, e a ogni cittadino di buona volontà: non basta attendere “la parola forte dall’alto”. Ognuno di noi ha la responsabilità di vegliare, discernere, denunciare. Nelle assemblee civili, nelle reti sociali, nei percorsi educativi, nei gesti quotidiani. Tacere davanti all’ingiustizia significa diventarne complici.
L’alternativa è chiara: o ci assumiamo il rischio di essere sentinelle, capaci di denunciare apertamente la violenza e l’oppressione, oppure ci rifugiamo in un silenzio che protegge soltanto i carnefici. Non è più tempo di attendere: è tempo di parola coraggiosa e di azioni che illuminino le tenebre dell’ingiustizia.