DIRITTO ECCLESIALE E LIBERTÀ
Rubrica a cura di Maria Giovanna Titone
Leone XIV e le sfide di una diplomazia fragile
Il recente discorso dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher alla Nunziatura Apostolica in Messico, in occasione della “Festa del Papa”, offre uno spunto prezioso per riflettere sul pontificato appena inaugurato di Leone XIV e sul ruolo che la Chiesa cattolica intende giocare nel complesso scenario globale.
Gallagher ha richiamato con forza un’immagine di diplomazia che va oltre le pratiche formali e burocratiche, una diplomazia “viva”, capace di chinarsi sulle “ferite silenziose dell’umanità”: gli sfollati, i migranti, gli sfruttati, tutti coloro che vivono ai margini e che troppo spesso restano invisibili nei consessi internazionali. È in questo ascolto reale che la politica può riscoprire il suo volto autentico, non come mero esercizio di potere, ma come un vero atto di giustizia.
Questo appello corrisponde a una necessità urgente, in un tempo segnato da crisi di ogni genere: guerre come quella in Ucraina, la tragedia umanitaria a Gaza, crisi migratorie, disuguaglianze crescenti e frammentazione sociale. Eppure, dietro l’ideale del multilateralismo incarnato — tanto declamato quanto spesso tradito — si nasconde una sfida enorme: la Chiesa cattolica è davvero pronta a uscire dalla sua torre d’avorio?
Non si tratta solo di buone parole o di gesti simbolici. La vera diplomazia vaticana deve confrontarsi con la concretezza della storia e delle persone. Deve fare i conti con una Chiesa che, pur presente in molteplici contesti sociali, spesso rischia di mantenere un profilo troppo prudente, quasi a voler preservare la propria immagine piuttosto che incidere profondamente sui problemi strutturali che affliggono le società.
Il caso messicano ne è un esempio emblematico. Qui la Chiesa ha una storia di impegno, ma anche di contraddizioni: dal sostegno agli indigeni e ai poveri fino alle implicazioni con periodi di repressione e marginalizzazione religiosa. Oggi, se è vero che la presenza cattolica è ancora rilevante nelle scuole, negli ospedali e nelle campagne, è altrettanto chiaro che l’istituzione ecclesiale deve interrogarsi sul suo ruolo nel promuovere una giustizia concreta e una pace duratura, evitando che il proprio intervento si riduca a un ruolo di “facilitatore” senza voce profetica.
La devozione a Nostra Signora di Guadalupe, citata da Gallagher come “ponte tra i popoli”, indica una via possibile: quella di una Chiesa capace di radicarsi profondamente nelle culture e nelle sofferenze dei popoli, superando il rischio di un cattolicesimo astratto e lontano dalla vita concreta.
Infine, l’appello dell’arcivescovo a camminare insieme a fianco dei più vulnerabili — migranti, poveri, vittime della violenza — richiama una sfida essenziale per la Chiesa di oggi: non più un attore isolato, ma un partner autentico nel costruire società più giuste. Questo impegno è un test di credibilità, perché la politica e la diplomazia, quando sono espressione d’amore e di servizio, non possono essere altro che un’espressione viva della fede.
Leone XIV e la sua curia dovranno dimostrare che questa visione non è un semplice slogan, ma un orizzonte praticabile, capace di rispondere alle “ferite silenziose” di un mondo sempre più complesso e diviso. Solo così la Chiesa potrà ritrovare la sua vocazione più autentica: quella di essere segno di speranza, giustizia e compassione in mezzo all’umanità.