Contro la banalità del Male
di Stefano Agnelli
Hannah Arendt - foto del 1933 tratta da commons.wikimedia.org
“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso sfida, come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità. Solo il bene è profondo e può essere radicale.”
Hannah Arendt, La banalità del male
Nel 1961, tra aprile ed ottobre, una non più giovane Hannah Arendt assistette al processo, tenuto in Israele, ad Adolf Eichmann, l’uomo che aveva realizzato la logistica dello sterminio di massa, del genocidio pianificato e sistematico, di cui il popolo ebraico fu vittima durante tutta la seconda guerra mondiale. Non ho usato, e non userò, la parola Olocausto, in quanto – come ha suggerito Natalia Ginzburg – essa significa: sacrificio in nome di una divinità, e in nome di quale divinità, sarebbero stati sacrificati gli ebrei?
Durante il processo Eichmann si rivelò, agli occhi della Arendt, un banale contabile, in quanto capace di calcolare, senza alcuna emozione apparente, il numero dei litri di gas Zyklon B necessari per uccidere un determinato quantitativo di individui; quanti vagoni sarebbero serviti per trasportarli nei campi, e così via. La scrittrice e filosofa tedesca, ebbe allora un’intuizione: costui pratica il male senza rendersene conto, senza dargli nessuna connotazione positiva che, forse, da un convinto nazista, ci si poteva aspettare, ma nemmeno, rievocando quei terribili avvenimenti, mostrava apparenti segni di colpa o pentimento. Egli, interrogato in proposito e rivivendo quegli eventi, ribadì più volte, con disarmante freddezza che, essendo un soldato, doveva semplicemente obbedire agli ordini. Quindi, il Male, e la relativa consapevolezza di averlo perseguito, in lui, sembrava non essere nemmeno penetrata. Sarebbe dunque rimasto in superficie, come il fungo che serve da esempio nella frase qui citata come incipit, dove la Arendt pare riassumere il concetto di banalità del male. Il Male dunque non avrebbe lo stesso spessore del Bene, e quando il pensiero cerca di andare nel profondo, nello speculativo, troverebbe una sorta di “nulla”, tanto da restarne frustrato ed aderire, per reazione, al male. Quest’ultima affermazione è vera, e la nostra contemporaneità lo dimostra. Quando l’uomo, nel suo Pensiero, inizia a sentire l’esigenza ontologica della profondità, attorno a sé, nel mondo odierno del consumismo, dell’apparenza senza l’essere, della bieca semplificazione populista e razzista – ma anche di quella tecnologica – non trova nulla di profondo che lo appaghi, perché ogni cosa ha perso le proprie indispensabili sfumature, la propria complessità. Allora si rivolge al male, che è da considerarsi meno profondo: lo è, ma in parte: nelle semplificazioni che uccidono la complessità, la ricerca interiore dell’uomo, non nelle sue manifestazioni, nel modo in cui si trasmette nel mondo, in tutto questo non è affatto banale. L’esempio adottato dalla scrittrice tedesca, il paragone tra il Male ed un fungo, sembrerebbe contraddire, più che confermare – alla luce delle nostre conoscenze - la tesi della Arendt. Oggi sappiamo infatti che il fungo non è soltanto ciò che si vede in superficie, quanto piuttosto la vasta rete del micelio, che può estendersi anche per decine di metri sottoterra, mettendo in collegamento altri funghi con gli alberi nelle vicinanze. Il paragone dunque, finisce per essere, suo malgrado, corretto, poiché dimostra come il Male sia capace di estendersi nel profondo, in modo poco evidente dall’esterno, restando sotto traccia, tra le anime che lo perseguono. Indica la complessità del male nel suo radicarsi e manifestarsi tra gli uomini. Riassumendo, potremmo dire che l’adesione al male avviene a causa della sua intrinseca banalità, del fascino della semplificazione, mentre la pratica e la diffusione, sembrerebbero essere molto complesse, ma andiamo con ordine.
L’atteggiamento di Eichmann, è spiegabile più con la pratica costante ed assidua del male. Il peccato, almeno agli inizi, è soltanto un cattivo orientamento dello sguardo (Simone Weil, Attesa di Dio), ma se si sceglie in modo consapevole di perseguire il male, con volontà e tenacia, allora l’Anima si atrofizza, le emozioni si appiattiscono fino a scomparire, come in alcuni disturbi della personalità, di cui forse il gerarca nazista soffriva. Banalizzare, o peggio ancora, negare in assoluto l’esistenza del male, è un errore grave, non soltanto dal punto di vista teologico. Anche senza volerlo personificare, al fine di poterlo rendere più tangibile, come è stato fatto sin dall’antichità, il demonio, Satana, o come lo si voglia chiamare, esiste purtoppo, ed è una delle forze che compongono l’Universo. Poco importa la correttezza della metafora simbolica scelta: se sia stato precipitato sulla Terra, angelo caduto, come vuole la tradizione giudaico-cristiana, o che esso – semplificando molto un concetto che è ben più complesso - esista dall’alba dei tempi sotto forma di Caos primigenio, contrapposto ad Eros, la forza vitale generatrice (Esiodo, Teogonia). Esiste eccome, ed è ben presente attorno a noi, pronto ad entrare nella nostra anima, qualora se ne presenti l’occasione, come recita benissimo il Vangelo di Giovanni: “allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui” (Gv 13,27), un passo che è stato spesso usato per sostenere come Giuda Iscariota fosse semplice strumento nelle mani di Dio, ma che qui, ci interessa soltanto poiché rivelatore di come il male possa effettivamente entrare dentro di noi. Forse Giuda, sino a quel momento, non aveva effettivamente maturato la convinzione di tradire Gesù, ma da quando il demonio entra in lui, non può evitarlo. Questo perché, al di là del boccone dato dal Cristo, che avrebbe dovuto forse sortire l’effetto opposto – l’Eucarestia stava infatti per essere istituita, secondo i tre sinottici - Giuda aveva già dentro di sé l’idea di tradire, ed esistono pensieri che avvicinano al male più di altri.
Tutto questo non toglie affatto la responsabilità individuale, anzi, la amplifica, poiché senza il nostro consenso il Male non può nulla. Il consenso non è mai esplicito, completamente consapevole, almeno agli inizi, assomiglia piuttosto ad una adesione graduale, uno scivolamento progressivo dell’Anima verso l’oscurità, che lentamente si offusca, perde la capacità di provare emozioni, rendendo così possibili le azioni più efferate ed inumane. Ecco allora spiegato il caso di Eichmann: la sua anima era completamente annichilita dal male, che non è affatto “banale”, se non nel suo nucleo essenziale di assenza d’Amore, ma capace di agire in grande profondità, di compiere il delitto peggiore: offuscare la luce dell’Anima. Si potrà obiettare che il male è banale, in quanto tende a semplificare, a creare soltanto le categorie interpretative strettamente necessarie al suo operare. Non lo è affatto. Esistono infinite sfumature e gradazioni nella pratica del male: dall’istintiva antipatia verso il prossimo, che ci allontana dalla fratellanza universale e fa da anticamera all’odio, fino all’omicidio di massa, al genocidio. Il Male sa dunque radicarsi sin nel profondo, creando reti molto estese fra gli uomini, specie in determinati periodi storici, proprio come fa il micelio del fungo, lavorando in modo sotterraneo.
A dimostrazione della forza e della profondità che riesce a raggiungere il Male, occorre poi notare come, nonostante le persone votate completamente al male siano davvero poche al mondo, queste possiedono però grande capacità di attrazione sull’Umanità. La frase: “non abbandonarci alla tentazione”, contenuta nel nuovo Padre Nostro, ha corretto un’evidente stortura – il Male non viene da Dio – ma ha anche introdotto l’idea che la tentazione di praticarlo, sia sempre stata ben presente nella nostra quotidianità, a volte catalizzata da alcune figure storiche capaci di seminare soltanto odio, trascinando così l’uomo al male, che oggi sembrano di nuovo riproporsi. Eppure mai Dio ci abbandona: anche quando siamo completamente sordi e ciechi al bene, mantiene sempre su di noi, il suo sguardo infinitamente colmo di dolcezza, nella speranza infinita che l'Anima si riaccenda d’Amore.