Femminicidi: una strage silenziosa che non si arresta
Ai telegiornali rimbalzano quotidianamente notizie di donne uccise per mano di ex compagni o mariti. In sole 24 ore, tre donne hanno perso la vita: Sueli Leal Barbosa, precipitata dal quarto piano della sua abitazione nel tentativo di sfuggire a un incendio appiccato dal convivente; Elena Belloli, assassinata dal marito; e Mary Bonanno, insegnante di Palermo, uccisa con una chiave inglese sempre dal coniuge.
Secondo il report trimestrale della Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, sono 22 le donne uccise da inizio anno (dati aggiornati al 31 marzo 2025).
Ma quali sono le cause profonde di questi fenomeni? Tra le radici della violenza vi sono gli stereotipi di genere, che relegano le donne a ruoli subordinati, la violenza domestica normalizzata in molte famiglie, la scarsa istruzione che limita le opportunità e aumenta la vulnerabilità delle donne, nonché l’uso di sostanze che può compromettere il giudizio e innescare comportamenti aggressivi.
La violenza sulle donne: dalla storia al riconoscimento sociale
La prima definizione ufficiale di violenza contro le donne risale al 1993, quando l’ONU ne ha riconosciuto la natura pubblica e sistemica, non più confinata alle mura domestiche. Per la prima volta si parla di violenza di genere, ovvero esercitata sulle donne in quanto donne.
L’ONU sottolinea come sia necessario considerare non solo le forme visibili di violenza, ma anche quelle più subdole, come quella psicologica.
Le forme principali di violenza di genere sono:
Fisica: percosse, lesioni, minacce concrete;
Psicologica: umiliazioni, isolamento, intimidazioni che generano ansia, paura e perdita di autostima;
Sessuale: atti imposti contro la volontà, compreso il mancato uso di contraccettivi o pratiche lesive della dignità;
Stalking: introdotto nell’ordinamento italiano con la legge 38/2009, spesso si verifica dopo una rottura o un rifiuto sentimentale e si manifesta attraverso pedinamenti, appostamenti, messaggi ossessivi;
Violenza economica: mirata a impedire alla donna di conquistare l’indipendenza finanziaria, rappresenta una delle barriere più grandi per uscire da una relazione abusante.
Le dinamiche della violenza secondo la ricerca
Le forme di violenza si manifestano soprattutto all’interno della relazione di coppia. Il sociologo statunitense Michael P. Johnson distingue due tipologie principali:
Intimate terrorism: violenza sistematica e coercitiva, solitamente da parte dell’uomo, con l’intento di esercitare controllo totale sulla partner.
Situational couple violence: violenza che emerge da litigi occasionali e può essere reciproca, senza una vera volontà di dominazione.
I dati: un’emergenza sociale
Secondo l’ultima indagine ISTAT, il 31,5% delle donne italiane ha subito nella vita una forma di violenza fisica o sessuale. In gran parte si tratta di intimate partner violence. Tuttavia, solo una minima parte riesce ad accedere all’help-seeking, ovvero a chiedere aiuto.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla apertamente di emergenza globale, che non è solo attuale ma radicata nel tempo. A complicare il quadro c’è il fenomeno del sommerso: tantissime donne non denunciano per paura, vergogna o mancanza di supporto sociale.
Il ruolo dei centri antiviolenza e delle istituzioni
Il riconoscimento sociale della violenza è stato lento. La sociologa Patrizia Romito, nel suo libro Il silenzio assordante, denuncia l’assenza e l’inefficacia delle risposte istituzionali. Spesso, la prima richiesta di aiuto avviene in reti informali – amici, familiari – che non sempre sono in grado di offrire un supporto adeguato.
I centri antiviolenza (CAV) rappresentano oggi una risorsa fondamentale. Nati dai movimenti femministi negli anni ‘70 negli Stati Uniti e in Canada, si sono diffusi in Italia a partire dagli anni ‘90. Nel 2008 nasce la rete nazionale Di.Re (Donne in Rete contro la violenza), che coordina le principali realtà italiane.
Tra i servizi oggi attivi:
Numero verde 1522, attivo 24 ore su 24;
Sportelli antiviolenza, per un primo ascolto e orientamento;
CAV, per un supporto psicologico, legale e sociale più articolato;
Case rifugio, strutture protette e segrete, dove le donne possono ricostruire la propria autonomia in sicurezza.
Questi servizi devono lavorare in sinergia con le istituzioni: forze dell’ordine, servizi sociali, tribunali, sistema sanitario.
La violenza contro le donne non è un’emergenza passeggera, ma un problema strutturale, che affonda le sue radici nella cultura patriarcale e nella disparità di potere. Ogni dato, ogni storia, ogni vittima ci ricorda che non si tratta di episodi isolati, ma di una vera e propria questione sociale e politica. Per contrastare efficacemente questo fenomeno, servono interventi su più livelli: culturali, educativi, legislativi e sociali. È fondamentale promuovere un cambiamento profondo che coinvolga tutta la società, a partire dall’educazione delle nuove generazioni al rispetto, all’uguaglianza e alla parità di genere. Solo così sarà possibile spezzare il silenzio, prevenire la violenza e costruire una società realmente giusta e sicura per tutte e tutti.