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Dalla Calabria
di mons. Giovanni Checchinato
Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano
Riconosciamolo. Non è difficile leggere la Calabria a partire dai suoi dati problematici, anzi è una operazione che fanno tutti.
E non è una operazione falsa, perché i dati che corrispondono agli indicatori sociali sono drammatici: ce lo ricordava un acuto articolo apparso in “Menabò” il mese scorso: “La Calabria è l’estremo: una regione nel vortice di un processo di polarizzazione e sfaldamento sociale, con una popolazione spaccata in due metà quantitativamente equivalenti, per metà benestanti e metà poveri o a rischio di povertà-esclusione; due realtà scollate tra loro che tendono a configurare una non-società.” (Le due società. Del benessere passivo e delle povertà dei calabresi, di Domenico Cersosimo e Rosanna Nisticò).
Se ci fermiamo a questa lettura possiamo solamente storcere il naso o fare un passo indietro o scappare, come fanno tanti giovani che emigrano per cercare fortuna altrove. Come Chiesa possiamo essere tentati di fronte a queste evidenze - che in maniera diversa ma ugualmente problematica - affliggono anche la quotidianità della vita delle comunità cristiane, di cogliere prima di tutto il dato della mancanza rispetto a standard di base definiti da attese condivise o da modelli dedotti al laboratorio.
Ma quando cogliamo pregiudizialmente il dato della mancanza riveliamo un approccio dell’annuncio che parte da attese precostituite e non dall’accoglienza della storia, così come il Signore ce la fa conoscere nella sua Provvidenza. Se Paolo a Corinto fosse partito dalle sue attese come ebreo osservante non avrebbe suscitato domande nel cuore dei suoi interlocutori, ma avrebbe fornito risposte non richieste. E avrebbe avuto reazioni affini a quelle che aveva ricevuto ad Atene, quando -molto educatamente- i presenti all’Areòpago gli risposero “Su questo ti sentiremo un’altra volta”.
Partire dalla storia che il Signore ci fa incontrare, così come ha fatto lui nel mistero della Incarnazione, fare sul serio i conti con un Regno che cresce non necessariamente solo all’interno della Chiesa, ma nel mondo intero, lì dove il Signore vuole farsi presente. E stupirci come oggi, alla stessa maniera di duemila anni fa, il Signore predilige gli ultimi, le periferie, i poveri, perché “nessuno è escluso dalla salvezza di Dio, anzi Dio preferisce partire dalla periferia, dagli ultimi, per raggiungere tutti. Gesù comincia la sua missione non solo da un luogo decentrato, ma anche da uomini che si direbbero di basso profilo”. (Papa Francesco, 26.1.2014)
E allora, più di tante attività benemerite, il primo compito della Chiesa in Calabria dovrebbe essere quello di radicarsi ancora di più nelle periferie abitate dagli ultimi per promuovere negli “invisibili” “la maturazione di una consapevolezza sempre più profonda e diffusa delle disuguaglianze e delle cause che le determinano, e l’assunzione di concrete responsabilità da parte delle comunità cristiane presenti nei territori.” (G. Marcello)