Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano
Un tango per il Papa
di Stefano Sodaro
Foto dil 1914, tratta da commons.wikimedia.org
Le nostre due canoniste immaginarie (ma sono immaginarie, sì?), Anna Frachialpo e Lina Marnotta, avrebbero voluto parlare quest’oggi della dicotomia tra il pensiero ecclesiologico, in piena adesione al Vaticano II, dell’appena scomparso José Ignacio González Faus e quanto scrive l’orientalista dell’Opus Dei Pablo Gefaell, alle pagine 157-172 del suo recentissimo Trattato di diritto canonico orientale per latini, allorché, parlando della disciplina dell’ammissione al presbiterato degli uomini sposati nelle Chiese d’Oriente, non cita mai Presbyterorum Ordinis n. 16. Singolare.
Ma il Tg3 delle 19 trasmette le immagini di un ballo di diverse coppie sotto le finestre del Policlinico “Gemelli” di Roma, dov’è ricoverato da un mese il Papa, per esprimergli la loro vicinanza con un tango, che Francesco ama fin da quand’era cardinale. E dunque, di comune accordo, hanno deciso, le canoniste summenzionate, che dei due autori spagnoli potremo, potranno, esprimere quel che pensano domenica prossima.
Un tango per il Papa.
Riusciamo, noi, ad immaginarci, nella nostra compassata Italia cattolica, un appuntamento per ballare il tango fuori da qualche cattedrale, nelle piazze solenni dove svettano i campanili e suonano le campane, magari dopo una processione d’ingresso al canto del gregoriano?
Per noi, diciamolo, è semplicemente inconcepibile. O forse, meglio: inammissibile.
Se non sapessimo bene cosa sia il tango, cosa comporti, basterà accennare al fatto che i ballerini devono appoggiarsi reciprocamente la fronte in un turbinio emotivo da cui sembrerebbe naturale doverne derivare un bacio appassionato. Non sia mai. Le nostre liturgie devono restare ben algide, immuni e immunizzanti rispetto a qualunque contatto con la vita quotidiano, tradendo lo stesso simbolismo sacramentale di pane e vino che più quotidiani e laici di così non si potrebbe. Eppure.
I ballerini di tango del “Gemelli” sanno che il Papa apprezza, apprezza tanto i loro movimenti armoniosi, e si commuovono. In quel ballo, anche a parere delle nostre Anna Frachialpo e Lina Marnotta – che ho appena sentito (ma non erano immaginarie?) -, si manifesta con chiarezza l’orientamento teologico di Francesco papa. Che include e non esclude, che gode della bellezza, dell’amore, della felicità, dei sogni, dei sorrisi, della riconciliazione, degli incontri, dei dialoghi, degli abbracci, degli scambi di sguardi e di cuori.
Compare la prima foto del Papa in ospedale stasera. D’accordo, ma il tango sotto le sue finestre traduce ancor meglio il senso profondo di un pontificato. Che è l’esatto contrario di certo ammorbante “profondismo” capace, invece, di far precipitare nel cruccio, nello sdegno, nella presa di distanza, nella fuga del piacere e dalla vita, una presunta ferrea, inossidabile, inscalfibile, identità religiosa cattolica.
Se il Papa potesse, ballerebbe volentieri un tango con qualcuna, ed anche qualcuno, che acconsentisse. Lo sappiamo, è così, lo sappiamo bene tutte e tutti. Ma sembra che non possiamo dirlo. Non dobbiamo dirlo. Guai. Così decretiamo le esequie del desiderio e, con la sua sepoltura, anticipiamo la morte dei nostri stessi sentimenti. E perché? In nome di cosa?
Nonostante le omelie sulla presunta permanente attualità della cosiddetta “soddisfazione vicaria”, che – secondo alcuni predicatori della domenica - addirittura la odierna pericope evangelica della Trasfigurazione, nel rito romano (secondo la versione di Luca), confermerebbe, quel Vangelo pare invece, esattamente al contrario, la celebrazione della gioia. Come oggi ha scritto la Prof.ssa Silvana Nitti in un commento su Facebook ad un post del qui scrivente, sarebbe il caso di rivelare “cosa Dio ha fatto per noi” e non, rovesciando il senso stesso dell’annuncio evangelico, ammonire su “cosa noi facciamo per Dio”.
Insegna il catechismo – salva smentita – che Dio ha creato i corpi. Noi invece abbiamo celebrato le anime e non la smettiamo più. Altro, molto altro, insegne l’Ebraismo, matria e patria spirituale dei cristiani, ma l’Ebraismo neppure sappiamo bene cosa sia. Mi è capitato, presentando qualche ebraista amica e amico, che l’interlocutore ci rispondesse: “Ah, studia gli antichi Ebrei?”.
La nozione di “danza sacra” ci sembra un’approssimazione di bestemmia che dunque si relega e delega al solo Movimento Neocatecumenale, il quale inizia (o forse siamo anche abbastanza più avanti di un inizio) a ritenere di averne l’esclusiva, l’esuberanza dei gesti liturgici.
Sarebbe bello che questa prossima settimana si predicasse, nell’austerità del clima quaresimale, sul tango per il Papa, la domenica, sotto le finestre del “Gemelli”.
La liturgia del quotidiano ha linguaggi che l’altra liturgia, avulsa dal quotidiano, non conosce o finge di ignorare.
In ogni caso, buona settimana e buona domenica. Anche a chi disprezza il tango e se ne allontana inorridito/a.