Una Pieve romanica “animata e animante” nel cuore del Casentino: Romena cos’era e cos’è diventata
di Angelo Maddalena
La Pieve di Romena - foto del settembre 2020 di Sirleonidas, tratta da commons.wikimedia.org
Arrivo a Romena domenica 23 marzo, in tarda mattinata, in tempo per partecipare alla preghiera che Gianni Novello conduce nella sala “delle cappelline”. Per condurre la preghiera Gianni usa il libricino Lode del mattino e della sera, che avevo comprato due anni e mezzo fa nella libreria del Convento di Santa Maria del Cengio, a Isola Vicentina. Da allora lo uso come “guida” per le preghiere quotidiane. Strana creatura Romena: bella e spaziosa, ariosa, quasi sconfinante?
Una Pieve romanica che si staglia in mezzo alla radura, di notte è come un faro immenso, anche perché illuminata dai fari a terra che la circondano: a uno sguardo “distaccato” potrebbe sembrare un santuario medievale con annesso un ristorante e una libreria, quindi per certi versi niente di nuovo, ce ne sono tanti altri, potrebbe dire “il distaccato”, piccoli e sparsi in molte località europee e soprattutto del sud Europa, per non parlare dei “grandi”: Lourdes, Fatima, Assisi… Ma Romena non è una città, non c’è un Santo da adorare, né madonne, un prete però c’è, forse anche un po' “beat”? E c’è dell’altro: convegni, corsi (primo, secondo e terzo corso), “una costellazione di eremi”, l’ultimo è Coltriciano, a poche centinaia di metri dalla immensa Pieve che è centro e fulcro di tutto, per lo meno all’origine, ma cosa c’è all’origine di Romena? Don Gigi Verdi, toscano del Valdarno, all’inizio degli anni Novanta, dopo una crisi esistenziale e spirituale (era già prete) che lo porta in Sud America e nel deserto algerino, sulle orme di Charles de Foucauld, chiede al suo vescovo di affidargli la gestione della Pieve di Romena, risalente al XII secolo, costruita in un periodo di carestia (“in tempore famis”, c’è scritto in sovrarilievo in una delle colonne a sinistra appena entrati). Al ritorno del suo lungo viaggio dice a sé stesso: “Ho capito cosa devo fare, la gente ha bisogno di qualcosa di concreto”. Inizia così la ristrutturazione, oltre che della Pieve, di alcuni caseggiati abbandonati. Il sostegno iniziale viene dalla Fondazione Baracchi, che fa capo all’imprenditore Baracchi, “l’Agnelli del Casentino”, come dice Sergio (il nome è fittizio), che abita nei dintorni e ha una visione “distaccata” (a sentire altri, Baracchi sarebbe più simile ad Adriano Olivetti che ad Agnelli). Secondo la visione di Sergio: «Romena è la Disneyland dei cattolici». Effettivamente, a vedere le centinaia di persone che arrivano il sabato e la domenica, e che si distribuiscono tra il prato, il ristorante, le cappelline, la Pieve e la libreria, non ti viene da pensare a un eremo o a un monastero, o a una “fraternità” residenziale che vuole mantenere silenzio e raccoglimento. In effetti, io nel 2000 sentìi parlare di Romena come una Fraternità, allora abitavo alla Casa Crocevia dei popoli, che si definiva Fraternità laica, cioè una famiglia che abitava in un caseggiato vicino Piombino, insieme a un sacerdote. Era quello che più o meno mi aspettavo di trovare quando, nel 2018, arrivai per la prima volta a Romena, in occasione di un convegno estivo; invece, non solo trovai decine se non centinaia di persone (comprensibile nei giorni di un convegno) ma non trovai una comunità o fraternità residenziale. Don Gigi, per spiegare questo stile, ha sempre detto che ha voluto da subito fare qualcosa di “moderno”. Lui stesso abita a Pratovecchio (a pochi chilometri da Romena), alcuni collaboratori stretti abitano nei dintorni; almeno uno di loro, pur abitando a Firenze, ha una seconda casa sempre a pochi chilometri da Romena, mentre solo poche persone abitano in loco come custodi. Lo stesso don Gigi, in un documento interno rivolto ai collaboratori, scrive che non bisogna chiamare Romena “una fraternità, bisogna fare la fraternità, ma non chiamarla così perché se no poi chi viene rimane deluso”. Però di fatto da trent’anni Romena è conosciuta da tutti e tutte come “Fraternità”, e questa è anche una dicitura stampata in alcuni depliants. Donazioni all’inizio, poi una libreria e un bar che negli anni diventa anche ristorante, i convegni e i corsi, sono sostegni che costruiscono un percorso che poi aiuta a ristrutturare l’Eremo di Quorle, dove per anni ha abitato Wolfgang Fasser, svizzero, cieco. Poi le “veglie” di don Gigi in giro per l’Italia a portare testimonianza della sua ispirazione e del suo cammino, gli amici di Romena in tante località, il flusso di chi arriva da fuori con una certa continuità e gli intrecci con molte figure di religiosi e laici aperti a orizzonti nuovi, che spesso tornano a Romena per tenere seminari e conferenze durante i convegni (recentemente sono stati inseriti seminari anche per giovani, uno si è concluso domenica 23 marzo, il giorno in cui sono arrivato).
Da Ermes Ronchi al compianto fra Giorgio Bonati, frate cappuccino del convento di Varese, morto nel 2019, designato come collaboratore di don Gigi e suo potenziale “successore”, come affermano alcuni intimi della Fraternità. Lo avevo conosciuto al convegno del 2018: un sorriso caldo e luminoso, un abbraccio pronto e pieno e subito la propositività di invitarmi a Varese per presentare il mio libro e le mie canzoni, nel giro di pochi mesi detto e fatto. A dispetto della carestia di attività culturali all’interno di strutture religiose (attività culturali che non siano solo per bambini e adolescenti o il cinema della parrocchia, quei pochi che ancora funzionano) l’auditorium dei cappuccini di Varese si era riempito per il mio spettacolo (dicembre 2018) come per altre testimonianze che fra Giorgio organizzava (il libro Buongiorno Infinito è uno dei libri pubblicati dalla casa editrice Romena e raccoglie suoi pensieri e appunti): un faro nella nebbia delle attività culturali molto rare purtroppo, visto che gli spazi ci sarebbero e anche tanti, nelle parrocchie e nelle diocesi.
Altro esempio incoraggiante, oltre alla storica realtà della Cittadella della Pro Civitate Cristiana di Assisi, si trova a Civitella San Paolo, si chiama Oreundici: casa aperta a convegni, dove si stampa una rivista, c’è un piccolo spazio libreria, e dove don Mario De Maio, un anno fa, pochi mesi prima di morire, mi invitò senza indugi a presentare un mio documentario accompagnato dalle canzoni e dalla mia libreria errante. Due mesi fa mi si è aperto un altro spazio in questo senso: il teatro della parrocchia di Vallecrosia, dove è parroco don Rito Alvarez.
Avvenire, da un anno a questa parte, attraverso le testimonianze di alcuni teologi, invoca una presenza di letteratura e attività culturali nelle parrocchie, presenza che latita sempre di più negli ultimi anni. Qualche mese fa a Roma Nord ho trovato una piccola biblioteca della parrocchia, aperta la mattina della domenica, poca cosa forse (era deserta quando ci entrai, c’era solo il custode volontario) ma meglio di niente.
A Romena esiste una realtà in tal senso: oltre alla libreria che non vende solo libri della Casa Editrice Romena (ammirevole in un tempo in cui diverse grandi librerie di catena e appartenenti a grossi gruppi editoriali e anche di realtà simili a Romena tendono sempre di più a vendere libri solo della propria casa editrice), anche una biblioteca nell’eremo di Coltriciano (piccola ma di qualità, con libri di teologia, filosofia, narrativa, da Turoldo ad Arturo Paoli, don Milani e tanti altri). In una delle capelline c’è un’atmosfera di silenzio e raccoglimento, conciliato da una continua musica di sottofondo proveniente da un piccolo stereo posizionato in un angolo. Un volto o icona di Gesù ma senza forti caratterizzazioni, realizzata molto probabilmente da don Gigi che è anche artigiano e anche un po' designer: cura nei minimi dettagli gli addobbi, l’arredo, il mobilio e tanti altri aspetti estetici delle varie strutture abitative, ma anche all’esterno.
Pochi giorni fa ha fatto notare, a me e ad altre due persone, quattro colombine bianche di gesso che da poco ha voluto posizionare sopra la porta del bar, ma all’angolo: “Per chi sale dalla pieve e arriva al bar, vedeva in quell’angolo un troiaio”, dice con il suo linguaggio spiccio da toscano dell’interno. La messa che celebra ogni domenica alle 16,30 è costellata di canzoni di cantautori più o meno conosciuti, con una particolare attenzione a Simone Cristicchi che qui è di casa e ha composto Lo chiederemo agli alberi, secondo alcuni, mentre si trovava qui.
Questo e altri aspetti possono far pensare a uno stile beat della messa celebrata da don Gigi (alla fine della messa del 30 marzo è partita in stereofonia la voce di Lucio Corsi che canta Volevo essere un duro!), che si siede sugli scalini per commentare il Vangelo e non si muove secondo schemi rigidi e canonici, fra altare e platea. In ogni caso è un modo per rompere la monotonia di schemi un po' troppo “antichi” del rito della messa, e forse anche per questo motivo la pieve è sempre piena.
Oltre a Cristicchi, arrivano altri artisti importanti: da Gianmaria Testa a Erri De Luca, da Francesco Guccini a Franco Arminio. La cura editoriale e delle interviste ai testimoni che arrivano a Romena è affidata a Massimo Orlandi, tra i fondatori di Romena.
Negli anni, Romena è diventata anche un teatro all’aperto, con alcuni grandi concerti, per esempio nell’estate del 2024 il concerto di Cristicchi con Amara ha portato a Romena non meno di 2000 persone nel prato dietro la Pieve. Qualcuno potrebbe pensare a una deriva “numerica”, che lascia indietro l’attenzione al raccoglimento e al “piccolo”. In realtà forse c’è una conciliazione tra questi aspetti (una canzone che ho scritto la prima volta che sono arrivato qui dice “Gioia di solitudine, gioia di condivisione”). Le derive potrebbero esserci e non solo in questo senso: Maggiani, nel libro Sempre (scritto in forma di dialogo con don Gigi), fa notare a don Gigi che negli anni Romena è diventata sempre più attrazione per persone “abbattute” (è un ricordo che ho di qualche anno fa, quando lessi alcune pagine del libro, sarebbe da rileggere). Una delle derive possibili è quella dell’intimismo, se è vero che anche Maurizio F, scrittore e antropologo, dopo aver letto il documento di don Gigi rivolto ai collaboratori, dice: “C’è un certo intimismo, sembra che questo don Gigi faccia una buona diagnosi ma poi la terapia è sbagliata, o comunque sfasata, non corrispondente alla diagnosi”. Effettivamente, tra le altre cose, le citazioni e i riferimenti di don Gigi a figure di mistici contemporanei che spesso sono anche eremiti o comunque figure di azione sociale e anche di lotta politica (due esempi: Turoldo e don Tonino Bello), non combaciano con un certo stile “numerico e intimista” che rischia di prendere piede a Romena. Ho partecipato a una settimana tematica: vi ho trovato attività di per sé coinvolgenti e che portano verso una pacificazione e armonizzazione interiore, ma rischiano, appunto, di risultare “cattoliche post freak”, e chi ha partecipato veniva quasi sempre da un percorso simile: viaggi in India, Osho, capanna sudatoria, Indiani d’America, insomma, un certo sincretismo che però può trovare nella spiritualità cattolica una centratura, ovviamente però si rimane in quel limite tra spiritualità e spiritualismo (e comunque sono accolti anche gli atei, ce n’era uno alla settimana tematica, c’è anche scritto in una tabella vicino al ristorante: “che tu sia ateo o devoto non importa, ti aspettiamo”). Prova ne è il fatto che un collaboratore di Romena, presente come esterno alla settimana tematica, ha dato un suo parere dicendo: “Va bene lavorare su sé stessi e sul mentale, ma alla lunga il lavoro sul mentale sfianca”. C’è però un elemento che mi ha colpito durante la settimana tematica e che rispecchia uno stile di Romena: la gentilezza, la delicatezza, per esempio nel rispetto delle persone che hanno partecipato a questa settimana tematica all’Eremo di Coltriciano. E poi una capacità di accogliere le critiche dei partecipanti, una prontezza nell’ascoltare e la volontà di discutere, questo è un tratto che si ritrova in don Gigi, che, quando lo vedi in giro per Romena, tra il bar e la Pieve e la sala convegni, ti chiede spesso, un po’ provocatorio: “Come stai? Ti trovi bene qui? Come sta andando il soggiorno? Ti trovi male, vero?”. Può essere anche un modo simpatico di mettere le mani avanti. Però può anche provocare delle critiche, e aiutare a tenere sveglio lo sguardo lucido. Lara, incontrata a Poppi, mi dice che, secondo lei, a Romena “la terra ha assorbito troppa morte”, forse riferendosi ai mandorli piantati per i ragazzi morti e i cui genitori hanno scelto di far parte del Gruppo Nain (ripreso dal passo del Vangelo che racconta del ragazzo morto che Gesù resuscita). È un’idea di don Gigi di molti anni fa, e va avanti da allora. Si vedono spesso genitori che vanno a visitare gli alberi di mandorlo piantati per i loro figli, ultimamente qualcuno ha appeso qualche cartellino o attaccato foto a degli alberi di cipresso tra il Cimitero e il sentiero che porta a Coltriciano. “Forse perché i mandorli non bastavano, e c’è qualcuno che lo fa autonomamente”, dice chi abita e lavora a Romena. Sono pochi gli “operai e impiegati”, o sono pochi quelli fissi, circa una decina, tra ristorante e amministrazione.
Strana creatura Romena: futuristica o sincretistica? Oltre al discorso della dicitura delle Fraternità che però non è residenziale c’è lo stile dei due eremi: solo uno è abitato stabilmente e neanche sempre dallo stesso nucleo: a Quorle, infatti, per un po' di anni ci ha abitato Fasser, poi un’altra coppia che poi è andata via e attualmente ci vive un’altra coppia. C’è un avvicendamento, don Gigi direbbe che questa è una “via moderna”, una reinvenzione. C’è da capire bene e a fondo questo stile, senza farsi prendere dall’emotività della novità che può spesso scadere in varie derive, dall’intimismo e dal sincretismo new age al rischio di diventare un luogo di moda e, a tratti, di “movida”, dove trovi figure di spicco e di spessore mischiate a figure travestite da intellettuali che in realtà sono “botti di ego mania e di poco spessore” che attraggono le masse e fanno cassetta, quindi riempiono teatri o auditorium proponendo modelli per niente in linea con i valori cristiani (il successo numerico, l’ambiguità morale, la disonestà intellettuale non dovrebbero essere modelli per i cristiani), anche questi sono nodi che Romena dovrà affrontare se non sciogliere: don Gigi è consapevole di tutto ciò? E soprattutto: ne sono consapevoli i volontari, gli amici di Romena, i collaboratori, i frequentatori assidui e gli estimatori dalla distanza?